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Goffredo Mameli e l’inno d’Italia

Poeta e patriota italiano a fianco di Garibaldi, morì a Roma a soli 21 anni, non senza aver prima composto il “Canto degli italiani”, meglio conosciuto come inno d’Italia o “Inno di Mameli”.

Torino, metà del mese di settembre 1848: a casa di Lorenzo Valerio, patriota e scrittore, si suonano al pianoforte musiche patriottiche.

Durante la riunione arriva da Genova un pittore, Ulisse Bozzino, che consegna ad un musicista presente, Michele Novaro, un foglio inviatogli da un amico comune: è il testo di un inno scritto su una musica dello stesso Novaro da un giovane democratico genovese, Goffredo Mameli.

Sarà l’inno d’Italia unita, suonato per la prima volta con grandissimo successo a Genova il 4 novembre 1848 in occasione di una visita alla città del re Carlo Alberto, che aveva concesso le riforme.

Chi era Goffredo Mameli

Quando scrisse l’inno Mameli aveva venti anni. Nato a Genova il 5 settembre 1827 (il padre era un ufficiale della marina militare sarda e la madre apparteneva ad una nobile famiglia ligure) nel 1835 si trasferì con la famiglia in Sardegna per sfuggire ad una epidemia di colera scoppiata a Genova. Tornò nella città natale solo cinque anni più tardi, fu iscritto alle scuole Pie, tenute dai padri scolopi e si segnalò subito come uno dei migliori alunni della scuola.

II 17 novembre 1842, terminati gli studi preliminari di retorica, presentò domanda per essere ammesso a frequentare l’Università di Genova, superò l’esame di ammissione con un saggio su Cicerone e iniziò gli studi universitari di filosofia.

Non era la sua strada: nel dicembre 1844 presentò domanda per essere ammesso a sostenere gli esami per sottotenente nelle “armi comuni” (fanteria e cavalleria) ma non fu ammesso in quanto non aveva ancora prestato servizio militare.

Nel 1846, concluso con qualche ritardo il secondo anno accademico di filosofia, Mameli iniziò a frequentare il corso di laurea in legge.

Erano gli anni in cui a Genova, dopo il fallimento della insurrezione mazziniana del 1833, si andava diffondendo un movimento antiaustriaco che andava dai mazziniani ai liberali e con il quale si schierò gran parte della nobiltà e dell’alta borghesia genovese.

Mameli fu ammesso a far parte della società “Entelica”, dal nome di un piccolo fiume che attraversava Chiavari: era una società solo formalmente culturale, ma politica nei fini e di ispirazione democratica.

Il giovane Mameli, attraverso Nino Bixio che aveva avuto da Mazzini il mandato di fare proseliti a Genova, entrò in rapporti con la rinnovata “Giovine Italia” ed entrò a far parte del Comitato dell’ordine, che si proponeva di ottenere riforme in senso liberale dal re di Sardegna evitando però gli estremismi dell’ala più intransigente dei mazziniani che ponevano la pregiudiziale repubblicana.

A Genova iniziarono le manifestazioni per le riforme alle quali Mameli prendeva sistematicamente parte: nelle strade delle città si iniziò a cantare il suo inno.

ll Comitato dell’ordine non resse al dissidio tra moderati e intransigenti e fu sciolto: Mameli non ritenne per questo conclusa la sua sua esperienza politica e nel 1849 si arruolò nella legione di trecento volontari genovesi che partirono per aiutare gli insorti di Milano.

Mameli e la lotta per l’unità d’Italia

Il giovane Mameli, che aveva avuto il grado di capitano (aveva ventidue anni) combattè con la legione contro gli austriaci. A Milano ebbe il primo incontro con Mazzini e ne restò vivamente impressionato. A quell’incontro ne seguirono altri: Mameli, che pure seguitava a scrivere inni dal forte valore patriottico, era ormai decisamente conquistato all’azione armata per l’indipendenza.

Dopo la firma dell’armistizio tra il Regno di Sardegna e l’Austria (9 agosto 1848), Mameli tornò a Genova, conquistato alla causa repubblicana e convinto che l’unità nazionale doveva scaturire da una azione autonoma degli italiani e non dalla volontà di altri paesi, come la Francia.

