Conversazione di Eugenio Santoro col prof Ivan Cavicchi (N.d.R.)
Ho appena finito di leggere un pamphlet (meno di 100 pagine) che a me medico di lungo corso e con una lunga militanza politica alle spalle è piaciuto tantissimo e che consiglio a tutti di leggere.
Il titolo è “La sinistra e la sanità da Bindi a Speranza con in mezzo una pandemia” (Castelvecchi editore). Il suo autore è Ivan Cavicchi mio amico da tanti anni, con il quale in sanità ho condiviso tante battaglie, certamente uno dei più autorevoli esperti di sanità pubblica del nostro paese e comunque uno che le politiche sanitarie almeno quelle degli ultimi 40 anni, le ha vissute direttamente come protagonista. Per molti anni abbiamo lavorato insieme in ospedale, poi sindacalista, professore universitario, saggista, (ha scritto un mare di libri) ma soprattutto come “riformatore”, cioè come un intellettuale indipendente di sinistra che usa la critica come una volta la usava Kant, cioè non solo come ragione impegnata nell’interpretazione della realtà, ma come ragione che analizza la ragione che interpreta la realtà in questo caso la sanità e la cui comprensione spiega le principali scelte politiche fatte in questi anni in sanità . Il suo libro infatti potrebbe avere tranquillamente anche un altro titolo “critica alla ragione politica della sinistra in campo sanitario”.
La pandemia di fatto ha funzionato come uno stress test cioè ha smascherato impietosamente tutte le principali criticità della sanità pubblica, quelle che si sono accumulate nel corso di 40 anni di servizio sanitario pubblico, smascherando di conseguenza tutte le principali criticità di quella “ragione politica” che tanto per intenderci ha governato negli ultimi decenni la sanità anche con scelte discutibili e qualche pericoloso cedimento contro-riformatore.
La pandemia, paradossalmente, per la sanità diventa, così non tanto l’occasione per una improbabile palingenesi ma l’occasione per impostare finalmente un nuovo discorso riformatore, che nel libro chiamo “la quarta riforma”. Una occasione resa tale dalla possibilità per altro di avere con il ricovery fund una certa disponibilità finanziaria.
Proprio così. Il dopo pandemia non sarà come riaccendere la luce cioè come un temporale che passa ma sarà come un elastico che si allungherà anche dentro una normalità ripristinata .
L’idea di definire una “quarta riforma” per me è la condizione necessaria per non sprecare l’occasione dei finanziamenti e per rendere più adeguato il sistema a questa complessa società e ai nuovi rischi epidemici che ci aspettano.
Senza un progetto riformatore cioè se la sanità, come sistema di servizi, restasse invariante cioè se a partire dalla pandemia non si affrontassero e non si risolvessero le sue criticità storiche è, da una parte, semplicemente destinata a crescere come spesa pubblica e a entrare nel tempo in collisione con il pil e il disavanzo pubblico, dall’altra a scontrarsi con una nuova società in tema di salute sempre più esigente .
E’ vero ma non si può guarire dall’anoressia, cioè dal problema della scarsità, con la bulimia cioè con il problema dell’eccesso. Non a caso Dante metteva i prodighi e gli avari nello stesso cerchio cioè li condannava come eccessi.
La sinistra oggi tutto assomiglia ma non a Dante. in questi anni passati essa in sanità è stata tendenzialmente anoressica quindi è stata il partito della non spesa delle compatibilità dei tagli del definanziamento programmato , da un po’ e precisamente dopo che ha perso le lezioni nel marzo del 2018, è diventata con Speranza ma non solo improvvisamente un partito della spesa incurante della natura incrementale della spesa sanitaria , e dei problemi di sostenibilità e soprattutto della qualità della spesa.
Poi è arrivata la pandemia che ci ha messo il carico da 12. Per cui soldi da tutte le parti. Ma soldi aimè non guidati da una idea riformatrice.
La sanità va rifinanziata su questo non ci piove ma non è saggio con una sanità come quella che abbiamo e con una economia che va male, finanziare un sistema sanitario a diseconomie e anti-economie invarianti. Speranza si preoccupa solo di potenziare quello che c’è perché è più facile ,e non pesta i calli a nessuno, ma in nessun caso si preoccupa di cambiare quello che c’è per spendere al meglio le risorse disponibili. Questo è più difficile e per farlo i calli a qualcuno è inevitabili pestarli.
L’anoressico e il bulimico sono entrambi malati di una comune malattia che nel mio libro chiamo per scherzo bilanciofrenia.
