Questa settimana ho il piacere di condividere con voi l’intervista a Cristiano Boscato, autore del libro “In una notte d’estate ho sognato il futuro”.
Per chi già non ti conosce, potresti raccontare chi e cosa fa Cristiano Boscato?
Negli anni sono stato founder e amministratore di numerose aziende che si occupano di tecnologia e innovazione, oggi diventate società di rilievo a livello nazionale. Attualmente sono Executive Vice President di Injenia (gruppo Maggioli), membro del board direttivo di Enchora e Direttore Didattico e Adjunct Professor alla Bologna Business School.
Da sempre sono curioso e affascinato da tutto ciò che è innovazione, crescita e miglioramento e ho sempre cercato di coniugare un approccio umanistico al mio percorso imprenditoriale, facendomi portavoce di un cambiamento culturale, ancor prima che tecnologico, nel modo di fare business e di lavorare.
Ha collaborato con diverse testate fra cui Forbes, Il Sole 24 Ore, Wired e Rewriters Magazine.
Di recente, ho scritto “In una notte d’estate ho sognato il futuro” con l’intento di raccogliere ciò che ho appreso, ragionato e capito dalle mie esperienze come imprenditore nell’ambito dell’innovazione tecnologica, consulente e docente. Sono stato inserito tra i 100 Forbes Manager dell’anno.
A chi si rivolge il libro “In una notte d’estate ho sognato il futuro”?
Il libro è stato pensato e scritto per cercare di rispondere alla domanda su quale sia il modo migliore con cui un’azienda, un team o un singolo possano reagire al movimento tellurico che stiamo vivendo e rispondere alle sfide che ci si presentano dinnanzi quotidianamente. Pertanto si rivolge in primis a manager o imprenditori, ma in generale a chiunque voglia fare un po’ di chiarezza e avere qualche strumento per affrontare il cambiamento, che è un fattore che investe le vite di tutti, fuori e dentro le aziende.
Che cosa significa per te il cambiamento? È un qualcosa da temere o piuttosto un potenziale stimolo positivo?
Il cambiamento è un tema che sento centrale in tutte le organizzazioni perché da esso ne dipende la crescita e la stessa sopravvivenza. E non può essere inteso come qualcosa da temere o da evitare per il semplice fatto che non possiamo evitarlo. C’è, punto. Viviamo in una situazione in continua trasformazione e dobbiamo imparare a evolverci secondo essa.
Il fatto è che il cambiamento è un tema culturale, ancor prima che tecnologico, nel modo di fare business e di lavorare. La cultura è il punto di partenza per l’evoluzione dell’impresa e dei singoli, è l’elemento che consente di rimanere stabile, in equilibrio appunto, mentre attraversa i cambiamenti. La cultura solida permette di mutare, rimanendo sé stessi. La cultura d’impresa autentica si fonda sulla trasparenza negli obiettivi e la condivisione della conoscenza del proprio business.
Le aziende devono strutturarsi per affrontare il cambiamento, ma è la cultura che muove e direziona le mosse sulla scacchiera e il processo di cambiamento deve coinvolgere tutte le persone affinchè sia pervasivo e di valore.
Nel tuo libro parli di organizzazioni che dovranno assomigliare ad ecosistemi in grado non solo di adattarsi a repentine sollecitazioni che arrivano dall’esterno, ma anche di reagire tempestivamente per trovare un nuovo equilibrio. Come vedi in generale il tessuto imprenditoriale italiano sotto questo aspetto e relativamente alla capacità di gestire il cambiamento?
In oltre dieci anni di confronto e lavoro con le aziende italiane, ne ho viste di ogni. C’è sicuramente tanta resistenza al cambiamento, anche se, alla fine, come dicevo prima, tutti devono reagire, pena la sopravvivenza stessa delle organizzazioni. Ma questa resistenza causa rallentamento, mancanza di velocità, di tempestività. L’altro problema è che le aziende tendono a cercare soluzioni in singoli progetti, nella tecnologia fine a se stessa, in azioni a macchia d’olio tanto eclatanti quanto prive di un reale impatto.
