Roma, autunno 1944, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica: sono in corso gli esami per l’ammissione all’Accademia. Tra i candidati da esaminare c’è un giovane, Saturnino Manfredi, arrivato quasi per caso per accompagnare il suo amico Franco Giacobini.
Manfredi, su consiglio di Luigi Squarzina, che è allievo del terzo anno del corso per registi, recita una scena tratta da un dramma di Eugene O’Neill con tanta foga da rompere un tavolino alla Commissione, presieduta da Silvio D’Amico e un po’ sbigottita da tanta foga, diede le risposte suggeritegli da Squarzina e fu ammesso al primo corso per attori (La fabbrica degli attori, pag 105).
Manfredi, che scelse di abbreviare il suo nome in Nino, aveva allora appena 23 anni. Nato a Castro dei Volsci, in provincia di Frosinone in una famiglia contadina, si era presto trasferito a Roma, in subaffitto in un vecchio casello ferroviario abbandonato in via del Mandrione, poi in una abitazione vicino al Ponte della Ranocchia per approdare infine in una delle case appena costruite per i dipendenti pubblici in via Pozzuoli (suo padre era entrato nel corpo dei vigili urbani di Roma).
Dopo le scuole medie fu iscritto come semiconvittore all’Istituto Santa mania in viale Manzoni ma fuggì ripetutamente dall’istituto. Proseguì gli studi come privatista ma si ammalò gravemente di pleurite bilaterale (1937) e passò lungo tempo in ospedale dove iniziò a suonare il banjo in un complessino.
Anni dopo, nel 1982, in una intervista affermò che suonava «per trovare la forza di vivere, anche se alla morte ormai ci ero abituato» (Hit Parade International, Armando Curcio Editore).
Nel 1941 esordì come attore in uno spettacolo messo in scena presso la parrocchia della Natività, in via Gallia a Roma. Era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma quando (1943) per sfuggire alla chiamata alle armi di Graziani, messo da Mussolini a capo della Forze Armate della Repubblica Sociale, abbandonò la casa di via Pozzuoli e visse per un anno alla macchia, nei boschi vicini al suo paese di origine.
Nel 1944 tornò a Roma, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza ed ottenne l’agognata ammissione all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Imparava a fare l’attore, studiava e insieme faceva mille mestieri per aiutare la famiglia: l’autista per i soldati americani in arrivo all’aeroporto di Ciampino, l’assicuratore, l’impiegato postale, il bookmaker, fino ad essere tra i primi doppiatori dei film che iniziavano ad arrivare dagli Stati Uniti doppiò per guadagnarsi da vivere in un momento difficile, Robert Mitchum in “Sette settimane di guai”.
E’ il primo dei molti attori italiani e stranieri ai quali fino al 1955 darà la sua voce: Earl Holliman in “Il pianeta proibito” (1956), Gerard Philipe, Franco Fabrizi ne “I vitelloni” (1953), Sergio Raimondi in “Piccola peste” (1955), Antonio Cifariello ne “La bella di Roma” (1955), Renato Salvadori in “La domenica della buona gente” (1953) e Marcello Mastroianni in “Parigi è sempre Parigi” (1951)
Nel 1945 si laureò in Giurisprudenza con una tesi in diritto penale e nel 1947 si diplomò attore al”Accademia d’Arte Drammatica. In teatro prende subito a lavorare già nel 1947 nel Piccolo Teatro di Roma, diretto da Orazio Costa, con Vittorio Gassman ed Evi Maltagliati e l’anno successivo al Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehel, ma sono piccole parti di contorno che non gli danno grandi soddisfazioni economiche e artistiche.
Alla radio fa imitazioni, racconta barzellette, inventa alcune macchiette (Il sor Tacito, Il soldato Tenoretti e tante altre), ottenendo un buon successo di pubblico. Nel 1949 ottiene una particina nel film “Monastero di Santa Chiara”, per il modesto compenso di 10.000 lire: è il primo di una lunga serie di film ambientati a Napoli (“Simme ‘e Napule, paisà”, “Anema e core”) di scarso valore artistico e con bassi compensi che pure gli erano necessari per vivere e che spesso non gli venivano nemmeno corrisposti, come lui stesso dichiarerà alcuni anni dopo.