Oggi con i soldi del recovery fund si tratta di guarire la sanità dalla bilanciofrenia. Del resto in tanti anni non ho mai visto la spesa sanitaria diventare una variabile indipendente dal pil. Può essere indipendente per un po’ perché c’è una pandemia, quindi in circostanze del tutto eccezionali, ma a regime la spesa sanitaria deve confrontarsi anche con l’economia e dare a questa e alla società delle contropartite in particolare se l’economia va male e la società non è contenta. Questo vuol dire solo una cosa: se noi mettiamo più soldi sulla sanità quali contropartite la sanità è disposta ad assicurare tanto alla società che alla economia?
Un potenziamento del sistema fino a se stesso quindi a criticità invarianti, come sembra voler fare Speranza mi sembra una politica miope e senza fiato.
La pandemia ci ha insegnato che dovremmo riadeguare il numero dei posti letto nel sistema ospedaliero e quindi che dobbiamo rivedere anche radicalmente la politica di deospedalizzazione fatta in questi anni. Questo processo di rispedalizzazione come lo chiamo io non può avvenire se nello stesso tempo non ripensiamo l’ospedale come istituzione, come organizzazione come cultura. La pandemia ha trovato un ospedale sotto-dimensionato ma nello stesso tempo fermo come modello organizzativo agli anni 60.
Nella pandemia abbiamo avuto chiaro che il sistema duale territorio/ospedale che Speranza continua a riproporre, non ha funzionato per cui con una logica riformatrice dovremmo orientarci a ripensare un sistema unico e integrato che funzioni di più e costi di meno. Questo riguarda tanto l’ospedale che il territorio.
Nello stesso tempo abbiamo capito attraverso i contenziosi legali che anche con la pandemia non si sono fermati, che ospedale non può essere più il luogo dell’estraneazione, della separazione, della negazione della persona malata ridotta a malattia ma a sua volta come servizio pubblico è chiamato a relazionarsi con una società di bisogni incomprimibile e irriducibile, e quindi a ripensare le sue classiche modalità cliniche. Quindi l’ospedale non solo va ridefinito come servizio organizzato ma va anche ripensato culturalmente come modo di curare. Questo rientra nella “quarta riforma”.
Speranza dopo che la contrapposizione territorio ospedale è fallita continua a pensare il territorio in chiave anti ospedaliera. Una follia preoccupante. Ancora oggi si parla a vanvera di ospedalecentrismo. Ho letto che un gruppo di deputati del M5S sta lavorando ad una ipotesi di budget per la medicina generale per combattere l’ospedalecentrismo. Ridicolo. Le esperienze fatte in Emilia Romagna di dare autonomia finanziaria al distretto sono miseramente fallite. Ma in piena pandemia parlare ancora di ospedalecentrismo è sconcertante.
Per sinistra io intendo in particolare quella di governo cioè quella che nelle diverse istituzioni centrali e non, ha governato la sanità.
La sinistra in generale cioè un certo paradigma di pensiero, rispetto alla sanità italiana ha due meriti indiscutibili: è stata il suo principale soggetto riformatore, nella cultura della sinistra il diritto alla salute ha un posto privilegiato, e il diritto alla salute a sinistra è sempre stato considerato come strumento di emancipazione dell’uomo da ogni svantaggio, da ogni assoggettamento, da ogni forma di ingiustizia. Nello stesso tempo la sinistra di governo è quella che più di altre forze politiche la sanità l’ha gestita governata e soprattutto amministrata ad ogni livello.
La cosa evidente è che in questi anni la sinistra di pensiero e la sinistra di governo spesso sono entrate in conflitto. Cioè detto in un altro modo le ragioni di chi ha amministrato spesso hanno preso il sopravvento sugli ideali della sinistra di pensiero quindi sulla coerenza politica.
Tutte le principali scelte politiche in sanità sono state fatte dalla sinistra di governo o anticipate dalla sinistra di governo. Per esempio la riforma del titolo V. l’istituzione dell’azienda, gli scorpori degli ospedali dalle usl, gli accorpamenti territoriali, il definanziamento progressivo, i criteri di allocazione delle risorse alle regioni, l’appropriatezza e tante altre cose.
Si. Sinistra di governo e sanità in Italia sono praticamente la stessa cosa. Attraverso la sinistra si capisce la sanità e il contrario. Ne deriva che per comprendere i problemi della sanità serve comprendere i problemi della sinistra e il contrario cioè per risolvere i problemi della sanità bisogna prima risolvere i problemi della sinistra. Cioè i problemi del manico o del riformatore.
