Provate a immaginarvela l’Italia del ’46.
L’Italia delle macerie, delle campagne incolte, delle città ferite, dei tanti rientrati da poco da una prigionia prolungata ben oltre la fine della guerra, l’Italia dei paesi che non erano tanto diversi da quelli raccontati da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli, l’Italia dove per tanti mettere insieme pranzo e cena era una scommessa.
Un’Italia che oggi sembra lontanissima, ma che non lo è poi così tanto.
Sergio Tofano, in arte Sto, che nasce nel 1886 e muore nel 1973, quell’Italia l’ha attraversata tutta ed è stato un protagonista straordinario della vita culturale italiana; attore, regista, illustratore, pubblicitario, scrittore, docente, sceneggiatore, non c’è stato ambito delle arti espressive che Sto non abbia toccato e nel quale non abbia lasciato il segno.
Uno per tutti il Signor Bonaventura, per decenni fortunatissimo personaggio del fumetto italiano che esordisce nel 1917 su Il Corriere dei Piccoli che lo pubblicherà fino al 1978 e che guadagnerà tanto successo da avere successivi adattamenti teatrali, televisivi e cinematografici.
Signor Bonaventura che nel suo tratto futurista e con le sue avventure rocambolesche e semiserie è un gran lavoratore che affronta spavaldamente le sventure della vita, ne viene ricompensato con il famoso e iperbolico milione che puntualmente spende a vanvera per poi ricominciare il ciclo della sventura-avventura.
Ebbene, nell’Italia del ’46, nel Natale del ’46, così lontano da noi o forse così simile al nostro, Sto lascia un segno dimenticato che oggi più che mai vale la pena invece di riproporre.
È una filastrocca, linguaggio che da grande attore teatrale gli era congeniale, difficilissimo da costruire nella sua apparente semplicità ritmata.
L’albero di Natale s’intitola la filastrocca ed è una storia di altri tempi.
È la storia di un papà che esce di casa per comprare la strenna di Natale al figlio Vittorino con tutti i suoi risparmi e che, per strada, s’imbatte nella pubblicità del Prestito per la Ricostruzione e allora pensa che “…più che un figlio c’è una mamma, la Patria, che dai figli aiuto attende…”.
In questa frase c’è tutto, l’esito lo potete immaginare.
Il papà con i risparmi sottoscrive una cartella del Prestito e torna a casa con l’orgoglio di avere fatto il proprio dovere e con il dispiacere di lasciare il bambino senza regalo.
La storia però ha un buon fine, magari manzoniano, ma va bene così.
Leggetela la filastrocca, ingrandite l’immagine e leggetela, e se potete e volete fatela leggere ad altri, condividetela sui vostri social e sulle vostre chat perché, vedete, L’albero di Natale del 46 è il miglior augurio che possiamo fare.
L’albero di Natale del ’46 è il miglior augurio che possiamo farci per riprendere la strada senza lasciare nessuno indietro.
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