A sei mesi dalla formazione del Governo presieduto da Giuseppe Conte è forse possibile rispondere ad alcune domande a proposito della scelta da parte del Movimento 5 Stelle del Presidente del Consiglio.
La favolistica parla della presentazione al capo politico Di Maio del Professor Conte da parte del futuro Ministro della Giustizia Bonafede, che avrebbe avuto modo di apprezzarlo nel suo lavoro di avvocato. Stando a notizie attendibili lo svolgimento dei fatti sarebbe stato molto diverso.
Conte, professore di diritto privato all’Università di Firenze ed allievo prediletto del Prof. Guido Alpa, fino a qualche mese fa professore ordinario di diritto privato all’Università La Sapienza di Roma e titolare di uno dei principali studi legali italiani (con una clientela di tutto rispetto e con interessi anche internazionali), perfetto conoscitore della lingua inglese, professore professionalmente preparato, immune da guai giudiziari, tentava da gran tempo di salire sull’ascensore sociale, prima con la successione del Prof. Alpa alla cattedra di Roma, dopo il pensionamento del suo maestro, e poi forse alla titolarità del suo studio legale; in via alternativa pensava ad un incarico politico di rilievo di cui farebbe fede la sua richiesta di entrare in contatto con esponenti politici di peso.
Quando si trattò di indicare al Presidente della Repubblica la persona cui affidare la formazione del nuovo governo i grillini puntarono su Savona, banchiere di grande notorietà anche per un carattere non proprio facile. Tramontata la sua candidatura, si trattò di scegliere tra persone aventi una vasta rete di conoscenze personali ed una formazione anche a livello internazionale. Nella rosa dei possibili candidati fu incluso anche il Prof. Conte. Il cerchio magico di Casaleggio e compagni, dopo attente riflessioni e consultazioni di rito alla fine scelse Conte, per la sua nota capacità di mediatore e la sua scarsa o nulla personalità politica, caratteristica questa essenziale per garantire la sua neutralità rispetto a due movimenti politici diversissimi che diventano alleati di governo. La candidatura, dopo i consueti accertamenti fu accolta dal Presidente della Repubblica e Conte divenne Presidente del Consiglio.
Probabilmente iniziò la sua attività in tono minore niente dichiarazioni, niente impegni, nessuna posizione politica precisa, sottolineatura di sua funzione di arbitro dei due soggetti di governo, viaggi all’estero per accreditarsi quale capo del governo italiano e quindi punto di riferimento in sede internazionale, collaboratori fidatissimi e non precedentemente legati alla politica in modo da non dover temere colpi bassi. Ha aspettato pazientemente il suo momento, ha lasciato che le promesse elettorali dei due partiti di governo proseguissero verso il nulla e poi ha avocato a se stesso il ruolo di moderatore con la UE in merito alla manovra finanziaria per il prossimo anno. Tria, il Ministro tecnico dell’economia, è stato elegantemente, ma non troppo, esautorato da questo compito: “con l’Europa tratto io” ha dichiarato Conte, spingendo sull’orlo delle dimissioni il Ministro dell’economia, restato al suo posto forse su invito del Presidente della Repubblica, che sembra identificare in lui l’unico interlocutore governativo.
Lo scopo di Conte è molto semplice, accreditarsi come uomo politico a costo di dispiacere a questo o a quel contendente, per tentare di sopravvivere alla prossima crisi di governo, i cui tempi sembrano allungarsi di qualche mese, soprattutto per la difficoltà di trovare una maggioranza parlamentare diversa di quella attuale, mentre perdura l’ostilità del Capo dello Stato allo scioglimento eventuale di un parlamento eletto da meno di un anno. M5S e Lega continueranno a fare blocco fintanto che riusciranno (e non sarà a lungo) a convincere i loro elettori dell’opportunità per ciascuno di sostenere le ragioni dell’altro, anche quando estremamente indigeste. Un giorno fatalmente l’elastico si spezzerà: Conte ritiene probabilmente che a quel momento possa avere già ottenuta la promozione a “barone della politica” a ripagarlo della forzata rinuncia alla cattedra dell’Università di Roma, tenacemente inseguita per molti anni. Una baronia (politica) vale bene una cattedra universitaria, il conto finale sarà in attivo (o almeno questa è la speranza).
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