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Mattarella: un discorso criptato

Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica appartiene a quella categoria di discorsi ufficiali che richiedono tempi lunghi di preparazione, talora anche mesi. Il Presidente tiene riunioni con i suoi più stretti collaboratori, medita sui pareri da loro espressi, decide infine sul tipo di discorso che farà scegliendo nel vasto catalogo disponibile, da quelli da padre della patria con l’appello alle nobili tradizioni della nazione, a quelli pontificali con un pensiero buono per ciascun gruppo sociale, a quelli apparentemente contro un sistema nella speranza che dalle rovine picconate possa sorgere l’ordine da lui preferito e così via. In appendice ci sono i discorsi nondiscorsi, quelli cioè apparentemente banali, fatti di frasi anche generiche da essere da tutti condivise e che pure nel loro complesso celano un messaggio politico criptico, comprensibile solo dagli addetti ai lavori, con l’indubbio vantaggio di dire tutto senza in apparenza dire nulla, presupposto questo per ottenere un consenso universale.

Il presidente Mattarella, un uomo che ha respirato politica fin dalla nascita (suo padre Bernardo fu nel 1944 uno dei fondatori della Democrazia Cristiana in Sicilia) ha scelto dal catalogo per l’ultimo giorno dell’anno scorso un discorso di quelli riportati in appendice.

Deciso a rifiutare la rielezione sia per la non più giovane età con gli inevitabili acciacchi, sia per il precedente di Napolitano, rieletto con larga maggioranza e poi, una volta utilizzata la sua rielezione,  criticato più che lodato per il modo di espletamento della sua funzione, il presidente Mattarella ha scelto di rivolgere agli italiani un discorso da vecchio saggio, da nonno che ha visto tutto ed esorta i giovani come un anziano professore (non a caso ha ricordato nel suo discorso il testamento spirituale di un docente siciliano, cioè della sua terra natia, tragicamente scomparso) ad avere fiducia nel futuro: quanto a lui afferma di aver svolto le funzioni demandatigli dalla Costituzione che trasmetterà, così come la Costituzione vuole al suo successore.

Qui sta il punto: il richiamo alla Costituzione ha per Mattarella, professore di diritto pubblico, deputato democristiano per molte legislature, vicino a Ciriaco De Mita, il senso di affermare che la Costituzione è quella che è e non si tocca, almeno per quanto riguarda le funzioni del Presidente della Repubblica. No dunque alla repubblica presidenziale o semipresidenziale, no alla elezione alla suprema carica dello Stato di chi ritiene che si possa tentare la strada di una interpretazione in questa chiave delle norme costituzionali vigenti, no a modifiche​ tacite alla Costituzione. In termini più semplici, no alla elezione alla carica da lui fin qui ricoperta del presidente del consiglio Draghi in quanto ciò potrebbe, anche se erroneamente, essere interpretato in senso neo- presidenzialista.

I commentatori politici, ciascuno con le radici in un gruppo di sostenitori dell’uno o dell’altro candidato (ormai lo schema dei gruppi politici è saltato) si sono ben guardati di dare notizia di questa possibile lettura del messaggio presidenziale in quanto in grado di incidere sulla dialettica in corso: “ar sordo che nun sente ar primo avviso se vede che’r discorso nun gne piace” afferma un vecchio detto romano: forse non è stato mai tanto vero come in questo caso.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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