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Gino Cervi, Peppone Sindaco comunista. Lo era davvero?

La vita artistica di Gino Cervi è indissolubilmente legata alla figura di Peppone, sindaco comunista, perennemente in lotta con Don Camillo. Gino Cervi è stato anche molto altro, ma soprattutto era comunista?

Cervi è Peppone in Don Camillo

Anno 1952: si gira “Don Camillo”, un singolare parroco emiliano creato dalla fantasia di Giovanni Guareschi. Il libro omonimo che raccoglie racconti già pubblicati sul settimanale “Candido”, di cui Guareschi è direttore, ha ottenuto un notevole successo.

La produzione del film è italo-francese, il regista è Jacques Duvivier, l’interprete del personaggio del parroco il comico Fernandel.

Per interpretare il ruolo del sindaco comunista Peppone, antagonista del sacerdote in un piccolo paese dell’Emilia dove, come in tutta Italia, divampa la polemica politica tra comunisti e anticomunisti, si cerca un attore che sia credibile nel ruolo.

Don Camillo e Peppone

Deve avere anche nell’aspetto un temperamento sanguigno, meglio ancora se ha anche uno spiccato accento emiliano: la scelta quasi naturale cade su Gino Cervi, che ha già una notevole esperienza teatrale e cinematografica.

L’ironia della sorte è che ha convinzioni politiche molto diverse da quelle di un sindaco comunista.

Chi era Gino Cervi? Tra fascimo e comunismo

Nato a Bologna il 3 maggio 1901, con un padre critico teatrale e proprietario terriero, a 15 anni già recita in alcune filodrammatiche bolognesi (“Cantagalli”, “Impiegati civili”).

Finito il servizio militare di leva nel 1927 nel 27° reggimento Artiglieria da campagna a Novara, torna a Bologna, consegue la licenza liceale e aderisce al neonato partito fascista.

I proprietari terrieri della valle padana sono in quegli anni schierati con i fascisti contro i “bolscevichi” che rivendicano le terre: la scelta del giovane Cervi, la cui famiglia possiede terre, è quasi automatica: il futuro Peppone partecipa alle azioni violente delle squadre fasciste della zona, e probabilmente anche alla “Marcia su Roma”, fatto quest’ultimo escluso dal figlio Tonino (v. Derchi — Biggo), ma sottolineato invece nel 1940 (Lionelli).

Come in altri casi, il regime fascista tese ad esaltare l’adesione ad esso di persone di una certa notorietà magari utilizzando a questo scopo loro esperienze giovanili, anche se negli anni successivi avevano cambiato idea nei confronti del fascismo. A riprova di ciò, per quanto riguarda Cervi, stanno alcuni rapporti di confidenti dell’O.V.R.A. che lo indicano tra gli avversari del regime (Marino).

Gino Cervi, un anticomunista convinto

Al tempo stesso Cervi, come dimostrano le sue “incursioni” nella politica dopo il 1960, restò sempre decisamente anticomunista: nel film “Don Camillo” la sua interpretazione del sindaco comunista sanguigno, violento e umanissimo al tempo stesso risultò tuttavia tanto convincente da fargli conferire nel 1953 il Nastro d’argento dei critici cinematografici “per il complesso delle sue interpretazioni”.

Lo stesso ruolo ebbe nei cinque anni successivi su soggetti di Guareschi e con gli stessi personaggi fondati sulla contrapposizione parroco — sindaco in chiave semiseria: Il ritorno di Don Camillo (1953); Don Camillo e l’On. Peppone (1955); Don Camillo Monsignore ma non troppo (1961); Il compagno Don Camillo (1969); Don Camillo e i giovani d’oggi (1972).

Nella interpretazioni di Don Camillo Cervi si avvalse di una lunga esperienza teatrale e cinematografica, iniziata nel 1924 al Teatro Politeama Sampierdarense, dove recitò nella compagnia di Alda Borelli, prima senza ruoli e poi quale “attor giovane”, nella “Vergine folle” di Bataille, che fu rappresentata dalla compagnia lo stesso anno al teatro Quirino di Roma.

L’esperienza teatrale

La scelta di essere attore fu osteggiata dal padre, che lo avrebbe voluto professore o magistrato, ma senza successo. Gino ebbe però la tentazione del calcio: giocava come mezzala destra e continuò a farlo per passione fino alla fine degli anni ’60 allo stadio Flaminio di Roma in una squadra di attori contro una di giornalisti.

Il suo aspetto raffinato, la misura ed insieme l’ironia che metteva nella interpretazione dei ruoli che gli venivano affidati gli assicurarono un buon successo (1924 — 25) nella Compagnia del Teatro dell’Arte di Roma che diretta da Luigi Pirandello, aveva trovato sede in una sala del Palazzo Odescalchi, in Vicolo Odescalchi, poi trasformata in sala cinematografica ed ora adibita ad altri usi.

