“Penso che sia accaduto qualcosa di inaudito” ha esordito Gabriele Piazzoni, segretario nazionale dell’Arcigay, intervistato da Antonello Sette, riferendosi ad una lettera del Vaticano allo Stato Italiano in cui si avvertiva il rischio di una violazione del Concordato a proposito della proposta di legge dell’on.le Zan. Ho commentato l’intervista rilevando che se c’è un trattato tra due Stati e uno dei due avverte il rischio che una nuova legge possa violare gli accordi ha tutto il diritto di manifestarlo. Niente di cui indignarsi salvo si faccia ricorso all’antica ma sempre viva disputa tra guelfi e ghibellini. “Se si rischia una crisi istituzionale fra Stati sovrani, è scontato che il Parlamento, come organo legislativo, si debba fermare e che la competenza passi al Governo” insiste Piazzoni.
«Avevo approvato la nota verbale e certamente avevo pensato che potevano esserci reazioni. Si trattava, però, di un documento interno. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni e non certo per essere pubblicato». A dirlo è stato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, dopo il terremoto scatenato dall’iniziativa diplomatica dello Stato Vaticano sul ddl Zan. Parolin, appena rientrato dal Messico, ha tenuto a precisare «non è stato in alcun modo chiesto di bloccare la legge».
Il presidente della Camera Roberto Fico si è affrettato a replicare: “Il Parlamento è sovrano e non accetta ingerenze”. Nessuna un’ingerenza ma la legittima preoccupazione per un testo vago e incerto che si presta a diverse interpretazioni.
L’on.le Fratoianni, ha stigmatizzato il silenzio del premier alla Camera e Draghi gli ha replicato al Senato: “Lo Stato è laico” e “il governo non entra nel merito della discussione, è il momento del Parlamento”.
Meno male che Draghi c’è e quindi tutto si svolge come Costituzione vuole.
Ma per capire meglio ciò di cui si parla converrà rileggere l’articolo 2 del Concordato che la nota del Vaticano cita esplicitamente: “la Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa Cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla chiesa la libertà di organizzazione di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del Ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. E converrà anche ricordare che la nuova versione del Concordato è stata firmata il 18 febbraio del 1984 dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal Cardinale Agostino Casaroli: un nuovo testo che elimina ogni riferimento alla religione cattolica come religione di Stato, ma allo stesso tempo sancisce la libertà di scelta sull’insegnamento.
Ha ragione Piergiorgio Odifreddi “è proprio l’accoppiamento della sacrosanta difesa del diritto alle scelte sessuali e affettive, da un lato, con la condannabile introduzione dell’identità di genere, dall’altro, che rischia di affossare l’uno e l’altra”. Una sinistra moderna non dovrebbe soggiacere al richiamo di un vecchio anticlericalismo e di buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
Ma, a parte qualunque valutazione politica su quanto è avvenuto, sta il fatto che i rapporti tra la Repubblica Italiana e lo Stato della Città del Vaticano sono regolati dai Patti lateranensi cui fa richiamo la Costituzione italiana: sono costituzionalizzati non i patti ed il loro contenuto (che è stato infatti modificato successivamente con l’accordo delle due parti) ma il carattere necessariamente pattizio dei rapporti tra i due stati sovrani. Non c’è dunque da gridare allo scandalo se uno dei due Stati richiama l’attenzione dell’altro sul possibile contrasto tra una legge in corso di approvazione e quei patti: è normale che prima di giungere ad un contrasto venga esperito ogni tentativo per evitarlo, così come avviene sempre nei rapporti internazionali. A questo punto sarebbe opportuno, prima di gridare allo scandalo una attenta riflessione sulla formulazione dei due articoli (il 4 ed il 7) del progetto di legge per verificare se la loro interpretazione possa essere tale da condurre ad una violazione della libertà dei convincimenti etici dei cittadini italiani, costituzionalmente garantita. La Santa Sede ha fatto alcuni rilievi di natura giuridica: sono fondati o infondati? Perchè la Santa Sede non può esprimere una propria valutazione anche etica su un provvedimento (ancora in via di definizione) di uno Stato, mentre 18 Stati, tra cui il nostro, esprimono lo stesso tipo di preoccupazione circa una legge ungherese riguardante, sia pure sotto un diverso profilo, lo stesso problema? Il pensiero corre alla pittura di Goya: il sonno della ragione genera mostri… anche in questo caso.
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