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L’Italia e il petrolio in Libia: fu cercato? Fu trovato?

L’Italia è il petrolio in Libia, un mistero che durò oltre 50 anni? Gli italiani cercarono il petrolio quando la Libia divenne una colonia? Lo trovarono? Recenti ricerche e la desecretazione di alcuni documenti fanno luce su un mistero che unisce politica, affari e finanza internazionale.

E’ il 1926: gli italiani stanno scoprendo l’automobile che avrà il suo boon negli anni 50 e 60 del secolo.

Da pochi mesi è apparsa sul mercato la nuova 509 della Fiat, destinata ad un grande successo di mercato: alcune 509 si vedevano ancora sulle strade italiane vent’anni dopo.

Cresce il consumo della benzina e quindi l’importazione del petrolio. Quello italiano è un mercato importante, in mano alla Esso Standard Oil, statunitense, ed alla anglo-olandese Royal Ducth-Shell, due tra le maggiori compagnie petrolifere del mondo. Hanno amicizie molto potenti anche all’interno del Ministero dell’industria, competente per tutto quanto riguarda il petrolio, e non sembrano assolutamente disposte a cedere spazio alla concorrenza.

Nasce l’AGIP

Difficile che un regime nazionalista come quello fascista possa accettare a lungo una tale situazione. Nel 1926 viene infatti fondata l’Azienda generale italiana petroli (A.G.I.P.), per la ricerca, la raffinazione e la distribuzione dei prodotti petroliferi.

Anche l’Italia entrerà nel mercato internazionale del petrolio: sembra anzi che nella pianura padana e in Sicilia ci siano importanti giacimenti. Da ora in poi sarà l’A.G.I.P. ad avere in esclusiva la concessione per la ricerca.

Petrolio in Libia, gli italiani lo cercarono?

Ma oltre il suolo italiano, anche quello delle colonie, la Libia prima e l’Africa orientale dal 1935, anno della proclamazione dell’Impero, potrebbe riservare gradite sorprese.

La Libia è infatti oggi un importante esportatore di petrolio, un petrolio a basso contenuto di zolfo e quindi molto pregiato. Le rilevazioni sul sottosuolo libico hanno consentito di accertare riserve per molti migliaia di milioni di tonnellate, un mare di petrolio che si estende anche nelle profondità marine.

Possibile che, a partire dal 1912, quando la Libia diventò una colonia, gli italiani non avessero mai cercato il petrolio?

Possibile che non l’avessero mai trovato?

Possibile una tale trascuratezza da parte dell’A.G.I.P.?

C’entra qualcosa il petrolio con il fatto che dopo il 1945 la Libia cessò di essere una colonia italiana?

Perché venne inserita con la risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU del 1949 nella zona di influenza inglese, con la costituzione del debole regno dell’emiro Mohammed Idris, capo dei Senussiti, una delle grandi famiglie libiche, ed esponente di primo piano della resistenza libica all’occupazione italiana?

Prevalse veramente la volontà di rendere indipendente la Libia da qualunque dominazione straniera o non si trattò piuttosto di un equilibrio faticosamente raggiunto tra interessi economici internazionali, ed in particolare di quelli presenti nel mercato internazionale del petrolio?

Italia e petrolio in Libia una vicenda con molti punti oscuri

E’ una vicenda che presenta ancora molti punti oscuri: una recente ricerca può contribuire a fare luce su quanto accadde più di mezzo secolo fa.

La storia inizia a Roma nel 1945, in una Roma in cui le forze alleate sono arrivate da pochi mesi. Via della Conciliazione, non ancora costruita, è uno sterrato dove sostano i camion militari.

In città fino alla metà di gennaio quando il suo capo viene ucciso in circostanze ancora da chiarire, imperversa la banda del “Gobbo del Quarticciolo”, un popolare quartiere alla periferia della città.

Collaborazionisti di tedeschi e fascisti stanno rintanati in casa per sottrarsi a una sorte incerta. Il popolo della borsa nera fa affari d’oro a Tor di Nona, in pieno centro storico, a Campo dei Fiori, a Piazza Vittorio e in mille altre strade e vicoli della città.

Si compra e vende tutto: gioielli, mobili antichi, quadri e anche documenti in grande quantità, veri o falsi che siano, importanti e meno importanti, estratti da bauli polverosi o semplicemente sottratti dagli uffici della capitale restati senza sorveglianza.

Tutti hanno qualcosa da vendere e tutti sembrano trovare un acquirente: è la strada per una ricchezza inaspettata o magari solo per acquistare i generi alimentari indispensabili.