In un suo “ritratto d’attore” molti anni dopo (1965) Cervi ricordò quella ormai lontana esperienza ed il suo entusiasmo per Pirandello, da cui ricevé molte congratulazioni per la sua interpretazione nel ruolo del figlio in Sei personaggi in cerca d’autore.

Nel 1926 passò alla compagnia diretta da Lamberto Picasso, un attore e regista che sosteneva la necessità di una profonda modifica della recitazione, contro ogni artifizio, ridondanza, forzata drammaticità declamatoria.

Cervi fece tesoro di quella esperienza: la sua recitazione cambiò profondamente, tanto da divenire attore adatto ad un repertorio essenzialmente “leggero” soprattutto nel ruolo di “amoroso” e da collocare poi (1965) Picasso tra i suoi maestri accanto alla Borrelli, alla Melato ed a Annibale Bertone, nella cui compagnia passò nel 1927 e restò fino al 1930, quando entrò nella compagnia di Anna Melato.

Nel 1928 sposò, superando la tenace opposizione del futuro suocero, Angela Rosa Gordini, figlia di un industriale toscano, che per un breve periodo di tempo fu anche attrice per far quadrare il bilancio familiare.

Nel 1931 è di nuovo nella compagnia di Picasso e l’anno successivo in quella di Kiki Palmer, con un repertorio classico (La famiglia dell’antiquario di Goldoni, Zio Vanja di Cechov) che abbandonò quando nel 1933 passò alla Nuova compagnia della commedia con Renzo Ricci e Laura Adani.

Anche questa esperienza durò poco: Cervi aveva poco più di trent’anni e cercava ancora un suo spazio nel teatro. Era un uomo elegante, raffinato, che amava la caccia e la buona tavola, cui non mancavano le amicizie femminili: quello insomma che a quei tempi si definiva “un bon viveur”.

Cervi e l’approdo al cinema

La soluzione a molti suoi problemi anche economici venne con l’ingresso nel cinema che andava acquisendo crescente importanza anche quale strumento di propaganda del regime fascista.

Nel 1935, quando recitava nella Compagnia degli spettacoli gialli diretta da Romano Calo, ebbe una piccola parte nei film “Amore” di Bragaglia e “Aldebaran” di Blasetti, che poi definirà “un bel polpettone”: prima di allora si era limitato a partecipare come comparsa al film “Armata azzurra” di Gennaro Righelli, un film di propaganda sull’Aeronautica dopo le imprese di Italo Balbo.

Entrato nella compagnia di Sergio Tofano ed Evi Maltagliati, intensificò la sua attività cinematografica partecipando anche a film di scarso impegno (Gli uomini non sono ingrati nel 1937, Voglio vivere con Letizia! e L’argine nel 1938, Inventiamo l’amore e I figli del marchese di Lucera nel 1939), accanto ad altri di maggiore rilevanza (Ettore Fieramosca (1937) in cui è attor giovane e Un’avventura di Salvator Rosa (1939) con un ruolo da caratterista.

Cervi tra guerra, cinema e teatro

Era un po’ poco per le ambizioni artistiche del giovane Cervi: tornò al teatro e nel 1937 interpretò a Venezia Romeo con la regia di Guido Salvini ma fu un mezzo fiasco. L’anno successivo (1938) entrò nella Compagnia del Teatro Eliseo di Roma con Andreina Pagnani, Rina Morelli e Paolo Stoppa e assunse (1939) la direzione della compagnia.

Era finalmente la grande occasione: la compagnia mise in scena un vasto repertorio che andava da Pirandello (Ma non è una cosa seria) a Shakespeare (La dodicesima notte), da Corrado Alvaro (Il caffè dei naviganti) a Dostoevskij (II giocatore). Cervi però quando si trattava dei classici del teatro drammatico, come “Otello” e “Giulietta e Romeo”, non convinceva per la caratterizzazione smitizzante dei personaggi interpretati, diversamente da quanto poi avverrà per “Falstaff, personaggio che si presta particolarmente ad essere modellato dall’interprete.

Nel 1942, quando la Compagnia si scioglie per problemi finanziari, Cervi sembra ormai saldamente approdato al mondo del cinema: nel 1940 partecipa per la prima volta ad un film importante (La peccatrice di A. Palermi) cui segue (1941) La corona di ferro e (1942) Quattro passi tra le nuvole di Blasetti, che ottiene il Leone d’oro alla Mostra cinematografica di Venezia, e I promessi sposi di Camerini. Al tempo stesso però, per chiare necessità di bilancio, interpreta ruoli secondari in alcuni film mediocri come La regina di Navarra (1941), Don Cesare di Bazan (1942), Gente dell’aria (1943).

