Il nostro inno nazionale ha una storia piuttosto complessa e forse non conosciuta in tutti i suoi aspetti: pochi sanno ad esempio che solo dal 2017 l’inno scritto da Goffredo Mameli è l’inno nazionale italiano.
L’inno ebbe un’origine per molti aspetti fortuita. Goffredo Mameli, nato nel 1827 a Genova, discendente da una famiglia di antica nobiltà sarda, era un giovane patriota, seguace di Giuseppe Mazzini: quando non aveva ancora venti anni scrisse (1847) il testo de “Il canto degli italiani”, destinato nelle sue intenzioni a diventare il canto di tutti coloro che lottavano per l’indipendenza nazionale.
Il giovane Mameli non ebbe la possibilità di veder realizzato il suo progetto: partecipò con Mazzini agli eventi per la costituzione a Roma, sottratta al dominio dello Stato Pontificio e difesa dalle truppe francesi, della Repubblica Romana, divenne nell’occasione aiutante di Garibaldi e morì il 6 luglio 1849 in seguito ad una ferita provocata da una fucilata francese.
Il testo del canto fu portato, subito dopo essere stato scritto, ad una riunione patriottica cui partecipava anche il compositore genovese Michele Novaro che se ne entusiasmò, tanto da sedersi subito al clavicembalo per iniziare a musicarlo, cosa che accadde in pochi giorni.
Presto la conoscenza dell’Inno si diffuse tra tutti coloro che si battevano per l’unità nazionale, la quinta strofa fu aggiunta da Mameli dopo la prima stampa del canto in quanto inizialmente censurata dal governo piemontese perché ritenuta troppo ostile all’Austria.
Il canto sfuggiva ad un preciso schema, pur appartenendo al filone del romanticismo risorgimentale e conteneva alcuni espliciti riferimenti agli ideali mazziniani (ad esempio l’invocazione a Dio a favore dell’unità d’Italia).
Fu cantato per la prima volta a Genova durante una manifestazione popolare alla quale parteciparono trentamila persone provenienti da tutta Italia, per ricordare l’anniversario della rivolta (1746) del quartiere Portoria contro gli austriaci che occupavano la città e per chiedere al Re di Sardegna la concessione dello Statuto, cosa che avvenne l’anno successivo.
Il canto ebbe una rapidissima diffusione in Piemonte, malgrado alcuni come Giuseppe Mazzini lo ritenevano non sufficientemente marziale: prese ad essere cantato ogni volta che si trattava di avvenimenti relativi alla lotta contro l’occupazione dell’Italia da parte degli stranieri (nel 1848 durante le 5 giornate di Milano, nel 1849 nella Repubblica Romana, nel 1860 da coloro che parteciparono alla spedizione guidata da Garibaldi nel Regno delle Due Sicilie).
Nel 1861, costituito il Regno d’Italia, fu decretato che la marcia reale, già inno ufficiale del Regno di Sardegna, divenisse inno nazionale. “Il canto degli italiani”, di impronta repubblicana giacobina mal si conciliava con i principi fondamentali del Regno d’Italia, mentre non trovava il favore di quelle correnti politiche più innovatrici che lo ritenevano troppo moderato.
Negli anni successivi l’inno continua ad essere molto popolare, fino a quando nel periodo fascista non gli furono preferite composizioni più in armonia con il regime, mentre la marcia reale continuava ad essere l’inno nazionale.
Dopo l’armistizio (1943) il governo italiano sostituì la marcia reale con “la canzone del Piave”, fino al 1946, quando Cipriano Facchinetti, repubblicano e ministro della guerra, decretò che durante il giuramento delle forze armate del 4 novembre fosse adottato il canto di Mameli.
Si aprì un dibattito tra chi sosteneva che la scelta fatta dovesse essere definitiva e chi avrebbe invece preferito quale inno nazionale quello di Garibaldi. Il 12 ottobre 1946 il Consiglio dei Ministri decise che provvisoriamente l’inno di Mameli sarebbe stato l’inno nazionale.
Negli anni successivi, in particolare negli anni ‘60 del secolo scorso vi furono proposte di varie parti politiche tendenti alla sostituzione con altri inni che meglio segnassero l’identità della Repubblica.
Il tentativo non ebbe esito: con la Legge 4 dicembre 2017 numero 181 è stato stabilito che “Il canto degli italiani” è l’inno nazionale della Repubblica Italiana.
L’inno, suonato in tutte le competizioni sportive in cui un italiano o una italiana sale sul podio dei vincitori, ha ormai assunto grande popolarità internazionale, divenendo parte integrante della immagine del nostro Paese: forse era quanto Mameli aveva sperato.
Il nostro inno nazionale non è una marcia di guerra come quello francese, non ha la solennità di quello inglese, non ha i toni roboanti di quello tedesco, nè i mille echi musicali di quello statunitense. E’ un inno alla libertà dei popoli, una condanna delle guerre di sopraffazione, una affermazione della necessaria coesione di un popolo per vincere le sue battaglie pacifiche: forse, anche per questi motivi, ha avuto tanta diffusione in Italia e nel mondo.
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
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