Nel 1953 Manfredi decide di cambiare rotta: debutta nel teatro di rivista con le tre sorelle Nava in «Tre per tre… Nava». L’anno successivo lavora nella rivista Festival e nella stagione 1956-57 è nella compagnia di rivista di Wanda Osiris con Riccardo Billi e Mario Riva.
Nel 1955 sposa Erminia Ferrari, una indossatrice che gli sarà accanto per più di mezzo secolo. Nel 1956 appare per la prima volta in televisione nello sceneggiato “L’alfiere”, con la regia di Anton Giulio Majano, mentre continua la sua attività in film di scarsa importanza, come “Tempo di villeggiatura” (1956), “Susanna tutta panna” (1957), “Guardia, ladro e cameriera” (1958), “Caporale di giornata” (1958), “Carmela è una bambola” (1958) e tanti altri analoghi.
Nel 1958 interpreta con Delia Scala “Un trapezio per Lisistrata”, una commedia musicale di Garinei e Giovannini scritta sulla traccia de “Le nuvole” di Aristofane: sembra ormai lanciato sulla via del successo che esplode l’anno successivo in “Canzonissima”, il varietà radiofonico abbinato alla lotteria di Capodanno condotto con Delia Scala e Paolo Panelli.
La macchietta del barista di Ceccano e la battuta «Fusse che fusse la vorta bbona» divengono rapidamente popolarissime. Manfredi tuttavia non cessò mai di ritenersi non un attore comico, ma un attore drammatico che interpretava in chiave ironica i ruoli affidatigli.
Tendeva spesso nel cinema ad allargare gli angusti spazi in cui avrebbe dovuto muoversi il personaggio affidatogli: i registi lo accusavano di improvvisare, ma in realtà Manfredi non improvvisava mai, anche quando sembrava farlo, ma cercava con la sua meditata recitazione di porre rimedio a sceneggiature talvolta approssimative, a soggetti tanto esili da apparire addirittura inesistenti, come nel caso di film prodotti per sfruttare il successo di una canzone di cui avevano lo stesso titolo.
Nel 1959 lavora per la prima volta con Nanni Loy ne “L’audace colpo dei soliti ignoti” e l’anno successivo ha per la prima volta un ruolo da protagonista nel film “L’impiegato” diretto da Gianni Puccini. Nel 1962 è in “Anni ruggenti” di Luigi Zampa e l’anno successivo debutta come regista in “Amore difficile”, tratto da un racconto (L’avventura di un soldato) di Italo Calvino: Manfredi riuscì a convincere la produzione a lasciare l’episodio senza dialoghi, con i soli rumori di fondo ed il commento musicale, ma l’esperimento non ebbe il successo sperato.
Nel 1963 tornò di nuovo al teatro di rivista come interprete principale della commedia musicale “Rugantino”, di Garinei e Giovannini: fu un grande successo che tuttavia non gli aprì ancora le porte del cinema al livello della notorietà che aveva ormai acquisito: contribuiranno a ciò anche il suo carattere duro, tenace, con una abitudine inveterata a chiamare le cose con il loro nome. Ne derivava un rapporto talora difficile con gli altri attori e registi: aveva un grande rispetto per Orazio Costa, che considerava suo maestro, per Eduardo De Filippo, nella compagnia del quale aveva interpretato nel 1952 tre atti unici al Teatro Eliseo di Roma, e per Totò, con il quale aveva lavorato nel 1956 in “Totò, Peppino e la malafemmina”, ed era molto legato ai vecchi amici dell’Accademia, come Paolo Panelli, ma non nascondeva la sua profonda antipatia per altri, come Alberto Sordi che riteneva il suo diretto rivale nella “commedia all’italiana”. Con lui interpretò nel 1956 “Lo scapolo”, diretto da Antonio Pietrangeli ed iniziarono i cattivi rapporti tra i due, anche se Manfredi aveva nel film un ruolo marginale. Con Sordi interpretò nello stesso anno una parte secondaria nel film “Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo” (1956). Ricorderà «Avevo solo quattro pose: un paio però con Sordi. Mi trovavo quindi con il “Mostro”, cominciavo a combattere, ero il pugile nuovo che saliva sul ring col campione».
