I regimi totalitari del XX secolo disprezzavano le elezioni e i relativi “ludi cartacei”; perchè il diritto al voto, uno dei pilastri della democrazia liberale, faceva parte dell’eredità dello stupido diciannovesimo secolo.
Oggi, almeno in occidente e nei paesi limitrofi tutti sembrano amare le elezioni. Al punto di reclamarne lo svolgimento ad ogni stormir di fronda. Ma la loro passione è egoistica e strumentale. Ad un punto tale da pervertirne l’uso e sminuirne il valore.
Così si chiedono elezioni politiche ad ogni piè sospinto dimenticando che queste possono svolgersi alla scadenza prevista o quando non è possibile costruire in Parlamento una maggioranza a sostegno dell’esecutivo; e comunque non in base all’andamento dei sondaggi. Aggiungendo, particolare non certo piccolo che non è francamente possibile pensare ad elezioni in assenza di una legge elettorale. E che raffazzonarne una alla vigilia del voto ad uso e consumo del potere in carica non è solo disdicevole ma contrario ad ogni possibile regola.
Il disprezzo totale di Lorsignori, di destra come di sinistra, per il popolo bue è giunto, peraltro a livelli stratosferici quando si è trattato di fissare la data delle regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari.
Si è cominciato con il votare a luglio. Una prima; ma anche una vergogna assoluta. Con la destra a chiudere subito le alleanze in nome del potere; e con la sinistra a litigare in nome della subalternità e della vocazione al suicidio.
In ogni caso, uno spettacolo orrendo. Nessun dibattito nel merito delle persone e delle questioni; la maggioranza assente dalle urne e; una minoranza di votanti sedotti da meccanismi clientelari; se non dal machismo dei governatori durante la crisi.
A metà settembre, il quadro sarà leggermente migliore. Ma con due aggravanti: l’accorpamento referendum/elezioni; e il fatto di non poter votare nelle scuole, malamente sostituite da caserme uffici pubblici, e magari ospedali e supermercati.
Non sarà la stessa cosa. Come non sarà le stessa cosa un referendum accoppiato alle lezioni così da perdere importanza e significato.
Dovrebbe essere ben chiara, allora, la morale della favola. Quella di una democrazia e di istituzioni usate in modo perverso da una classe politica che dovrebbe essere vocata a difenderle.
E forse, nel nostro caso, capire la sostanza di un disegno può essere il primo e necessario passo per bloccarlo.
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