Classici contemporanei

Pensieri e speranze di una giovane studentessa

Questa settimana desidero dare voce ad una mia studentessa. Ritengo che con semplicità e spontaneità sia stata capace di esprimere un sentimento sempre più comune tra i giovani che, ultimamente, numerosi riempiono le piazze per misurarsi con la storia dei loro giorni.

Insieme ai suoi compagni di classe è stata invitata a commentare una riflessione di U.Galimberti sulla società europea dei nostri tempi, sempre più assediata da muri e porti chiusi, incapace ormai di produrre geni come un Leonardo da Vinci, un Kant, un Beethoven.

Il disagio sconsolato e a tratti disincantato del suo scritto mi ha paradossalmente confortata. Ho avuto conferma che i giovani hanno ancora voglia di lottare per un mondo migliore, più umano ma, soprattutto, credono ancora nella forza e nel valore insostituibile della cultura, l’unica capace di smascherare gli inganni dei capitani approfittatori, l’unica in grado di affermare il valore della democrazia e del confronto, di offrire risposte alle sfide contemporanee ma, soprattutto, la sola in grado di combattere l’inverno dello spirito che avanza a gran passi.

Antonella Botti.

pixabay.com

“Sto pensando a quello che sarà il mio futuro, sempre se potrò avere un futuro; sto pensando a quello che vorrò essere e spero di diventare, penso a quello che sono e in che mondo vivo. Io, che ho sempre giustificato le azioni dell’uomo, io che sono sempre stata fin troppo buona per poter considerare qualcuno incapace, adesso apro gli occhi e osservo, vorrei poterli richiudere e fuggire. Avrei preferito continuare a vivere nel mio mondo di marzapane, crescendo, però, mi sono trovata dinanzi ad una realtà che avrei preferito mi rimanesse ignota.

Esattamente nel ventunesimo secolo, dopo anni e anni di guerre, di sconfitte, di dolore e di morte siamo ritornati al punto di partenza. L’uomo protagonista ma allo stesso tempo antagonista della propria vita, è cresciuto, si è evoluto nel tempo, ha combattuto affinché finalmente non si parlasse più di odio ma di fratellanza, di uguaglianza e di rispetto del prossimo per portare a termine il suo progetto umano e di civiltà ma non è servito a niente.

Adesso ci ritroviamo al punto di partenza, abbiamo scelto di “ricaderci ” e portiamo avanti l’idea che per mantenere la nostra “privilegiata “ nazionalità, abbiamo bisogno di costruire muri e chiudere porti, di realizzare una società assediata.

Ma saremo più felici e forse più vivi in uno spazio statico, fisso, incapace dello scambio anche di semplici idee? O, invece, avremo più opportunità di crescere in un mondo aperto su un orizzonte senza limiti ?

Probabilmente l’uomo di oggi è terrorizzato dalla “diversità”, un concetto vasto che da un lato affascina, meraviglia, dall’altro terrorizza e spaventa.

Facendo un tuffo nel passato possiamo trovare le risposte ai nostri interrogativi. La storia ci insegna che ogni popolo è il risultato, il frutto di migliaia di idee diverse. Per idea deve intendersi cultura; dall’inizio della storia l’umanità è nata da continue migrazioni. L’evoluzione stessa si è resa possibile grazie agli scambi culturali. Anche noi italiani in momenti di crisi abbiamo avuto la necessità di partire, di emigrare e abbiamo trovato chi ci ha dato l’opportunità di ritrovare ricchezza. In una società chiusa perderemo l’opportunità di evolverci, di migliorare, di essere felici insieme. Alziamo i muri per paura o per una sorta di presunzione nei riguardi della nostra cultura? Sono dell’idea che non esiste una cultura migliore o indipendente dalle altre. La cultura nasce dai flussi, dalle influenze tra pratiche, usanze, linguaggi, tradizioni e idee. Il muro diventa un ostacolo allo sviluppo e all’evoluzione. Nel nostro mondo tanto moderno per certi aspetti e tanto arretrato per altri ciò che prevale è la tecnologia, una cultura digitale e scientifica, possibile grazie al continuo scambio di informazioni. La rivoluzione tecnologica mira proprio ad eliminare le distanze spazio-temporali.

I nostri social tanto criticati sono più all’avanguardia dell’uomo stesso poiché garantiscono la condivisione e annullano le distanze. Il muro è anacronistico in questo senso. Allora se l’uomo crede ancora in un mondo migliore dovrebbe iniziare a ragionare con l’idea di creare un futuro gettando via i muri e facendosi portavoce dello scambio e dell’importanza di una cultura frutto di idee diverse, vincendo l’ignoranza ed esaltando il sapere e la conoscenza, o, meglio, la necessità di conoscere. Solo se l’uomo non agirà più passivamente, non cadrà nel tranello di facili strumentalizzazioni, nel semplicismo di un sì e un no, ma si metterà in gioco senza egoismi, odi, rancori e presunte quanto assurde pretese di primati e priorità potrà pensare di trovare salvezza. Non credo che questo sia solo il mio pensiero, ma un po’ quello di tutti noi giovani, preoccupati del piccolo spazio in cui vogliono rinchiuderci e così desiderosi di vivere in una realtà libera e varia. In una società che è vicina al degrado culturale ed etico, bisognerebbe ascoltare le richieste di chi sarà protagonista del domani e lasciar perdere muri e divisioni, frutto solo di ignoranza, di insensate quanto sterili contrapposizioni. In una società assediata non potrà mai più nascere un Leonardo Da Vinci, un Immanuel Kant e un Beethoven; continuando così saremo noi ad essere la causa dell’estinzione della cultura europea, sarà per noi una sorta di autocondanna” (Marialuisa Stanziola , IV liceo scientifico)

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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