Nemico dell’Europa, è vecchia fiaba che beatamente ancor la beve il popolo… farebbero cantare, al loro protagonista tenore, Umberto Giordano e Luigi Illica, creatori dell’opera lirica “Andrea Chenier”, raccontando la situazione politica odierna del vecchio Continente.
Chi, oggi, parla o scrive contro la piovra che impedisce agli euro-continentali di crescere (come fanno la Cina, l’India, l’Indonesia, la Russia) sul piano della produzione delle res, materiali e immateriali, dei servizi e degli investimenti necessari è un nemico da abbattere.
Nessuno deve tentare di convincere gli Eurocontinentali di sottrarsi al servaggio oppressivo e asfittico del Moloch monetario che ha le sedi dei suoi tentacoli in New York (nella lower Manhattan di Wall street), a Londra (nella city degli affari) e a Bruxelles (nei palazzi in vetrocemento dell’Unione). La “vecchia fiaba che ancor beatamente la beve il popolo” è respinta solo da minoranze, ancora modeste, che sono etichettate, non a caso, dai mass-media come “ultra-destra”. E’ ciò che avviene, dal governo Monti a quello attuale, nel Bel Paese. Per convincere meglio la gente a considerare quelle forze pericolose ed indurla ad accettare piuttosto, in prescritta (chi, veramente, scrive la ricetta?) astinenza da elezioni governi-ponte verso il baratro, gli “amanti della Patria” fanno di tutto.
La lotta agli “antieuropeisti”, definiti anche, sempre dispregitivamente “sovranisti”, “populisti” e chi più ne ha ne metta, è divenuta di recente, senza quartiere, ma è stata sempre molto dura. A fermare il feto dell’octopus europeo, bloccandolo a livello prenatale, non riuscì possibile neppure a uno dei maggiori statisti dei nostri tempi. Winston Churchill pensava che fosse utile la costituzione di un’Unione Europea alla duplice condizione che ricalcasse il modello federale degli Stati Uniti d’America e che di essa non facesse parte la Gran Bretagna. Lo statista inglese aveva probabilmente intuito il pericolo di imbarcarsi con Tedeschi e Francesi, interpreti insuperati (nei secoli) dell’assolutismo (nudo e spietato, in Germania o abilmente camuffato da “rivoluzionarismo illuminato”, in Francia); aveva espresso una personale contrarietà per ciò che riguardava il suo Paese, ma aveva anche suggerito agli Eurocontinentali di seguire almeno la formula della Confederazione di Stati. Non fu seguito neppure dai suoi connazionali che pure avevano avuto più di una prova della sua genialità politica e del suo coraggio leonino. Il saggio suggerimento, con il passare degli anni, fu disatteso da tutti i Paesi del Continente e in doppia direzione: la Gran Bretagna entrò a farne parte e dell’idea dell’ipotesi federalista, nella Comunità Europea, non rimase neppure l’ombra.
Nacque una collettività poco rispettosa della “personalità” delle singole Nazioni, modellata, quanto a organizzazione amministrativa, sulle regole delle monarchie asburgiche e galliche con pubblici dipendenti comunitari che seguivano le linee disegnate da Jean Baptiste Colbert (il fedele Ministro di Luigi XIV, detto Re Sole e campione indiscusso di dispotismo) e che poi furono amate e divulgate da Napoleone.
C’è chi ritiene, soprattutto oggi, che entrambe le condizioni di Sir Winston non erano da prendere sottogamba. La prima era di chiara ispirazione liberale (anche se solo in senso lato): allo statista inglese la presenza di un potere politico, necessariamente raccogliticcio ed estraneo alla più profonda natura ed essenza dei vari Stati confederati, sembrava una sovrapposizione autoritaria alla autonomia di ciascuna collettività, sviluppatasi, nel corso dei secoli, in modo originale, particolare e sostanzialmente diverso da Paese a Paese.