Chi era davvero il misterioso Mister Pollok?

In questo scenario compare un inglese, un tale signor Pollok. Chi era veramente mister Pollok? Molte incertezze esistono ancora a proposito della sua identificazione. Certo è che era di nazionalità inglese: il dubbio è se si trattasse di John Pollok, capo della polizia militare, o di William Montagne Pollok, capo della divisione finanziaria del Governo Militare alleato, un dubbio che nessun documento ha consentito finora di chiarire.

Una ricerca effettuata da Giovanni Buccianti, professore all’Università di Siena, ha accertato che William Horace Montagne Pollok, un diplomatico inglese che già nel 1927 era stato addetto all’ambasciata inglese a Roma, giunse nuovamente nella capitale nel 1945 per discutere sull’attività del British Council ed ebbe incontri con importanti personalità italiane, non meglio identificabili.

Qualunque fosse la natura del suo incarico in Italia, sta di fatto che i documenti conservati nel suo fascicolo personale presso il P.R.O. a Londra provano che era persona esperta in questioni petrolifere: ne fa fede un suo rapporto dalla Siria, dove era stato inviato dal Governo inglese per trattare una questione riguardante la Irak Petroleum Company.

La compagnia era quasi interamente di proprietà della British Petroleum, la compagnia petrolifera dello Stato britannico e tendeva ad ottenere nuove concessioni di ricerca in Irak.

Esiste anche negli Archivi del Quai d’Orsay, il Ministero degli esteri francese, una lettera di Pollok del 1948, da Bruxelles, dove si trovava in qualità di incaricato d’affari inglese, indirizzata all’ambasciatore francese in quella città per sostenere la esclusione di qualunque presenza italiana in Libia.

Il Pollok della nostra storia aveva dunque già espletato importanti missioni all’estero per il suo Paese a proposito del petrolio.

Pollok ed i documenti dell’Agip sul petrolio in Libia

Fu lui ad entrare in contatto con un funzionario dell’AGIP per acquistare i documenti custoditi ancora presso la società riguardanti la ricerca del petrolio in Libia?

Oppure a recarsi presso gli uffici dell’AGIP in Via Po a Roma a prelevare quei documenti fu l’omonimo Pollok, capo della polizia militare alleata?

Le conoscenze attuali non consentono ancora oggi di risolvere il dubbio: certo è che la polizia militare alleata si recò effettivamente presso la sede dell’AGIP a Roma e prelevò alcuni documenti. Erano quelli riguardanti il petrolio libico? Ed in questo caso chi trasmise l’ordine di prelevarli? Come faceva ad essere informato della loro esistenza? Ci fu una talpa che guidò la polizia militare fino dentro gli uffici di Via Po? Mistero più fitto su tutto questo, tanto da rendere una simile versione dei fatti abbastanza improbabile.

Più verosimile è che quei documenti vennero offerti in vendita da qualcuno che ne era entrato in possesso al Governo inglese che inviò il diplomatico Pollok ad acquistarli: non si spiegherebbe altrimenti perché la sua cartella personale, accessibile solo dall’anno 2000, sia conservata, non già, come avrebbe dovuto, presso il P.R.O. del Foreign Office, ma presso gli Archivi del Department of Trade and Industry, che si occupa fra l’altro del commercio del petrolio.

Ma quali documenti furono acquistati o requisiti a Roma nel 1945 dagli inglesi? Probabilmente si trattò di quelli fatti pervenire all’AGIP nella seconda metà degli anni ’30 da Ardito Desio, un illustre geologo italiano capo di molte missioni scientifiche all’estero, tra le quali quella che nel 1954 portò gli italiani Lacedelli e Compagnoni sulla vetta del K2.

Nel 1936 Desio era stato nominato dal Governatore della Libia Italo Balbo, suo vecchio amico, Sovrintendente Geologico della colonia italiana con un programma molto ambizioso.

A quel tempo l’esplorazione scientifica del territorio libico era ancora molto limitata, indirizzata quasi esclusivamente alla ricerca di fosfati, di cui si diceva la regione fosse ricca.

Balbo, nominato governatore della Libia dal 1° gennaio 1934, era un uomo di grande prestigio nel fascismo. Era stato il suo capo militare prima dell’avvento al potere, forse anche l’ideatore della marcia su Roma. Nel 1931, primo italiano, aveva volato senza scalo oltre l’Atlantico, era maresciallo dell’aria, aveva una vasta popolarità in Italia e all’estero.

