Sedute ad un tavolino di un locale romano, tra le innumerevoli amenità che sette donne si possono dire, alla vigilia dell’inizio della scuola, madri prodighe e spiritose, continuano a guardarsi sino a che gli occhi cadono sul titolo del giornale macchiato di caffè, con l’ennesima notizia della morte, no dell’assassinio di una donna.
Madri di maschi e femmine, madri di quella generazione che ormai è abituata ai casi di nera in tv e in rete, anche nella musica, reali o falsi. Sconcerto e rabbia, di chi ha letto di più e chi di meno, di chi ha provato a non pensarci, di chi si è commossa davanti alle immagini dell’ultima vittima, di chi non ha parole che possano esprimere il grande dolore. Quanti nomi di vittime innocenti, motivi banali, gelosia, possesso, follia nessuno di questi giustifica l’omicidio e la morte. Non c’è nulla, niente che possa lontanamente giustificare, non ci sono condanne e processi che possano risarcire, non ci sono parole per poter rendere comprensibili simili gesti violenti, che dimostrano la vigliaccheria di chi uccide. Infermità, semi infermità mentale, turbe etc, no, nulla regge e niente dovrebbe far diminuire le pene da infliggere per chi vuole possedere, perseguitare, distruggere la vita altrui.
Sette donne diverse, sette amiche, età simili ma storie diverse, c’è chi è sempre colorata, chi parla cinque lingue e ordina il sushi in giapponese, chi quando la fotografi sembra sempre una star di Hollywood, chi esce per correre con il tacco 12 con l’accento british, chi ha due laghi azzurri come occhi e parla con l’inflessione milanese, chi balla di sera e va in ufficio con il cerchietto e il trench, chi è in cerca dell’amore vero con il sorriso di una fanciulla e chi con coraggio ha ripreso a lavorare sorridendo mettendo allegria solo a vederla. Donne, femmine che non hanno dubbi sul termine “femminicidio”, pronte a lottare e ad educare i propri figli mettendoli in guardia quotidianamente da ciò che sembra essere diventata la classica notizia di cronaca.
Ma oggi forse un respiro di sollievo lo strappa una sentenza che finalmente parla chiaro sul tema e farà storia: confermato l’ergastolo per Vincenzo Paduano, l’uomo che uccise e poi diede alle fiamme l’ex fidanzata Sara Di Pietrantonio il 29 maggio del 2016 in via della Magliana a Roma. Lo hanno deciso i giudici della Corte d’Appello dopo che la Cassazione aveva disposto, nell’aprile scorso, un nuovo processo di secondo grado ritenendo il reato di stalking non assorbito da quello di omicidio come invece fatto nel corso del primo processo d’Appello conclusosi con una condanna a 30 anni.
Amara consolazione ma un passo avanti verso una giustizia che dovrebbe aiutare a prevenire, a dare davvero voce alle tante denunce di donne che sono tormentate dentro e fuori casa.
Si accende il dibattito con testimonianze e racconti, al tavolino dove i caffè sono ormai freddi: “La tenacia è donna, abbiamo sempre lottato per vedere riconosciuti i nostri diritti e continuiamo a farlo”. V. si scalda e ricorda a tutte che “la rivoluzione è donna e non possiamo smettere di lottare per tutte quelle donne comuni e non, eroine e rivoluzionarie, che sono uscite di casa senza fare più ritorno solo perché avevano scelto la libertà, il diritto di scegliere e di dire no”.
Ma analizzando, chiacchierando, facendosi confidenze e cercando di scavare nel profondo emerge un aspetto che spesso sfugge e viene omesso, nel gruppo c’è chi ha taciuto, pensierosa, ma che come spesso accade accende il riflettore su una questione che pochi affrontano, per mancanza di sensibilità? Per superficialità? O perché anche noi ci stiamo abituando? “L’esempio che le donne proiettano, ciò che tramandano con l’educazione, con il comportamento….” Un fulmine, un lampo siamo tutte connesse per ascoltare il seguito del ragionamento, la mano nei capelli per rimettere il ciuffo argento nella giusta posizione e si continua: “Se gli uomini assistono alla sottomissione come atteggiamento, la useranno nei momenti di difficoltà come un comportamento attuabile. Ma se le loro madri, sorelle, compagne fossero invece ferme nel non accettare mai comportamenti prepotenti, prevaricanti, anche solo scherzosamente e involontariamente. Si, ragazze, credo che l’esempio sia fondamentale, potrebbe davvero essere la chiave di volta e correggere l’idea che una donna possa essere trattata senza rispetto, sino all’estrema ratio dell’omicidio. Non siamo il “sesso debole”, dovremmo esserne consapevoli, per non permettere mai più a nessuno di sottomettere con la forza fisica o psicologica”.
Stiamo parlando di noi, e del futuro dei nostri figli, perché dobbiamo fare fronte comune e vincere la sfida, non mettendo paura agli uomini ma ricordandogli ogni giorno che siamo alla pari, che possiamo scegliere e decidere, dire di no, interrompendo relazioni e cambiando idea liberamente senza minacce e assurde dimostrazioni di possesso. Il termine rifiuto è diventato un alibi, un’attenuante, all’arresto gli assassini si disperano e si considerano subito infermi mentali.
E’ un problema culturale, un terribile problema se continuiamo a mezzo stampa e televisivo a lasciare margini di giustificazione, bisogna dire la verità chi uccide, chi stupra, chi molesta, chi picchia, chi minaccia le donne è molto poco uomo e va punito senza considerare nessun pentimento. E noi donne dobbiamo imparare a non cedere su nulla, anche nel quotidiano, nessuno deve pensare di essere superiore, educare al rispetto e al confronto.
Mi viene in mente la Divina Commedia e Paolo e Francesca, uno dei canti più famosi e suggestivi dell'”Inferno” di Dante Alighieri, il Canto V. Francesca da Polenta (o da Rimini) commette adulterio innamorandosi del cognato Paolo Malatesta e per questo viene uccisa con violenza dal marito, tra il 1283 e il 1285, un femminicidio, un terribile femminicidio e nella letteratura e nella poesia quanti esempi, forse troppi. E allora mi piace concludere con un ironico, sarcastico e coraggioso Giorgio Gaber: “Secondo me la donna è donna da subito. Un uomo è uomo a volte prima a volte dopo… A volte mai”.
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