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Ma anche NO!

La presumibile vittoria dei Si farà in modo che l’Italia, dal 22 settembre, abbia un sistema istituzionale bicamerale indifferenziato (come oggi), eletto con metodo parzialmente maggioritario (come oggi), con liste decise dai vertici di partito (come oggi), ma con circa 350 rappresentanti dei cittadini in meno.

Chi, in linea con il pensiero reazionario antidemocratico degli ultimi due secoli, pensa che meno parlamentari voglia dire solamente meno incapaci e meno imbroglioni può considerarlo un fatto positivo. E per chi pensa che la democrazia consiste nel dare tutto il potere a chi piglia un voto in più la cosa è irrilevante.

Ma chi ha della democrazia una visione un po’ più completa (e necessariamente complessa), chi pensa che il confronto tra opinioni diverse (e anche l’ascolto delle minoranze) sia una ricchezza e non un danno, che vi debba essere un equilibrio che consenta alle opposizioni democratiche di controllare ciò che i governi fanno, qualche riflessione in più sugli effetti della riduzione del numero degli eletti dai cittadini la dovrebbe fare.

L’ampiezza dei collegi elettorali dovrà essere ovviamente rivista, ingrandendoli e rendendo più complicata la vita ai volenterosi elettori ed eletti che vogliono confrontarsi, ma in compenso aumentando i vantaggi di chi dispone di maggiori risorse economiche o organizzative per fare propaganda.

Le commissioni parlamentari saranno presumibilmente ridotte sia nel numero che nella composizione, il che renderà molto più difficile per i  parlamentari  occuparsi seriamente dei provvedimenti e delle materie su cui sono chiamati a esprimersi, ma in compenso renderà molto più facile per i furbetti senza scrupoli far “pesare” il proprio voto determinante.

Lo squilibrio di poteri tra le maggioranze che esprimono i governi (la numerosità delle cui strutture rimane inalterata) e le opposizioni che dovrebbero controllarle si accentuerà a vantaggio dei primi, ma in compenso risparmieremo (forse) lo 0,005% del bilancio pubblico.

I partiti che vogliono nascere democraticamente presentandosi agli elettori avranno al massimo una rappresentanza poco più che simbolica, ma in compenso i cambi di gruppo o schieramento post elettorali individuali avranno maggior valore e saranno perciò incentivati.

Naturalmente è possibile che alcune di queste conseguenze opinabili siano corrette, a patto che – cosa francamente improbabile – sulle questioni fondamentali come la differenziazione delle due camere e l’equilibrio dei poteri con l’esecutivo, si trovino maggioranze parlamentari che si mettano d’accordo su come farlo.

L’unica possibile “riformetta” aggiuntiva sembra essere la leggina elettorale proposta da PD e M5S che prevede proporzionale, liste bloccate e soglia al 5%. Di fatto il combinato disposto di questo taglio lineare e questa riforma elettorale sarà la creazione di un oligopolio della rappresentanza politica, suddiviso tra i vertici attuali dei primi quattro partiti (M5S, PD, Lega e FdI) che renderanno, in ciascuno spazio politico, pressoché impossibile sia la dialettica interna (le liste bloccate garantiranno che tutti gli eletti siano “nominati” dai vertici uscenti dei maggiori partiti) sia la potenziale competizione esterna (per le forze politiche diverse dalle quattro maggiori  sarà difficilissimo superare una soglia così elevata).

Ciò che, inoltre, probabile, con buona pace dei sostenitori dell’attuale governo, è che da martedì 22 settembre saranno le  opposizioni a “lanciare una campagna” di delegittimazione dell’attuale parlamento (tanto più forte quanto più ampio sarà il successo del SI) e di richiesta di elezioni anticipate (tanto più forte quanto migliore sarà il risultato del centrodestra nelle contestuali elezioni regionali).

A meno che non esca dalle regionali con il mantenimento di almeno quattro regioni su sei nell’area governativa l’attuale maggioranza avrà serie difficoltà a resistere. Potrà tergiversare qualche mese invocando la necessità della nuova legge elettorale ma, sia che riesca a trovare un accordo per farla rapidamente approvare sia che non ci riesca, sarà difficile sfuggire alla spinta al voto a primavera con la nuova numerosità e (forse) il nuovo sistema elettorale, così anche le poche voci critiche saranno eliminate e il nuovo oligopolio potrà insediarsi.

Però avremo, forse, risparmiato il costo di un caffè.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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