Riteneva Sordi una maschera, un attore per pigrizia sempre uguale a sé stesso che non aveva frequentato l’Accademia. Quando Sordi nel 1996 ebbe a Venezia il Leone d’Oro alla carriera, Manfredi affermò che era una vergogna mettere in gara solo film tragici e dare poi il Leone d’Oro alla carriera «a chi ha fatto ridere» (Internet, Libero, Speciale Addio a Nino Manfredi), affermazione che era la quasi naturale conclusione di un contrasto che durava da quaranta anni ma che non impedì ai due attori di lavorare insieme in altre occasioni, come nel film “Venezia, la luna e tu” (1958), che accrebbe i dissapori con Sordi, irritato per il maggiore apprezzamento della critica per Manfredi, che aveva nel film una piccola parte, “Crimen” (1960) e “Riusciranno i nostri eroi” (1968)). L’anno successivo Sordi non volle la presenza di Manfredi nel film “Tutti a casa” diretto da Luigi Comencini: ormai i rapporti erano tanto tesi da non consentire più ai due attori di lavorare insieme se non raramente ed in casi eccezionali.
La conquistata notorietà valse a Manfredi anche due importanti contratti pubblicitari, prima per la penna Bic e poi per la IGNIS e per 17 anni per il caffè Lavazza, anche come coautore dei testi per la pubblicità televisiva.
Manfredi amò sempre scrivere per il cinema: nel 1958 interpretò “Camping”, con la regia di Franco Zeffirelli: il soggetto era di Manfredi e di Paolo Ferrari ed il film, anche se realizzato con pochi mezzi, ottenne un buon successo di pubblico. Nel 1966 ottenne il primo Nastro d’Argento quale miglior attore protagonista del film “Questa volta parliamo di uomini” diretto da Lina Wertmuller. Due anni dopo con “Italian Secret Service”, diretto da Luigi Comencini, ottenne lo stesso premio. Si trattava ancora di film per il grosso pubblico, di scarse pretese artistiche. Con il film “Le Bambole” (1965) diretto da Dino Risi, Manfredi, interprete di uno degli episodi de film, finì sotto processo con l’accusa di oscenità: fu prosciolto in istruttoria ma non dimenticò la brutta avventura.
Nel 1971, dopo alcuni film di discreto successo (“Operazione San Gennaro” (1966) e “Straziami, ma di baci saziami” (1969), con la regia di Dino Risi e “Nell’anno del Signore ” (1969), con la regia di Luigi Magni, film per cui ebbe il David di Donatello ed il Nastro d’Argento, ancora come migliore attore protagonista) arrivò il grande successo cinematografico con il film “Per grazia ricevuta”, che interpretò e diresse. Il film ottenne il premio Opera Prima al XXIV Festival di Cannes, il David di Donatello per la migliore regia ed il Nastro d’Argento per il miglior soggetto e la migliore sceneggiatura. Seguì nel 1972 l’interpretazione del personaggio di Geppetto nel “Pinocchio” diretto da Luigi Comencini, originariamente uno sceneggiato trasmesso da RAI UNO, e nel 1972 quella di “Girolimoni”, nella parte del «mostro», dopo il rifiuto di Alberto Sordi di interpretarla.
Al film “Pane e cioccolata”, diretto da Franco Brusatti, storia di un emigrato italiano in Svizzera, Manfredi, che proveniva da una famiglia che aveva conosciuto per molti anni la strada dell’emigrazione, volle collaborare anche alle sceneggiatura, modificando sensibilmente quella originaria di Brusatti e Ugo Pirro. Il film, distribuito anche negli Stati Uniti, ottenne l’Orso d’Argento al festival di Berlino, la Grolla d’Oro a quello di Saint Vincent, il Nastro d’Argento per il miglior soggetto, il David di Donatello europeo, ed altri premi minori. L’anno successivo fu di nuovo un successo con “C’eravamo tanto amati”, diretto da Ettore Scola, che ebbe tre Nastri d’Argento (per la sceneggiatura, per l’attrice e per l’attore non protagonista).