Era un uomo intelligente e si rese presto conto che la politica duramente repressiva seguita dai suoi predecessori Badoglio e Graziani non poteva seguitare a lungo anche per gli scarsi risultati ottenuti.

Decise di cambiare politica: nel regime fascista aveva l’autorità necessaria per farlo. Liberò i detenuti politici, cercò di migliorare i rapporti con gli arabi e promosse iniziative per lo sviluppo economico della regione.

Alcune decine di migliaia di coloni italiani sbarcarono in Libia, si costruirono strade, tra cui la famosa litoranea alla quale venne dato il nome del Governatore, iniziò la colonizzazione, molto costosa sia per gli italiani per gli investimenti richiesti, che per i libici, che perdevano la proprietà della terra e venivano spostati verso le regioni più interne e desertiche.

Era necessario trovare alternative ad uno sviluppo centrato tutto sull’agricoltura e la pastorizia. Si diceva che il territorio libico fosse ricco di minerali: occorreva cercarli e l’unico adatto poteva essere Desio, che si mise subito all’opera con i suoi collaboratori.

Nel 1937 al pozzo di Mellaha i ricercatori guidati da Desio notarono per la prima volta “la presenza di olio grezzo convogliato insieme all’acqua alla profondità di 260 metri”. Per ordine di Mussolini, subito informato della scoperta, il presidente dell’AGIP Puppini prese contatto con Desio per garantirgli la collaborazione dell’Azienda nelle sue ricerche.

L’AGIP aveva fino a quel momento operato con scarso successo in Irak da dove era stata costretta a ritirarsi per le abili manovre delle compagnie petrolifere inglesi. In Albania, dove aveva pure avuto concessioni, l’impresa si era mostrata ampiamente in perdita. In Romania era avvenuto altrettanto con risultati finanziariamente deludenti.

La Libia poteva essere per l’AGIP la grande speranza per il futuro: l’Azienda mostrò subito di voler puntare su di essa tutte le sue risorse.

Nell’ottobre 1937 Desio, di ritorno dalla Libia, presentò all’AGIP una ampia relazione tecnico scientifica sul territorio libico esplorato: la Gefara Tripolina apriva “alle ricerche petrolifere un vasto campo, data la grande estensione” dell’area interessata “sia nella fascia costiera ad occidente sia più largamente verso la Sirte”. L’esplorazione geologica, secondo le stime dell’ufficio tecnico dell’AGIP, avrebbe richiesto due anni di tempo e 5.700.000 lire di spesa.

Mussolini, informato dal presidente dell’AGIP del progetto e della spesa, sembrò non particolarmente interessato alla cosa. La conquista dell’Africa Orientale esigeva in quel momento che tutti gli sforzi fossero indirizzati a dimostrare che per l’Italia si era trattato di un affare d’oro: era nelle nuove terre dell’Impero che doveva essere trovato il petrolio o qualunque altro prezioso giacimento.

Le ricerche italiane del petrolio in Libia

Le ricerche del petrolio in Libia furono proseguite a partire dal marzo 1938 con i limitati mezzi finanziari a disposizione. Per il collegamento tra Tripoli e le sonde —quattro in tutto, tutte con limitate capacità di perforazione — fu utilizzato un vecchio camion Bianchi — Mediolanum 68 diesel e per il servizio di sorveglianza fu acquistata una motocicletta d’occasione.

Desio, intervistato nel dopoguerra, alla domanda sul perché non fu trovato il petrolio, rispose che questo dipendeva dal fatto che la ricerca era stata limitata ad alcune zone vicino Tripoli: era stato effettuato però — e questo è molto importante per comprendere gli avvenimenti successivi — il rilievo geologico di tutta la Libia e studiato un nuovo programma di ricerche che tuttavia a causa della guerra non poté essere attuato.

Aggiunse Desio che “Fu solo questione di tempo: se non ci fossero stati gli eventi bellici, nel giro di tre o quattro anni l’avremmo trovato”. Non fu trovato subito, secondo Desio, perchè “Per trovarlo era necessaria una conoscenza del sottosuolo fatta di rilevamento geofisico. Noi non avevamo i mezzi per farlo”.

Mancò il tempo, mancarono i mezzi, il petrolio non fu trovato anche se fu raggiunta la certezza che i giacimenti di petrolio in Libia erano una realtà e non solo una ipotesi come quella dei fosfati.

Con la guerra la parentesi si chiuse: gli eventi bellici sul territorio libico impedirono la prosecuzione di qualsiasi attività di ricerca.

