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La pandemia ha reso evidente la grande mancanza di leadership

Senza dubbio si può affermare che non si è mai verificata una mancanza di leadership come durante questa pandemia, a tutti i livelli: politico, economico, imprenditoriale, scientifico, mediatico, religioso e sociale.

            Per definizione, il ruolo e compito di un leader é trovare soluzioni difficili in periodi turbolenti. La leadership in tempi normali é facile da dimostrare, anche se in questo caso forse la si dovrebbe chiamare “normale amministrazione”.

            La vera leadership si mostra in tempi di crisi, come ci ricordano i discorsi e le azioni del primo ministro britannico Winston Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale.

            I nostri cosiddetti leader hanno invece affrontato la pandemia con un collettivo “aspettiamo che passi“. Immaginatevi ora Churchill che, durante i bombardamenti tedeschi su Londra cominciati nel 1940 e finiti nel 1945, avesse detto “chiudiamoci in casa ed aspettiamo che finiscano!” Mentre le bombe cadevano sui londinesi come micidiali confetti, Churchill organizzava una contro-offensiva che alla fine sconfisse il nemico.

            Anche la pandemia é un nemico mortale che va affrontato e sconfitto, senza aspettare che vada via da solo. Il compito dei leader é trovare soluzioni ai problemi, non rifugiarsi nei bunker ed aspettare che il problema scompaia. 

            L’industria televisiva e cinematografica americana, giusto per citarne una, invece di affrontare il problema, ha preferito sospendere le attivitá e mandare gli addetti a casa, licenziandone molti. Eppure, una volta passato il momento peggiore dei contagi, soluzioni potevano essere offerte sia dalla “bassa tecnologia” (mascherine, lavaggio delle mani e distanza sociale), che dalla scienza (misurare la temperatura, fare i tamponi e fornire le cure necessarie), e dal buon senso organizzativo. Mentre i grandi studio e le grandi reti Tv rallentavano, i piccoli produttori hanno sfidato la pandemia con soluzioni innovative e sicure.

            In Italia, ad esempio, si é applicato il sistema della produzione nella “bubble” (bolla), dove sul set si alternano troupe diverse, cosí se una persona risulta positiva,  un altro team puó continuare le riprese. La difficoltá sta nel riuscire a prendere in considerazione tutti i livelli di sicurezza; per esempio, di recente si sono verificati contagi tramite un condiviso servizio di catering, che ha infettato entrambe le troupe di una produzione.

            Negli Usa, si é portato il concetto della “bubble” ad un livello superiore, facendo sí che la troupe rimanga confinata per tutto il periodo delle riprese, senza contatti con l’esterno e, come in Italia, con il regolare controllo della temperatura e tramite tamponi.

            Da non dimenticare che, negli Usa, gestire la pandemia non é solo una questione sanitaria, ma ha vaste diramazioni legali, nel senso che le grandi societá temono le potenziali numerose cause intentate da dipendenti contagiati sul posto di lavoro. A tal proposito si é parlato di una legge federale (la Pandemic Risk Insurance Act) come assicurazione governativa proprio per le cause legali legate al COVID-19, ma non se ne é fatto nulla.

            Un altro settore dove la leadership non si é dimostrata, é quello del trasporto aereo. Viaggiare in aereo potrebbe essere sicuro se le compagnie aeree e gli aereoporti applicassero uniformemente procedure come l’uso di termoscanner, delle mascherine, distanziamento sociale nelle diverse fasi di imbarco, sbarco e collocazione dei posti, oltre alla distribuzione di gel disinfettanti nei punti critici.

            Da sottolineare anche che la vera leadership non deve aspettarsi il senso di responsabilità dalla gente comune, ma deve partire dal presupposto che questa sia incosciente e prepararsi di conseguenza. Spesso si usa l’irresponsabilità della gente come scusa per la propria negligenza ed incompetenza.

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Dom Serafini

Domenico (Dom) Serafini, di Giulianova risiede a New York City ed è
il fondatore, editore e direttore del mensile “VideoAge” e del quotidiano fieristico VideoAge Daily", rivolti ai principali mercati televisivi e cinematografici internazionali. Dopo il diploma di perito industriale, a 18 anni va a continuare gli studi negli Usa e, per finanziarsi, dal 1968 al ’78 ha lavorato come freelance per una decina di riviste in Italia e negli Usa; ottenuta la licenza Fcc di operatore radio, lavora come dj per tre stazioni radio e produce programmi televisivi nel Long Island, NY. Nel 1979 viene nominato direttore della rivista “Television/Radio Age International” di New York City e nell’81 fonda il mensile “VideoAge”. Negli anni successivi crea altre riviste in Spagna, Francia e Italia. Dal ’94 e per 10 anni scrive di televisione su “Il Sole 24 Ore”, poi su “Il Corriere Adriatico” e riviste di settore come “Pubblicità Italia”, “Cinema &Video” e “Millecanali”. Attualmente collabora con “Il Messaggero” di Roma, con “L’Italo-Americano” di Los Angeles”, “Il Cittadino Canadese” di Montreal ed é opinionista del quotidiano “AmericaOggi” di New York. Ha pubblicato numerosi volumi principalmente sui temi dei media e delle comunicazioni, tra cui “La Televisione via Internet” nel 1999. Dal 2002 al 2005, è stato consulente del Ministro delle Comunicazioni italiano nel settore audiovisivo e televisivo internazionale.

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