Per la collaborazione alla sceneggiatura di “Attenti al buffone”, diretto da Bevilacqua nel 1975, film di cui era anche interprete, ottenne il David di Donatello per la migliore sceneggiatura: il film però ebbe scarso successo di pubblico.
“Brutti, sporchi e cattivi”, diretto da Ettore Scola nel 1976, fu l’occasione per Manfredi di costruire un personaggio teatrale che Alberto Moravia (L’espresso, 10 ottobre 1976) definì memorabile e che valse a Scola il premio per la migliore regia al Festival di Cannes.
Nel 1977 in “In nome del Papa Re”, diretto da Luigi Magni, Manfredi ottenne il premio per il miglior attore al Festival di Parigi, il David di Donatello, il Nastro d’Argento e il premio Gino Cervi 1978, tutti per il miglior attore.
Finalmente Manfredi aveva raggiunto un grande successo di pubblico e di critica, anche se non mancavano i critici che continuavano a ritenere negativo il suo frequente ricorso al dialetto, inteso quasi come un limite delle possibilità dell’attore, che tra l’altro aveva un’ottima dizione italiana, come testimoniava la sua decennale esperienza di doppiatore cinematografico oltre che la sua esperienza teatrale.
Nel 1979 interpretò “Café Express”, diretto da Nanni Loy che ebbe un buon successo e gli valse nel 1980 il Nastro d’Argento, ancora una volta, come miglior attore.
“Nudo di donna” (1981) fu la terza esperienza di regia per Manfredi, che era anche il principale interprete del film: i contrasti con Alberto Lattuada, l’originario regista del film, che lamentava le continue modifiche di Manfredi alla sceneggiatura, indussero lo stesso Lattuada ad abbandonare la regia e Manfredi gli subentrò, con un discreto successo di critica.
Nel 1982 cantò come ospite al Festival di Sanremo la sua canzone “La frittata” e l’anno successivo, sempre come ospite, “Canzone pulita” che ebbe però scarso successo: migliore sorte avevano avute le precedenti canzoni (“Tarzan lo fa” del 1978 e “La panzanella” del 1979) e soprattutto la sua interpretazione di “Tanto pe’ canta’, scritta e cantata da Ettore Petrolini nel 1932.
Ormai il cinema sembrava non interessarlo più: nel 1983 pubblicò un’antologia di «Proverbi ed altre cose romanesche» e nel 1985 un libro di ricette di cucina.
Aveva superato i sessanta anni, abitava in una bella villa sull’Aventino proprio di fronte al Parco degli Aranci con i tre figli, Luca, Roberta e Giovanna, sembrava che tutto procedesse nel migliroe dei modi quando una donna bulgara, Svetla Bogdanova, gli chiese di riconoscere una sua figlia che asseriva avere da lui avuta durante una sua visita a Sofia nel 1985. Nel 1986 iniziò un processo dinanzi al tribunale di Sofia che nel 2000 diede ragione alla donna. Seguì il test del DNA richiesto da Manfredi che risultò positivo: la giovane Tonina era effettivamente la figlia di Nino, che non presentò ricorso contro la sentenza ed accettò di pagare gli alimenti (45 euro mensili) decisi dal tribunale. La famiglia Manfredi anche in questa circostanza restò unita: continuò la vita vormale tra la villa dell’Aventino e quella di Scauri, sul litorale pontino, dove tutti passavano l’estate.
Nel 1984 Manfredi pubblicò un libro, “Viva gli sposi” tratto da uno sceneggiato televisivo da lui proposto alla RAI e rifiutato. Successivamente ne trasse un lavoro teatrale da lui interpretato con Giovanna Ralli, che fu rappresentato nel 1989 a Modena e l’anno successivo a Roma.
