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God save the Queen

I matrimoni e i funerali dei reali inglesi sono sempre uno spettacolo di gran classe.
Di solito sono distratto dalle folle presenti e mi concentro sul loro entusiasmo. Sottovaluto perciò la complessità e la perfezione della organizzazione.
Questa volta, in assenza del popolo e dei famosi, nel vuoto generale, ho apprezzato i mille significati del rito, stabilito in ogni dettaglio dal Principe Consorte in persona.

Non sono state esequie di Stato ma si è svolta una cerimonia militare a tutti gli effetti. Senza Covid avremmo assistito ad un corteo di plotoni degno della nostra sfilata del 2 giugno.
Presenti con una sintetica rappresentanza c’erano i reggimenti con cui Filippo aveva un legame, praticamente tutti perché egli, militare di carriera, era ormai insignito da una onorificenza, un “grado” da parte di ciascun corpo, di mare, di terra, dell’aria (compresa una decorazione per aver combattuto in Italia).
Uno dei motivi della popolarità del duca di Edimburgo era proprio questa sua dedizione alla gloria militare del paese che, come noto, è un attaccamento condiviso dalla intera nazione (anche da noi per avere fermato i nazisti).

Basta ricordare l’esaltazione -nell’82’- per la vittoria nella “guerra delle Malvine” o “Falkland” dove, per il possesso di uno scoglio sperduto nell’oceano, morirono centinaia di soldati argentini.
Infatti l’amore per la dinastia è dovuto alla stima per la professionalità con cui la regina esercita il ruolo ma anche per l’orgoglio e la nostalgia che i sudditi britannici provano verso il loro passato e le loro tradizioni.
Che Filippo ha saputo incarnare perfettamente.

Si potrebbe dire che gli inglesi sono ormai più “elisabettiani” che monarchici e infatti la classe dirigente si chiede che succederà alla fine del suo mandato.
In una cerimonia austera, dolente e buia, resa addirittura rarefatta dalle norme di distanziamento, accadeva di tutto. Un duetto, quasi una sfida tra gruppi di trombettieri, i marinai con i fischietti ordinavano sibilanti il “coprifuoco”, la cornamusa suonava il “lamento”, i cannoni sparavano, i militari immobili a testa chinata rivolgevano il fucile verso terra in segno di lutto, il calesse da corsa attendeva invano il suo padrone, il decano dell’ordine della giarrettiera elencava in almeno cinque minuti i titoli dell’illustre estinto.

Per trasportare il feretro, Filippo aveva disegnato un apposito modello di Land Rover; avrebbe dovuto attraversare Londra, ha percorso un centinaio di metri nel castello di Windsor (che sarà lungo un chilometro).
Mentre assistevo a questa meravigliosa ricostruzione storica (cioè il passato) guardavo i principi reali in corteo (cioè il presente).
Come ovvio avrebbero dovuto vestire la divisa di appartenenza ma -per motivi diversi- ad Andrea e Harry è vietato ormai indossarla; mentre I figli di Carlo erano distanziati da un cugino perché non si parlano.
In coda apparivano i due valletti, il maggiordomo e il segretario, la vera cerchia del Duca.

Il più affranto, fino alle lacrime, era Carlo che, come si sa, è quello che ha avuto più problemi con il padre. Egli è stato ostracizzato perché dedito ad interessi troppo culturali.
In una famiglia dove tutti ne hanno fatte di tutti i colori (compreso il defunto ed esclusa la regina), il poveretto è passato come “strano” e deviante per il suo impegno per una agricoltura bio e per una architettura rispettosa del contesto ambientale.
Un precursore di quella transizione ecologica così di moda ai nostri giorni.
In fondo il solo che è restato fedele ad un unico amore per tutta la vita.
Ormai è un vecchio signore che si è consumato nell’interpretare per mezzo secolo il ruolo di principe ereditario.

È lo stesso ragionamento che si è fatto per Filippo: che tortura fare il Principe Consorte. Sempre due passi dietro la sovrana, sorridere o commuoversi secondo le circostanze, non essere ingombrante ma neanche fare tappezzeria.
Io trovo che sia stato l’uomo più fortunato del mondo: non avendo sangue inglese bensì danese, greco e soprattutto tedesco (pochi anni dopo la guerra e i bombardamenti), gli si è dovuto cambiare cognome, nazionalità e religione.
Fu la prima volta in cui si pote’ constatare la determinazione e caparbietà che hanno poi reso Elisabetta famosa.

Il Duca di Edimburgo ha viaggiato in lungo e in largo per “l’impero” su uno yacht che era in realtà una nave da crociera e che aveva collaborato a disegnare. Quando le visite di Stato duravano quattro o cinque mesi.
Ma qui ha mostrato la sua genialità. In un ruolo così stretto ed insidioso, ha saputo conquistarsi una sua autonomia, fatta di humor, battute, gaffe e finte domande “ingenue”.
Per questo i sudditi lo hanno adottato, per questo la regina non ha potuto farne a meno per 73 anni.

Sono convinto che sia stato anche un padre utile ed efficace. In una famiglia così variegata e complessa, in cui la madre è necessariamente assente, un comandante in capo che ha una regola per ogni incidente, una sicurezza a cui aggrapparsi in ogni circostanza è un bene prezioso.

Che ne sarà ora? La favola sta per finire?
Quello che non credo possibile è che in Gran Bretagna possa funzionare una versione della monarchia light, alla scandinava. Una interpretazione laica, borghese, anonima, incolore.
La Corte attuale ha funzionato per un mix del tutto estemporaneo e non calcolato tra sacrificio, senso del dovere, fedeltà ai supremi valori e scandali rosa, dispetti, gelosie, vanità.
Un magico equilibrio tra il mondo perfetto e la quotidiana e corriva vita di tutti noi.
Decideranno i sudditi inglesi.
Per intanto -se volete un indizio- posso dirvi che al momento culminante della orazione funebre, alla soglia del Castello una signora si è spogliata e ha tentato di arrampicarsi nuda su un monumento ivi presente. Bloccata ovviamente da un miliardo di poliziotti.

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Gianluca Veronesi

Nato ad Alessandria nel 1950, si laurea in Scienze Politiche, è Consigliere comunale ad Alessandria per tre legislature, Assessore alla cultura ed al teatro, poi Sindaco della città. Dirigente Rai dal 1988 al 2018, anni in cui ricopre vari incarichi:Assistente del Presidente della RAI, Direttore delle Pubbliche relazioni, Presidente di Serra Creativa, Amministratore delegato di Rai Sat. E' stato consigliere dell’istituto dell’autodisciplina Pubblicitaria e del Teatro Regionale Alessandrino.

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