La seconda condizione più che all’orgoglio “isolano” della sua Nazione, doveva probabilmente rapportarsi alla profonda differenza (dallo statista inglese ritenuta esistente) tra il liberalismo britannico con la sua natura empiristica, pragmatica e in buona sostanza laica (anche se la tiepidezza religiosa, in materia politica ed economica, del calvinismo anglicano era contraddetta dagli antiquati e barbarici aspetti del puritanesimo) e quello dell’Europa continentale, idealistico, assertore di valori fondati sull’ipse dixit, sviluppatosi in alvei dominati dall’autoritarismo dei Pontefici, dei Monarchi Assoluti, di sedicenti Imperatori, di Dittatori e di Oligarchie o Consorterie, palesi o nascoste. Come per tutte le persone di genio, però, il suo isolamento intellettuale era stato totale. Era prevalsa l’opinione dei creatori di quelle bevande che, ancora oggi, il popolo beve, non cogliendone la pericolosità.
Il pasticcio dell’adesione a una Comunità europea, divenuta ben presto di dimensioni gigantesche, ha costituito un vero terreno di coltura di uno spregiudicato e cinico capitalismo monetario, gestito, in modo sostanzialmente autoritario e costrittivo, da tecnocrati competenti solo in materia bancaria, falsamente democratici e formalmente rispettosi del pluralismo d’opinione, solo perché consapevoli dell’immutabilità della loro situazione di politico privilegio.
Il monstrum è stato eliminato solo dal coraggio popolare degli Inglesi che hanno voluto, anche a costo di sudore e lacrime, la Brexit, rifiutandosi di bere ancor beatamente la pozione velenosa dei loro stessi banchieri della City. L’uscita della Gran Bretagna dalla “prigione” europea non riuscirà a fare storia, ameno nel breve periodo. La fine che ha fatto la Grecia (con il suo tentativo fallito di Grexit) è emblematica.
La tecnica sembra ricalcare sempre lo stesso modello d’intervento nei fatti della politica suggerito dalla tradizione biblica: tra i rivoltosi contro il dominio dei “tiranni” (nella specie: i tecnocrati di Bruxelles) si insinua sempre un Giuda che, al momento giusto, tradisce il suo capo (per o senza i trenta denari). Guai, quindi, ai leader politici che tentano di uscire dal gregge e credono di poter immaginare una azione politica con la propria testa: li attende un destino che può essere anche tragico (Craxi docet).
Inoltre, va ribadito che nell’Europa continentale, dominata dagli assolutismi religiosi e filosofici, un vero principio di libertà non è mai attecchito. La platea di quelli che, oggi, assistono all’esecuzione sommaria o ai suoi tentativi di “decapitazione simbolica” dei reprobi “sovranisti” o “indipendendisti” o “anti-europeisti” comprende anche i sedicenti liberali euro-continentali che uniscono sempre il loro applauso a quello dei cristiano-sociali (o democristiani) e dei socialdemocratici.
L’assenza dei liberali dal novero di quelli che auspicano il trionfo di un capitalismo pieno (come quello che Donald Trump, negli Stati Uniti d’America e, augurabilmente, Boris Johnson in Gran Bretagna si propongono di ripristinare) rende inattaccabile, allo stato, il colosso monetario, imperante nell’Europa continentale.
Conclusione: un bolo di acqua sempre più fetida e putrida continua a essere beatamente bevuto dal nostro popolo e da tutti gli euro-continentali (per atavica consuetudine al conformismo). Gli artefici di tanta assuefazione (al male e al peggio) hanno motivo di gongolare. Gli individui che pure avrebbero nel loro bagaglio i dati storici e culturali necessari per potere pensare e decidere con la propria testa o sono inesistenti, o si rendono latitanti o passivamente si adagiano sulle opinioni prevalenti e si dimostrano restii a uscire dal gregge dei cosiddetti partiti di massa, tutti in eguale misura, asserviti al potere finanziario (che sostiene i loro giornali e reti televisive). Non v’è speranza di cambiamento immediato di rotta, a dispetto degli spettacoli inverecondi recitati dai politici sul piccolo schermo (soprattutto italiano). Le recenti elezioni regionali tedesche hanno confermato che i nemici della Patria (l’Unione Europea) pur se in numero crescente non sono ancora tanti da evitare di essere esecrati ed esposti al pubblico ludibrio. Nemico dell’Europa è vecchia fiaba: il verso – aggiornato – dell’Andrea Chenier è ancora valido nella sua esemplare icasticità.
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