Il 10 aprile 1945 Arnaldo Petretti, Presidente dell’AGIP per il “regno del sud” — un altro consiglio di amministrazione dell’Azienda e un altro Presidente erano stati nominati al Nord dal Governo della Repubblica Sociale — svolse un’ampia relazione al Consiglio di amministrazione in cui si sosteneva la necessità di abbandonare qualsiasi attività di ricerca, lasciandola all’iniziativa privata.

Il 13 aprile successivo lo stesso Consiglio di Amministrazione si riunì per approvare una “Relazione sulla situazione contabile provvisoria” nella quale si dava notizia che l’Ufficio stralcio dell’azienda, malgrado l’ordine di trasferire al nord tutti i registri era riuscito “molto abilmente ed opportunamente a conservare documenti e registri.

Esistevano documenti sulla esistenza di giacimenti petroliferi in Libia?

Quali fossero questi documenti non è specificato: è da presumere però che tra essi vi fossero quelli sulle ricerche effettuate in Libia. Nella relazione si parla infatti della “asportazione di tutti i registri”: ad essere trasferito fu dunque materiale di poco conto mentre tutto quello ritenuto più importante — e tra esso vi erano certamente le relazioni di Desio — restò a Roma, conservato negli uffici dell’azienda.

A sapere della esistenza di quelle relazioni erano in molti: non solo i funzionari dell’AGIP che avevano seguito le ricerche e coloro che vi avevano collaborato a vario titolo, ma anche i componenti del Comitato italiano petroli, istituito nel 1944 per coordinare in via straordinaria l’approvvigionamento dei prodotti petroliferi per uso militare e civile, ospitato prima a Milano e poi a Roma, nella sede dell’AGIP. Del Comitato facevano parte, oltre che i rappresentanti dell’AGIP, quelli delle compagnie petrolifere straniere: niente di meglio per uno scambio di notizie, di confidenze, tra i componenti del comitato e coloro che vi erano addetti.

Documenti sulla esistenza di giacimenti petroliferi in Libia dunque esistevano presso l’AGIP a Roma. Gli inglesi ne vennero a conoscenza e nel 1945, attraverso Pollok, che, chiunque fosse, agiva a colpo sicuro, ne entrarono in possesso.

Fu un avvenimento molto importante per la sorte dell’ex colonia italiana, già oggetto di molti appetiti dei Paesi vincitori, assolutamente non persuasi che la Libia fosse solo uno “scatolone di sabbia”. “Non credo che ci sarà gara per sfruttare petroli che non ci sono” dichiarò il Presidente del Consiglio De Gasperi alla Consulta il 21 gennaio 1946: altri però la pensavano diversamente.

Fin dal 1943 De Gaulle ad Algeri aveva espresso al Conte Sforza, che quattro anni dopo diverrà Ministro degli esteri nel III° Governo De Gasperi, l’intenzione della Francia di tenere per sé il Fezzan dove, secondo alcune stime, c’era probabilmente petrolio, lasciando la Cirenaica agli inglesi.

Dal canto loro gli inglesi, nel Memorandum Hood del 1944 si dichiararono disponibili a restituire all’Italia la Tripolitania, mentre la Cirenaica sarebbe dovuta diventare un territorio autonomo. Gli Stati Uniti si dichiararono sostanzialmente d’accordo sulla spartizione in tre parti della Libia; il Fezzan alla Francia, la Tripolitania all’Italia e la Cirenaica nella zona di influenza inglese attraverso un emirato amico.

La posizione inglese mutò rapidamente: l’Italia per nessuna ragione doveva tornare in Libia. Documenti inglesi del 1945 legano esplicitamente il futuro della Libia alla questione del petrolio, una questione della quale nessuno dei Paesi alleati sembrò voler parlare esplicitamente alla conferenza di Potsdam, che si aprì il 17 luglio 1945. Stalin si inserì nel gioco reclamando la partecipazione russa alla divisione tra gli alleati delle colonie italiane, Libia compresa.

Secondo documenti francesi dell’epoca, la preoccupazione russa a proposito della Libia era di togliere ad inglesi e americani riserve petrolifere, che sarebbero divenute preziose quando le risorse disponibili avessero cominciato a scarseggiare.

A Potsdam fu impossibile trovare un accordo sulla sorte delle colonie italiane e la soluzione fu rinviata.