Arriva l’8 settembre 1943: i tedeschi a Roma la fanno da padroni. Cervi, così come altri attori, subisce pressioni per trasferirsi al nord, dove è stata costituita la Repubblica sociale: un ufficiale tedesco che dichiara di parlare a nome di Goebels, il potente Ministro nazista per la propaganda, insiste perché si rechi a Berlino e gli assicura che, una volta trasferitosi, avrà grandi possibilità di lavoro, ma Cervi rifiuta.

Il fascismo degli anni giovanili è ormai un fatto lontano: la sua casa di Roma è frequentata da intellettuali antifascisti e la polizia politica lo tiene sotto sorveglianza. Il vice questore Cerruti lo avverte tempestivamente della imminente deportazione e Cervi entra in clandestinità: l’ultima sua apparizione sulle scene è il 18 dicembre 1943, quando partecipa ad una rappresentazione di beneficenza (Goldoni e le sue sedici commedie) a favore della moglie di un attore, Renato Cialente, morto dopo un investimento da parte di un autocarro militare.

Nel 1945 Cervi è di nuovo nella ricostituita Compagnia del Teatro Eliseo che mette in scena un repertorio brillante con un buon successo. Più difficile è il suo reinserimento nel cinema, dove prevale il neorealismo.

Partecipa (1945) a Le miserie di Monsù Travet di Soldati, che ottiene la Coppa Volpi alla Mostra cinematografica di Venezia, ma anche a film di minore importanza (Un uomo ritorna e Umanità del 1946; L’angelo e il diavolo, Daniele Cortis e Cronaca nera del 1947; I miserabili del 1948; Fabiola, Guglielmo Tell e La fiamma che non si spegne nel 1949).

Nel 1949 partecipa ad una grande manifestazione di attori a Piazza del Popolo a Roma: accanto a lui c’è Anna Magnani. Protestano: vogliono lavorare e per loro, come per tanti altri attori professionisti, di occasioni non ce ne sono molte.

Tornò al teatro: dal 1949 al 1951 formò una compagnia con Andreina Pagnani che mise in scena un vasto repertorio recitato secondo i canoni tradizionali (Quel signore che venne a pranzo, Anche i grassi hanno l’onore, Harvey, La regina e gli insorti, Gli ultimi cinque minuti, I figli di Edoardo) ed ebbe un discreto successo.

La strada del cinema continuò ad essere per lui molto difficoltosa: si dové contentare della partecipazione a film di scarsa importanza (ad esempio Ok Nerone del 1951) salvo brevi apparizioni in Cristo proibito (1950) di Malaparte e La signora senza camelie (1951) di Antonioni.

Il successo cinematografico con Don Camillo

Nel 1952 arrivò finalmente il grande successo cinematografico con Don Camillo e l’anno successivo quello teatrale con Cirano de Bergerac e II Cardinal Lambertini, presentati a Parigi nel primo festival international d’art drammatique de Paris con la regia di Rouleau, che ricorderà poi (L’importanza dell’attore) come il regista teatrale con il quale si era sentito maggiormente a suo agio, così come con Blasetti nel cinema.

Il Cardinal Lambertini, rappresentata in Italia l’anno successivo, ebbe anche una edizione televisiva nel 1963 ed una cinematografica nel 1954. Nel 1957 recitò in teatro con Gabriele Ferzetti, Lea Padovani e Adriana Asti e nel 1958 con Olga Villi.

Il successo teatrale gli aprì nuovamente la strada del cinema anche se in film accolti freddamente dalla critica (Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo del 1956; Moglie e buoi del 1957, Amore e chiacchiere del 1958, Agguato a Tangeri e I giganti della montagna del 1959; Le olimpiadi dei mariti del 1960). Nel 1960 apparve ne La lunga notte del 1943 di Vancini. Complessivamente partecipò a più di cento film.

Nel 1960 con Enrico Maria Salerno, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Giancarlo Sbragia e Arnoldo Foà fonda il Sindacato attori italiani, di cui diviene Presidente.

Cervi e l’esperienza politica nelle liste della DC

È di nuovo nella vita pubblica: nel 1962 si presenta candidato nelle elezioni comunali a Roma nella lista democristiana ma non viene eletto. È il pretesto per una copertina de “La domenica del Corriere”, in cui Cervi, in veste di Peppone, tiene un comizio per la Democrazia cristiana con il parroco Don Camillo — Fernandel che sorride dietro di lui.

Gino Cervi è il commissario Maigret

La sua presenza sulla scena si diradò: nel 1964 Mario Landi, regista televisivo tra i più affermati del tempo, gli offrì il ruolo del Commissario Maigret nella prima serie degli “sceneggiati” televisivi tratti dai romanzi di George Simenon.

