L’Italia sta attraversando una fase davvero complicata anche in rapporto alla sua storia recente, degli ultimi vent’anni, che, a parte pochi sprazzi vitali, l’ha vista perdere colpi e precipitare a livello interno e internazionale in una crisi senza esito e in una perdita di capacita (non pensare di autorità, che non ha mai avuto) a livello europeo e mondiale.
Così, tappa dopo tappa, vuoi per incapacità di tradurre sul piano realizzativo l’enorme fiducia che gli aveva accordato l’elettorato (vedi i governi Berlusconi), vuoi per il fuoco amico (dall’assalto della sinistra al governo Prodi, a quello politicamente più criminale dei corifei della “ditta” al governo Renzi, reo di aver tentato di rendere l’assetto istituzionale più adatto ai tempi correnti) l’Italia è scivolata nella situazione attuale, caratterizzata da un impasto di crisi economica, perdita di ruolo delle forze politiche, istituzioni slabbrate e settori della magistratura che sembrano esondare dal corso proprio assegnatogli dalla Costituzione.
Procedendo senza ordine (ne esistesse uno!), si può iniziare dall’economia evidenziando la difficoltà di individuare un “sistema paese”, poiché lati essenziali dell’industria (Ilva di Taranto) dei servizi (Alitalia) del settore bancario (ultimo il caso della Popolare di Bari) del territorio (un Mezzogiorno sempre più solo) sembrano in balia di sé stessi, nonostante le buone intenzioni del governo Conte chiamato a una lotta impari. Su questo complesso di fatti pesano responsabilità antiche coniugate a una mancanza di coraggio che lascia allibiti. Alitalia e Ilva ne sono la rappresentazione più lampante.
Serviva coraggio per chiudere l’Alitalia, già anni addietro, più o meno subito dopo la “grande idea” di trasferire l’hub principale della compagnia di bandiera da Roma Fiumicino al deserto di Milano Malpensa (l’ex sindaco di Roma, Walter Veltroni si è mai interrogato in merito alle proprie responsabilità istituzionali allorché avvenne l’accoppiata dell’identico trasferimento subito dalla Telecom oggetto anche di una “estemporanea privatizzazione” gestita dalla cosiddetta “merchant banK” di Palazzo Chigi, anche lì a guida ex Pci?). Dopo tanto cinematografo, meglio il cinema!
Analisi non dissimile può essere fatta per l’Ilva, dove la partita della privatizzazione è stata fatta a prescindere da una valutazione reale della crisi industriale e aziendale, soprattutto in rapporto all’impatto sull’intero sistema industriale nazionale, quasi a volersi liberare di un peso che puntualmente è ripiombato sulle spalle.
Le due crisi, Alitalia ed Ilva, insieme ad altre minori ma non meno dure per la ricaduta sull’occupazione, come l’alluminio in Sardegna e gli elettrodomestici in Campania, sono state lasciate in mano all’incompetenza del ministro grillino, Di Maio, che ora si esercita – si spera con migliore fortuna – nel delicato campo della politica estera.
La crisi delle banche è storia lunga e mai affrontata nella sua realtà. Realtà che attiene essenzialmente al sistema della vigilanza che fa capo a Banca d’Italia.
E’ possibile chiedere – senza urtare suscettibilità – come mai in pochi anni si sono susseguite vicende come Banca Marche, Banca Etruria, Carichieti, Cariferrara (assorbite da Ubi Banca e Bper con 4 miliardi versati dal Fondo nazionale), seguite da Popolare di Vicenza e Veneto Banca (rilevate da Banca Intesa per 1 -si, uno- euro-, con l’aggiunta di 5 miliardi di aiuti di Stato), dopo quanto già avvenuto con il Monte dei Paschi di Siena,e altre vicende minori insieme alla Carige di Genova?
La vigilanza dov’era? Non doveva intervenire nel corso delle gestioni ordinarie, quando ancora era possibile rimediare, o almeno bloccare situazioni scellerate? Chi è in grado fornisca risposte credibili, senza attendere le inconcludenti conclusioni di commissioni parlamentari incompetenti.
Anziché doglianze di lesa maestà, si alzi una voce, una voce sola, ma responsabile, da Palazzo Koch.
La “lesa maestà” sembra, per fortuna ancora non sempre, sommergere nella sua nebbia molti ambienti dei Palazzi di Giustizia e del CSM. Ma incertezza e ritardi della giustizia sono considerate tra le cause non minori delle difficoltà di cui soffre il “sistema Italia”.
Ma, con i giustizialisti sempre pronti a dare una mano, ecco l’idea di abolire il principio della prescrizione dei processi per decorrenza dei tempi. Via allegramente, verso processi infiniti e giustizia zero. Se l’autonomia del potere giudiziario è sacrosanta, altrettanto lo è – piaccia o no – la certezza del diritto.
Per il Mezzogiorno non vi sono più parole. Si scopre oggi che la Puglia può diventare un problema nazionale, ma non lo sono già, da decenni, la Sicilia e la Campania con amministrazioni locali, a partire dalle regioni, latitanti o coinvolti nel malaffare?
Si scopre oggi che più di 100.000 (centomila) giovani scappano ogni anno dal Sud. Sono diplomati e laureati, costati sacrifici duri alle famiglie e cifre imponenti di reddito allo Stato.
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte, stando alle dichiarazioni, sembra aver chiara la portata dell’emergenza del Meridione, ma non ha la forza di farvi fronte con la sua traballante compagine di governo.
Che non sia il caso di prendere la palla al balzo che gli viene offerta da un doppio fronte, quello di Matteo Renzi, che propone un piano straordinario di investimenti, e quello di Matteo Salvini, che lancia l’idea di un patto nazionale per rimettere in piedi l’Italia?
Occasione straordinaria e forse irripetibile, ma sentire da fronti contrapposti la disponibilità a mettere subito al primo posto gli interessi del paese, al di là del colore delle casacche e del tifo, è novità da non perdere.
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