Articolo di Fausto Ermanno Leschiutta, tratto dal libro “mangiare&Essere” di Mario Mazzetti di Pietralata.
Entrare nel meccanismo dei cavatappi produce un certo compiacimento. Nasce dalla osservazione di prodotti industriali intelligenti, frutto di una abile ingegneria meccanica dei secoli scorsi che oggi, in epoca elettronica, guardiamo forse con lo stesso stupore di un entomologo che studia usi e costumi di una specie particolarmente industriosa.
In effetti in alcuni casi l’ingegnosità supera la nostra capacità di comprensione immediata, e l’uso del cavatappi ci riesce un po’ difficile. II principio del cavatappi è semplice: un’asta filettata viene avvitata nel tappo mediante la rotazione di un manico. Dopo l’inserimento, si applica una forza di trazione al manico al fine di produrre la fuoriuscita del fusto filettato, il quale trascina con sé il tappo. Il sistema primitivo (cavatappi a croce) prevedeva che lo sforzo di trazione si applicasse a mano, con notevole dispendio di energia, con l’inevitabile scossone finale alla bottiglia e l’increscioso rimescolamento del deposito. L’inventiva ottocentesca si è applicata alla ricerca di un meccanismo che riducesse sensibilmente lo sforzo, e producesse una estrazione delicata evitando lo scuotimento della bottiglia.
Il sistema più diffuso prevedeva l’inserimento nella parte alta del fusto di una seconda filettatura, la quale avrebbe fatto da guida ad un elemento che, ruotando indipendentemente dal manico, richiamasse in alto il fusto e quindi il tappo. Questo elemento intermedio che si muoveva ad elica assumeva varie forme, e talvolta era sostituito da una manovella che ruotava intorno all’asta verticale (come il vecchio macinino del caffe).
Un particolare modello ottocentesco appartenente a questo raggruppamento appare ancora oggi molto interessante: è quello che unisce in un unico pezzo sia la funzione del manico (se è bloccato all’asta verticale) sia quella del cursore secondario (se è libero di girare intorno al fusto). Tra le varie proposte, il modello più ingegnoso possiede un semplice meccanismo che sblocca automaticamente il cursore quando la punta è penetrata nel tappo e il manico ha raggiunto il collo della bottiglia.
Una versione del sistema ad asta unica ha avuto una adesione incondizionata: quella che sostituisce la filettatura superiore con una doppia dentatura laterale cui si ingranano due leve. E’ il famoso modello “a leve laterali” che si è diffiso maggiormente nel secolo scorso e che ancora impera nel mercato ed è universalmente presente sulle tavole. Il successo è dovuto alla semplicità d’uso, superiore a tutti gli altri cavatappi. Una semplicità che sembrava difficile da superare fino all’introduzione di una nuova proposta a dir poco sorprendente, o forse geniale.
Di sicuro affascinante, in quanto il meccanismo pur cosi semplice deve il proprio funzionamento a ragioni sufficientemente misteriose, tanto da apparire un po’ magico. Il fusto filettato è sostituito da una punta elicoidale ad asse centrale vuoto (detta scientificamente “a coda di porco) con un manico. La “campana” (cioè il corpo che afferra il collo della bottiglia e che stabilisce il fermo dell’avvitamento) è separata dal pezzo costituito dalla spirale con impugnatura.
Il cavatappi funziona nella maniera descritta con queste parole nel foglio che accompagna la confezione: “Far scendere l’ossatura guida sul collo della bottiglia fino a che gli appoggi interni non tocchino la parte superiore della bottiglia. Mantenere la guida ben salda sulla bottiglia e far scendere la vite attraverso l’apertura della guida stessa fino a raggiungere la supericie del tappo. Applicare una leggera pressione alla maniglia in modo da far penetrare la vite nel tappo e girare la maniglia uniformemente verso destra o in senso orario. Questa rotazione costante farà salire il tappo sulla vite fino ad uscire dalla bottiglia.
Non è necessario tirare”. Questa descrizione oggettiva non traduce il senso di magia che si accompagna all’ascensione del tappo, soprattutto non spiega per quale ragione cio avvenga. Anche avendo qualche conoscenza dei processi di distribuzione delle forze applicate e delle reazioni conseguenti, non è facile spiegarsi come una forza di torsione possa generare una spinta ascensionale.
In realtà, quando il verme a filo elicoidale è penetrato fino a far toccare al manico la te sta della campana, a quel momento si trasforma in vite senza fine. Lo sforzo di torsione si scompone in due vettori, uno trasversale, contrastato dall’attrito tra il tappo e il collo della bottiglia, e l’altro verticale che è l’unico che può svilupparsi. E’ la componente che fa salire il tappo.
Questo cavatappi è il mitico Screwpull, brevettato negli USA, esposto e venduto al MOMA di New York, che manderà fuori mercato tutti i cavatappi tradizionali soprattutto perché si stanno diffondendo le imitazioni, notevolmente più economiche.
Nello stesso tempo sta levitando l’attenzione verso il cavatappi come oggetto di collezionismo e noi volentieri lasciamo il campo agli appassionati di antiquariato. Infatti, anche se siamo esposti al fascino dell’ingegneria ottocentesca ed attratti dal concetto della variazione (che nel caso del cavatappi trova una applicazione estesa, in quanto la semplice funzione di levare il tappo è assolta da un numero limitato di meccanismi – due o forse tre – ma da un numero elevato di varianti di tipo strutturale e di tipo formale), il nostro interesse intellettuale è verso la riduzione del problema e della soluzione al minimum.
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