Cuba. Marco Gonzales Ramirez è un anziano ex-detenuto. E’ povero e la sua vita ha un solo faro affettivo: la madre.
Da giovane è finito in galera e lì ne ha passate di tutti colori: i primi tempi non dormiva e si copriva con una coperta, temendo le aggressioni di altri detenuti; poi ha imparato a farsi un machete con il telaio del letto e a tenerlo ben nascosto nel materasso, ha anche difeso – quando era già un veterano di quella vita – dei ragazzi alla prima condanna dagli assalti dei boss del carcere.
Uscito di prigione, si è arrangiato con lavoretti, si è sposato, separato ed ha avuto una figlia. Quando la ragazza è diventata grande gli ha offerto di andare a vivere con lei.
Lui ha venduto la casetta che con grandi sacrifici si era fatta, ha dato metà dei soldi alla mamma e alla sorella ed è andato dalla figlia ma, finiti i soldi, la ragazza lo ha buttato fuori.
Ha vissuto come un vagabondo, finché non gli hanno offerto di fare il guardiano di uno stadio con uso di una stanzetta disadorna. Ora vive una saggia serenità, turbata fino alle lacrime dall’idea di perdere la madre.
Mira mi alma è un documentario-saggio che Gianlorenzo Attene ha ideato e diretto alla fine di un corso di documentaristica alla Scuola di Cinema di Cuba. Prima di questo aveva prodotto, diretto e montato altri due lavori: L’urlo del Carnevale e La resurrezione della madre, entrambi incentrati su celebrazioni del Carnevale in paesi sardi.
Il primo, ambientato a Bosa, è una sorta di saggio/viaggio interiore sulla primitività di riti al limite dell’osceno e del blasfemo, mentre il secondo cerca in altre zone della Sardegna il significato profondo di gesti e prove di coraggio che rimandano ad un rapporto profondo e mitologico con la Madre Terra. Entrambi mi avevano evocato la grande tradizione etnico-sociologica che da noi ha avuto il suo studioso più significativo in Ernesto De Martino.
Mira mi alma è un grande passo in avanti nella produzione di Attene: non ci sono sovrastrutture, c’è il protagonista, le sue rughe, la sua dignitosa povertà e lo squallore dell’ambiente.
Ma è proprio questo squallore ad essere illuminato da un sorriso, da una lacrima di tenerezza, dall’intonazione di un vecchio successo de Los Zafiros o di Historia de un amor, da segnali di una grande sensibilità, non coltivata ma sincera, che fa ad esempio dire a Marco quanto sia sbagliato mettere insieme in carcere giovani che hanno sbagliato e omicidi che non hanno nulla da perdere.
Può essere un giudizio troppo affettuoso ma tra le pieghe (e le rughe) di Mira mi alma, ho visto qualche sprazzo di Wenders e di Salgado e del loro Il sale della terra.
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