Vedo in generale dei segnali positivi, ma molto a macchia di leopardo, che non hanno un supporto culturale fondante, e più giocato a livello tattico che strategico.
Hai per caso letto il libro di April Rinne “Flux”? Tratti il tema del cambiamento in una maniera simile a come viene affrontato da April nel suo libro dal punto di vista dell’individuo.
No, non l’ho letto, ma recupero subito. Grazie.
Cosa pensi di smart working e lavoro ibrido?
Lo smart working può migliorare l’equilibrio vita privata e vita lavorativa e quindi aumentare il benessere delle persone. Ma soprattutto è un’evidenza del fatto che il cambiamento è con noi ogni giorno e che non si può arrestare, ma va organizzato.
Come scrivo nel mio libro, lo smart working è un bilanciamento tra fiducia e responsabilità. Ti do la fiducia di gestire il tempo come meglio credi, ma in cambio mi aspetto che tu sia responsabile nell’arrivare agli obiettivi che ci siamo dati. Anche qui è una questione culturale e organizzativa.
In generale, credo che non sia sano tornare a un modello classico, ma nemmeno portare all’estremo lo smart working. Ci vuole equilibrio, misurazione, ascolto e attenzione.
Quale deve essere secondo te il ruolo della tecnologia nelle aziende e nel mondo del lavoro?
Nelle aziende, la tecnologia ha un ruolo sicuramente centrale, soprattutto per la velocità di risposta ai mutamenti che ci permette di ottenere. Ma, da sola, non è la soluzione a tutto.
Perché la tecnologia possa avere degli effetti davvero di valore nel traghettare le organizzazioni verso il futuro, bisogna partire dalle persone.
L’errore che viene commesso è considerare persone e tecnologie come elementi separati, senza aver presente che un’impresa può evolvere se – e solo se – la tecnologia, ma soprattutto la consapevolezza delle sue possibilità e dei suoi limiti, viene diffusa all’interno dell’intero sistema impresa e non materia da confinare alla funzione IT.
Le aziende, prima di preoccuparsi di quale tecnologia scegliere, devono far sì che ogni collaboratore possa avere uno sguardo d’insieme per capire come la tecnologia può supportare il business, il decision making e la comunicazione. Dobbiamo essere tutti conoscitori e fruitori di tecnologia, oggi è indispensabile.
In primis, il ruolo della tecnologia in azienda è quello di facilitatore della comunicazione. Deve facilitare la trasmissione dell’’informazione, l’agire e reagire trasformando l’informazione in decisione e l’accesso all’informazione, ovvero la capacità di acquisirla e ricercarla.
Come deve essere la leadership nelle nuove organizzazioni “ecosistemi”?
Nelle nuove organizzazioni va costruita una nuova tipologia di leadership che si affianca a quella tradizionale, quella gerarchica in cui il “capo” è il superiore gerarchico. Sto parlando di una leadership che definirei di “scopo”, che viene guadagnata sul campo e attribuita di fatto dal gruppo. Questa leadership non è immutabile perché il leader può essere di volta in volta diverso, è colui che emerge, in quel determinato frangente, per competenze, conoscenze, skill e capacità di decidere per quello scopo. E’ una leadership che si basa sulle competenze, ognuno diventa responsabile sulla base del valore espresso.
La leadership di scopo, come ho detto prima, affianca quella gerarchica perchè al leader gerarchico aspetta comunque il compito di definire obiettivi, visioni, mission e valori.
Se dovessi consigliare un libro da leggere assolutamente – a parte il tuo -, che consiglio daresti?
Dico un’ovvietà se dico le Lezioni Americane di Calvino?
No, affatto. Ma per quale motivo lo consigli?
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