Cervi accettò: studiò attentamente il personaggio, si lasciò crescere i baffi, imperò a fumare la pipa ed acconsentì dopo molte esitazioni a che la moglie di Maigret fosse Andreina Pagnani: a suo avviso il commissario del romanzo non avrebbe mai avuto la possibilità di sposare una donna così bella: Landi superò i dubbi mostrandogli alcune foto dell’attrice opportunamente ritoccate per simulare una vecchiaia precoce.

Iniziarono le riprese dei primi quattro episodi (Un Natale a casa Maigret, Cecilia è morta, La vita di un uomo, Maigret e la chiromante) che ebbero grandissimo successo di pubblico.

L’interpretazione di Cervi fu ritenuta ottima dallo stesso Simenon e giudicata da pubblico e critica migliore rispetto ad altre, tra cui quelle di attori famosi come Jean Gabin e Charles Laughton: i maligni attribuirono il successo anche allo sguardo necessariamente sbieco di Cervi per leggere, così come aveva sempre fatto nel cinema, il copione riprodotto sul “gobbo”, una sorta di lavagna collocata fuori dal campo della macchina da presa.

L’anno successivo seguirono altri quattro “sceneggiati” con lo stesso personaggio (Non si uccidono dei poveri diavoli, L’innamorato della signora Maigret, L’ombra cinese, La vecchia signora di Bajeux).

Gino Cervi interpreta Maigret

Nel 1966, con Maigret a Pigalle, il commissario interpretato da Cervi entrò nel cinema, per poi tornare l’anno successivo sugli schermi della televisione (Maigret e il chierichetto e Maigret e l’ispettore sfortunato nel 1967, Le inchieste del commissario Maigret nel 1971) fino al 1972, quando apparve l’ultimo sceneggiato della serie (Maigret va in pensione).

Cervi rifiutò invece di interpretare il personaggio in teatro, forse non ritenendo che esso avrebbe retto su una scena fissa, con necessariamente poche modifiche d’ambiente.

Nel 1971 ebbe una prima seria crisi cardiaca: la donna con la quale convive (la romena Erica Majer) dopo la separazione dalla moglie nel 1968, cercò di frenare la sua passione per la buona cucina.

Parlava poco, conservava una sottile ironia in teatro come nella vita, aveva un temperamento sanguigno che trasferiva nei personaggi interpretati sempre più, come nel caso di Don Camillo e Maigret, spogliati delle loro caratteristiche originarie, ridotti all’essenziale e poi creati di nuovo secondo la sua personale visione, ricerca questa che alcune volte aveva successo ed altre invece portava a risultati quantomeno controversi, come nel caso di Otello e Romeo.

Cervi consigliere regionale del Lazio per il PLI

Negli ultimi anni riaffiorò la sua antica passione per la vita pubblica: nel 1970 è consigliere regionale del Lazio per il Partito Liberale italiano. Partecipa attivamente all’attività del Consiglio con numerosi interventi sul cinema, il teatro e la televisione, ed è vivacemente polemico nei confronti della R.A.I., che non consentiva, a suo avviso, agli attori una preparazione adeguata con il non consentire le prove necessarie prima delle riprese.

La sua attività teatrale si riduce quasi a zero (nel 1970 torna a recitare per un breve periodo con Andreina Pagnani). Doppia Laurence Olivier quando interpreta sullo schermo personaggi shakespeariani, ma è ormai troppo provato, anche per la morte della sua compagna nel 1973, per preoccuparsi di ulteriori successi professionali.

L’ultima sua apparizione sulla scena è in Un ladro in Vaticano di Diego Fabbri: si prepara a tornare sugli schermi televisivi in una serie di sceneggiati tratti dai romanzi di Simenon (Le memorie del commissario Maigret) ma il progetto non avrà seguito.

Gino Cervi, morte e cause

Va a trascorrere le feste di Natale e Capodanno del 1974 a Punta Ala (Grosseto), dove possiede un appartamento e frequenta il circolo del golf. La sera del 2 gennaio partecipa ad una cena ma durante la notte si sente male. Viene chiamato il medico ma c’è poco da fare: la diagnosi è di edema polmonare. Muore all’1,30 del giorno 3.


Bibliografia

  • Armando Antonelli — Riccardo Pedrini, Gino Cervi, bentornato, Bologna, 1998.
  • Gino Cervi, L’importanza dell’attore, in Sipario, dicembre 1965.
  • Andrea Derchi — Marco Biggio, Gino Cervi, Genova, 2001.
  • N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, Milano, 1940.
  • Mauro Manciotti, Un attore per amico, 1999.
  • Natalia Marino — Emanuele Valerio Marino, L’OVRA a Cinecittà, Torino, Bollati Boringheri, 2005
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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