L’Italia tentò di trovare spazio nel dibattito approfittando dei dissensi fra gli Alleati fino a proporre a proposito della Libia un “regime internazionalmente concordato per la Marmarica” mentre il resto del territorio avrebbe dovuto essere lasciato all’Italia. Ma la proposta non fu accolta, così come non ebbe seguito per l’opposizione inglese la proposta americana di una sorta di condominio internazionale in Libia.

La decisione degli alleati: “Gli italiani non devono tornare in Libia”

Iniziò a farsi strada la proposta della Gran Bretagna di costituire in Libia uno stato indipendente. Il rapporto tra Londra e i Senussi era ottimo e con Idris, il loro capo, Londra aveva già stabilito un solido rapporto.

Lo scenario nascosto di tutta la vicenda è chiaro in un documento francese classificato “segretissimo” del 1947 che ha l’illuminante titolo “La Petrole e la Conférence de la Paix”. I dati contenuti nel documento indicano che il 90 per cento della produzione mondiale del petrolio nel 1945 era sotto il controllo inglese e americano.

Nessuno aveva interesse a modificare la situazione lasciando zone ricche di petrolio in mano ad altri, come l’Italia o la Francia. Non l’avevano né l’Inghilterra e gli Stati Uniti, interessati a conservare il loro predominio nel mercato petrolifero, né la Russia, che tendeva ad elevare la propria produzione, bloccata al 7 per cento di quella mondiale e, nel frattempo, a non consentire un incremento delle risorse petrolifere anglo americane.

La Conferenza della pace che si svolse a Parigi dal 19 luglio al 15 ottobre 1946 e dove l’atteggiamento inglese fu di dura chiusura alla tesi sostenuta da De Gasperi di un mandato internazionale per l’Italia in Libia, si concluse con l’approvazione dell’art. 23 dello schema di trattato di pace che imponeva all’Italia la rinuncia ad una sua presenza in Africa; la sorte definitiva delle ex colonie sarebbe stata stabilita entro un anno dai Governi di Francia, Russia, Stati Uniti e Inghilterra.

Fu il momento per le grandi compagnie petrolifere mondiali di venire allo scoperto. Già a metà del 1947 gli inglesi si dimostrarono molto preoccupati per la notizia che il geologo capo della Standard Oil Company of Egypt aveva intenzione di recarsi in Libia con un geologo italiano (probabilmente un tale Marchesini) per esaminare l’area interna a Bengasi.

La decisione del Governo inglese, come dimostrano i documenti conservati presso il Department of Trade and Industry Development, fu di mantenere il massimo segreto sul petrolio libico, nel timore che esso venisse anche solo citato nelle trattative in corso tra le quattro potenze alleate a proposito della sorte dell’ex colonia italiana, indebolendo la credibilità dell’azione diplomatica inglese a favore dell’indipendenza libica.

Riapparvero quasi miracolosamente le carte di Desio: ad esse si fa riferimento in alcune lettere di alti funzionari governativi inglesi a proposito delle mappe in corso di preparazione per la ricerca del petrolio libico e per salvaguardare gli interessi britannici nella regione.

Il 31 dicembre 1947, l’Anglo-Iranian Oil Company informò il Ministero inglese dell’energia che l’AGIP, che vantava ancora le vecchie concessioni di ricerca in Libia attraverso la Petrolibia, aveva invitato la Compagnia inglese ad entrare nella società, che aveva già richiesto all’autorità militare di occupazione inglese di riprendere le ricerche petrolifere.

Il tentativo (fallito) di Mattei di portare l’Agip in Libia

Enrico Mattei, il nuovo Presidente dell’AGIP, tentava chiaramente di aggirare l’ostacolo: la Compagnia statale inglese, con la quale l’AGIP aveva già stipulato un accordo di cooperazione, avrebbe potuto agire per rendere più duttile la posizione inglese contro la presenza italiana in Libia.

Gli inglesi bloccarono subito il tentativo: nessuna rimozione del divieto all’AGIP di riprendere le ricerche, anche se associata ad una compagnia petrolifera inglese.

Nel maggio 1948 la scoperta da parte dei francesi di un vasto giacimento petrolifero nel Fezzan, vicino al confine algerino, in una zona occupata dalle truppe golliste complicò ancora di più il problema: l’interesse del Governo Francese divenne quello di appoggiare le richieste italiane per bloccare la presenza dell’Inghilterra in Libia.

Alla conferenza dei governi alleati che avrebbe dovuto decidere sulle sorti delle colonie italiane, l’Inghilterra continuò a richiedere la Cirenaica per i Senussi, mentre la Francia insisté per restare nel Fezzan.