Nel libro dico esplicitamente soprattutto rivolgendomi a me stesso che ha poco senso proporre delle riforme se poi non c’è il riformatore. Se non ho le ali serve a poco dire che bisognerebbe volare.
Oggi noi abbiamo ,a partire dalla pandemia, un gran bisogno di riforma ma abbiamo una sinistra priva di un pensiero riformatore. L’emblema di questa sinistra senza ali è Speranza poveretto che in tutta questa vicenda si propone come uno scrupoloso amministratore della pandemia, un funzionario della vaccinazione, un addetto ai colori delle regioni come se le regioni fossero solo semafori , ma non come un politico che segue un disegno riformatore .Come sinistra davvero alquanto deludente.
Per quello che riguarda la coppia Bindi/Speranza certo il mio intento era quello di limitare un periodo storico ma anche di capire e studiare una continuità politica e ideologica . Tra la Bindi e Speranza come è noto ci sono stati altri ministri (Veronesi, Balduzzi, Lorenzin, Grillo) ma tutti loro pur nelle loro diversità politiche hanno agito attenendosi ad una impressionante continuità politica che a partire dalla riforma Bindi la 229 prolungava una visione della sanità che non solo oggi è saltata con la pandemia ma che ha dimostrato nel tempo quindi già prima della pandemia troppe contraddizioni e troppi problemi. Cioè si è dimostrata una scelta politica oggi e ieri fondamentalmente sbagliata.
Il caso della Grillo, cioè di un ministro M5S, come ministro è paradossale. Esattamente, come oggi Speranza e ieri la Lorenzin la Grillo si proponeva pur parlando di cambiamento ad ogni piè sospinto, esattamente come colei che si limitava a gestire l’ordinario. Il concetto di gestione politica dell’ordinario non è mio ma della Grillo. Prima che fosse messa da parte io scrissi un e book che si può scaricare facilmente su quotidiano sanità (peraltro gratuito) dal titolo eloquente “Te lo do io il cambiamento”. Era giugno del 2019.
Mutatis mutandis la struttura concettuale cioè il modo di ragionare di Speranza è del tutto sovrapponibile a quella della Grillo e a quella di coloro che sono venuti prima e che a loro volta sono del tutto sovrapponibili all’impianto della 229 cioè a una politica che a partire dall’invarianza del sistema nel suo complesso, si limitava a razionalizzare qualcosa ed ad aprire per ragioni di sostenibilità al privato
Oggi Speranza è quello che è perché il suo partito o quello che è rimasto è fermo alla politica della sinistra di governo di oltre 20 anni fa, come se in questi anni non fosse accaduto nulla, e che partiva da un postulato sbagliato: non c’è nessun bisogno di riformare il sistema quello che c’è va benissimo ( quindi va benissimo l’azienda , il nuovo titolo V, le diseguaglianze nord/sud, la mobilità sanitaria, il territorio, l’ospedale che ci sono ecc.) per cui a sistema invariante si tratta semplicemente di gestirlo meglio, di razionalizzarlo di più, di renderlo più appropriato cioè con meno sprechi ma soprattutto di aumentare gli spazi al privato cioè di ammettere quello che la Bindi aveva anticipato con la sua riforma e che dopo il governo Berlusconi (libro verde ministro Sacconi giugno 2008) si è definito “il sistema multipilastro”.
Oggi senza la Bindi non ci sarebbe ad esempio il welfare aziendale cioè quelle norme che dentro il job act spianeranno la strada al welfare fiscale cioè al welfare on demand. Non è un caso che sia la Lorenzin la Grillo e Speranza su questo problema in perfetta continuità non hanno mosso un dito
L’operazione politica che si è fatta con la 229 è duplice e per certi versi schizofrenica:
Siccome i soldi per finanziarie la sanità pubblica non ci sono allora ci inventiamo una sanità integrativa pagata in parte dal cittadino e incentivata dallo Stato.
La linea che passa con la Bindi è quella della compatibilità obbligata cioè i diritti si devono rinegoziare alla luce dei limiti finanziari quindi è il diritto che si deve adattare al limite non il contrario perché impossibile fare altro , con la conseguenza di dare avvio a un cambio di sistema. Dal sistema universalistico al sistema multi-pilastro.
Nella realtà è avvenuto che:
Anzi la pandemia ha detto chiaramente che ci vuole semmai “più pubblico” non meno e che sarebbe meglio che i soldi per la sanità fossero spesi per sviluppare il servizio pubblico.