Nella sua città natale entrò a far parte del circolo nazionale composto da repubblicani e moderati e scrisse la poesia “Milano e Venezia”, contro Carlo Alberto, che aveva lasciato al loro destino le due città, che si erano ribellate al dominio austriaco e per questo definito nella poesia “traditore” della causa italiana.

Il 20 settembre, a Genova, Mameli incontrò per la prima volta Garibaldi: una settimana dopo partì da Ancona con un proclama del Comitato nazionale presieduto da Garibaldi che invitava la flotta sarda a correre in soccorso di Venezia che era insorta contro gli austriaci: ormai aveva acquisito la convinzione che occorreva puntare sulle organizzazioni di volontari, sotto un comando unificato per una “guerra di insurrezione”.

È in quel momento che, per incarico di Mazzini, scrisse “Inno militare” o “Suona la tromba”, che fu musicato da Giuseppe Verdi a Parigi. Perduto tra le carte di Mazzini, fu ritrovato solo anni dopo, quando già “Fratelli d’Italia” era divenuto l’inno dei patrioti del Risorgimento.

Il 3 novembre Mameli partì da Genova con Bixio per raggiungere in Toscana Garibaldi: che a capo di un gruppo di volontari, intendeva attaccare i ducati di Parma e Modena ed aveva poi deciso di muovere in aiuto di Venezia, assediata dagli austriaci.

L’incontro avvenne a Ravenna, dove, alla notizia che a Roma, dopo l’uccisione di Pellegrino Rossi, che era a capo del governo pontificio, era scoppiata la rivoluzione, Garibaldi decise di dirigersi verso la città dove regnava Pio IX, fuggito a Gaeta.

A Roma, dove era stato formato un governo provvisorio, Mameli, con articoli su “Pallade” e “Il Tribuno” chiese con altri patrioti che venisse indetta la riunione di una assemblea costituente formata dai rappresentanti eletti nello Stato Pontificio, in Toscana e a Venezia, che pure erano insorte e che si procedesse nella guerra contro l’Austria.

L’assemblea fu convocata (29 dicembre) ed eletta (21 gennaio 1849): il 9 febbraio proclamò la decadenza del papa e la fondazione della repubblica. A Mameli furono affidati compiti di organizzazione militare che però non svolse a lungo.

Giunta a Roma la notizia della insurrezione di Genova, Mameli accorse nella sua città natale ma vi giunse solo il 7 aprile, alla vigilia della capitolazione (10 aprile). Tornò allora a Roma, mentre a Civitavecchia sbarcavano le truppe francesi al comando del generale Oudinot: lo scontro con le truppe repubblicane comandate da Garibaldi di cui Mameli fu nominato aiutante di campo fu durissimo.

Da nord arrivarono a dare manforte ai francesi gli austriaci e da sud le truppe del Regno delle due Sicilie. Mameli combattè valorosamente contro i borbonici a Palestrina e a Velletri. Tornò a Roma, riprese a combattere e fu ferito alla gamba sinistra per errore da un bersagliere della colonna Manara a Villa Corsini nei pressi di Porta San Pancrazio, sul colle del Gianicolo. Venne ricoverato nell’Ospedale della Trinità dei Pellegrini ma la ferita malcurata provocò una infezione che il 2 luglio rese necessaria l’amputazione della gamba.

L’intervento chirurgico non recò alcun beneficio offerto: Mameli, che il 3 giugno era stato nominato capitano di stato maggiore, andò rapidamente peggiorando.

Morì il 6 luglio: in delirio recitava versi. Il giorno prima Pinelli, Ministro degli interni del Regno di Sardegna, aveva ordinato di non consentire che Mameli tornasse a Genova. Il 4 luglio Roma fu occupata dalle truppe francesi: Garibaldi e Mazzini riuscirono a fuggire prima di essere presi prigionieri.

La salma di Goffredo Mameli fu sepolta nella chiesa dell’Arciconfraternita delle S.S. Stimmate, nei pressi di Largo Argentina, traslata al cimitero del Verano nel 1872, e successivamente (1891) alla base di un monumento in marmo di Carrara. Infine (1941) fu tumulata nel monumento al Gianicolo dedicato ai “caduti per la causa di Roma italiana dal 1849 al 1870”, dove si trova tuttora.


Bibliografia

  • Enciclopedia italiana, alla voce.
  • Dizionario biografico degli italiani, alla voce.
  • Mauro Stramacci, Goffredo Mameli, Roma, 1991.
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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