Gli Stati Uniti erano sostanzialmente allineati con l’Inghilterra e la Russia con la Francia. L’accordo non fu trovato e la questione fu deferita all’Assemblea generale dell’ONU.

A sorpresa il 31 gennaio 1949 il Governo canadese propose a quello francese uno sfruttamento in comune del petrolio del Fezzan riservando alla Francia il 51 per cento dei proventi più altri vantaggi economici. Stranamente la Francia non rispose all’invito, forse certa di poter gestire da sola l’affare.

Per un solo voto, quello di Haiti, l’assemblea dell’O.N.U. il 17 maggio 1949 bocciò un accordo tra Sforza, Ministro degli esteri italiano, e Bevin, Ministro degli esteri inglese, che prevedeva la divisione della Libia in tre parti, assegnando il Fezzan ai francesi e la Cirenaica agli inglesi. La Tripolitania sarebbe restata sotto amministrazione inglese, assistita da un consiglio consultivo, fino al 1951: a partire da quella data sarebbe subentrata l’amministrazione italiana.

La Libia indipendente ma petrolio ad USA e UK

Tramontata l’ipotesi dell’accordo, fu facile per Inghilterra e Stati Uniti, all’inizio della guerra fredda, trovare un accordo sulla Libia che garantisse gli equilibri esistenti a proposito delle fonti di energia: indipendenza alla Libia e sua consegna al Gran Senussi Idris, a garanzia degli interessi politici — ma anche di quelli petroliferi — inglesi e americani.

Il 21 novembre 1949 l’Assemblea generale dell’O.N.U. approvò una risoluzione che raccomandava la creazione in Libia entro il 1° gennaio 1952 di uno stato indipendente, che non poteva non essere guidato dai Senussiti per gli impegni precedentemente assunti dall’Inghilterra, e quindi nella sfera di influenza inglese.

Il 7 ottobre 1951 l’assemblea nazionale libica approvò la Costituzione del nuovo regno della Libia, di forma federale e a regime parlamentare. Re del nuovo Stato divenne Mohammed Idris. L’Inghilterra aveva vinto, forse un po’ anche per merito, almeno per gli inglesi, del signor Pollock.

Fioccarono presto le concessioni per la ricerca del petrolio nel territorio libico a compagnie petrolifere inglesi e americane. Il primo pozzo di petrolio venne perforato dalla Liby and American Oil il 30 aprile 1956, ai confini con l’Algeria: dava però solo 500 barili al giorno e venne abbandonato.

Il 10 giugno 1959 da un pozzo della Esso Standard Libia profondo 1650 metri, nella regione di Zelten, proprio ai margini della regione della Gefara, scaturì un getto impetuoso di petrolio valutato in 17 mila barili al giorno: furono poi i pozzi della Shell, dell’Oasis, della Gulf, della Texas, dell’American Overseas ad entrare in produzione.

Il 12 settembre 1961 il petrolio libico venne per la prima volta caricato direttamente sulle petroliere nel porto di Marsa El Brega, dopo aver percorso i 167 chilometri del nuovo oleodotto. Nel 1965 la Libia già produceva 58,5 milioni di tonnellate di petrolio l’anno, più di qualunque altro paese dell’Africa.

L’AGIP tentò di inserirsi ma senza successo. Nel 1957 ottenne dal Governo Libico una concessione nel Fezzan ma emissari americani riuscirono con il pagamento di molti dollari a fare revocare la concessione che fu attribuita all’American Overseas Petroleum, emanazione della Texaco e della Standard Oil.

L’avvento di Gheddafi e la fine dello sfruttamento petrolifero straniero in Libia

Nel 1969 la rivoluzione guidata dal Colonnello Gheddafi determinerà un totale mutamento di scenario anche a proposito delle concessioni petrolifere a compagnie straniere, che furono subordinate a diverse e meno vantaggiose condizioni.

Nel 1984 l’AGIP stipulò un importante accordo con il governo libico, fra l’altro per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel mare davanti a Tripoli. Erano passati quasi quaranta anni dalla missione a Roma del signor Pollok: tutto sommato era stata una missione alla fine inutile.


Bibliografia

  • Del Boca Angelo, “Gli italiani in Libia”, Milano, Mondadori, 2002.
  • Pizzigallo Matteo, “La politica estera dell’AGIP (1933 — 1940), Milano, Giuffrè, 1992.
  • Buccianti Giovanni, “Libia: petrolio e indipendenza”, Milano, Giuffrè, 1999.
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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