Nel 1990 tornò al cinema interpretando il personaggio di Ciceruacchio nel film “In nome del popolo sovrano”, diretto da Luigi Magni ma il successo fu modesto. Nello stesso anno ebbe il premio David di Donatello speciale alla carriera. Aveva più di settant’anni quando torno in televisione con due serie di polizieschi (“Un commissario a Roma”, nel 1993 e “Linda e il brigadiere” nel 1997), cui seguì il film TV “Dio ci ha creato gratis”, tratto dall’omonimo libro di Marcello D’Orta, trasmesso nel dicembre 1998 da Canale5. Nello stesso anno interpretò il film “Grazie di tutto”, diretto dal figlio Luca, che non trovò il consenso della critica e nel 2000 “Una storia qualunque”, diretto dal genero Alberto Simone, che lo diresse anche nel film TV “Un difetto di famiglia”, interpretato con Lino Banfi e trasmesso dalla RAI nel 2002. I tentativi teatrali, interpretando lavori di cui era anche l’interprete ed il regista (“Parole d’amore… parole”, andato in scena a Ferrara il 12 dicembre 1992, originariamente rappresentato in spagnolo a Buenos Aires, con la sola regia di Manfredi, e “Gente di facili costumi”, rappresentato nel 1994, poi ripreso nel 1997) non gli diedero molte soddisfazioni.
L’ultima fiction televisiva, anche questa interpretata con Banfi, fu “Un posto tranquillo”, diretta dal figlio Luca ed andata in onda su RAIUNO nel 2003. Nel gennaio 2003 Canale5 trasmise “La notte di Pasquino”, diretto da Luigi Magni, in cui Manfredi interpretava il ruolo di un cardinale.
Nel settembre 2003, appena finite le riprese del film, uscito postumo, “La fine di un mistero”, dedicato al poeta Garcia Lorca e diretto dal regista spagnolo Miguel Hermoso, Manfredi venne colto da un collasso cardiaco. Il premio Pietro Bianchi alla carriera attribuitogli a Venezia dal Sindacato dei Giornalisti Cinematografici fu ritirato dalla moglie.
Manfredi non si riprese più completamente, ebbe un ictus cerebrale e morì in un ospedale romano il 4 giugno 2004, un anno e quattro mesi dopo Alberto Sordi: partecipando al suo funerale aveva quasi profetizzato che anche a lui ormai mancava poco. La figlia Roberta, in un’intervista (Repubblica, 24 novembre 2008) ha avuto espressioni durissime nei confronti dei medici, colpevoli a suo dire di accanimento terapeutico nei confronti del padre «per un lunghissimo ed atroce anno di agonia». Complessivamente Manfredi interpretò più di cento film (il numero varia a seconda che si considerino o meno i film di montaggio, come “Ridere, ridere, ridere”, ottenuti mettendo insieme brani di film da lui interpretati ed i film in cui la partecipazione di Manfredi è limitata a brevi apparizioni, come in “C’era una volta Angelo Musco” del 1953 e “La domenica della buona gente” dello stesso anno: fu doppiato per l’occasione da Corrado, mentre lui stesso doppiò Renato Salvadori).
Dopo la sua morte il figlio Luca ha diretto (2004) un videoritratto (“80 anni d’attore. Incontro con Nino Manfredi”), contenente materiale di repertorio e filmini familiari, tra cui quello del matrimonio tra il padre e la madre realizzato da Elio Pandolfi.
Nel 2003, quando Manfredi era ancora vivo, la figlia bulgara ne richiese la interdizione, richiesta legata alla successione ereditaria (patrimonio valutato in cento milioni di euro).
BIBLIOGRAFIA
Nino Manfredi
Attore di teatro
La Rivista
La commedia musicale
Fiorini, Luciano Bonanni, 15 dicembre 1962, Teatro Sistina, Roma…. – Renzo Tian sul II Messaggero di Roma, ” E’ doveroso iniziare le citazioni da Nino Manfredi senza di lui, senza il suo ritorno al palcoscenico, dopo la lunga assenza, Rugantino non sarebbe quello che è sulla scena: un personaggio inesauribile per comunicativa, estro, forza comica…”.
Attore cinematografico
Attore televisivo
Regista e sceneggiatore
Prosa radiofonica
Varietà radiofonici
Varietà televisivi
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