Quindi la linea della 229 è stata smentita dai fatti.
Come è noto in senso marxiano per ideologia si intende tutto quanto al servizio dell’economia regola una società (culture, leggi, forme di governo, regole le più varie, istituzioni diverse, scuola sanità ecc) quindi si intende tutto l’apparato che giustifica a partire da una struttura economica un modo di essere di una società.
Tutta la sanità fino alla sconfitta elettorale del PD del 2018 è stata governata con l’ideologia della compatibilità è da questa ideologia che nascono le aziende le quale sanciscono la fine del diritto alla salute inteso come diritto economicamente incomprimibile , che nascono i riordini regionali per accorpare le aziende, che nascono le competenze avanzate per usare il lavoro professionale a minor prezzo, che nasce la deospedalizzazione e quindi il recente dm 70, che nasce l’appropriatezza una ideologia nella ideologia cioè il principio che quello che costa meno è più appropriato.
Hai capito bene. Proprio così. Governare una cosa tanto complessa come la sanità cioè i rapporti complessi tra etica scienza e economia, in una società come la nostra ossessionati dalla compatibilità è da pazzi.
Governare la sanità è difficile perché è difficile mettere in equilibrio l’etica la scienza e l’economia.
Essere politicamente subalterni ai solo amministratori cioè solo ai loro problemi di bilancio e decidere tutto in funzione di questi problemi ha messo in condizione la sanità di restare indietro prima di tutto sul piano culturale organizzativo sociale.
Quando io dico che la sanità è regressiva intendo un sistema preoccupato solo di tirare a campare culturalmente e socialmente fermo che siccome tutto intorno cambia è come se pur rimanendo fermo tornasse indietro.
La regressività ha molte conseguenze partiche a parte causare il deterioramento del rapporto tra servizi e cittadini, quindi partecipare a fenomeni incresciosi come il contenzioso legale, la crescita della sfiducia sociale e persino la violenza dei cittadini contro gli operatori, ma causa anche la pietrificazione delle prassi professionali. Oggi per esempio i medici di medicina generale esprimono prassi professionali analoghe a quelle del tempo delle mutue, lo stesso vale per gli specialisti e per gli ospedalieri.
Se le prassi professionali non cambiano è difficile affermare una qualsiasi riforma, cioè se non cambia il lavoro nella sanità è difficili che cambi la sanità ed è difficile che il cittadino si accorga di un qualche sostanziale cambiamento.
Tu sai bene che a tutt’oggi gli operatori della sanità sono ancora definiti giuridicamente come qualsiasi altro dipendente della pubblica amministrazione, il famoso 761. Io invece sono convinto che siccome la medicina è una scienza impareggiabile cioè non parificabile a nessuna altra scienza della natura ma del tutto specifica chi fa medicina è un operatore giuridicamente impareggiabile, cioè ha bisogno di una definizione giuridica ad hoc.
Ma sul terreno del lavoro siamo davvero molto lontani da un qualsiasi straccio di riforma e di ripensamento. Restiamo prigionieri di un ordinamento giuridico ampiamente superato, con bassi livelli salariali , con prassi professionali culturalmente regressive.
Non credo che sia una questione di imbecilli anche se il ruolo degli individui e le loro qualità personali in politica resta importante. Un conto avere un funzionario di partito come ministro e un conto avere un politico in grado di avere un pensiero riformatore. La Bindi per esempio, che personalmente stimo molto, avrebbe potuto scrivere la sua riforma in tanti modi diversi ma l’ha scritta in un certo modo che era quello che il senso comune della sinistra del suo tempo alla quale apparteneva le imponeva.
Il senso comune funziona come una moda e in generale impone scelte conformistiche cioè conformi alle idee che dominano. Le idee che hanno dominato sulla sanità in questi anni hanno visto nella Bocconi il maitre a penser che ha distorto tutto facendoci annegare in un economicismo stupido e pericoloso. Mentre la sanità annegava la Bocconi sulla sanità ha fatto il suo business più colossale.
Abbiamo avuto la moda dello scorporo degli ospedali, della azienda, dell’appropriatezza, della compatibilità, della sostenibilità delle linee guida, quindi dell’evidenza, dei riordini, delle aree vaste. Tutte le regioni hanno alla fine adottato le stesse delibere quasi con lo stampino.
Io penso ragionando anche sulla mia esperienza personale, che ogni periodo ha possibilità e limiti e le leggi che vengono fuori sono sempre un compromesso tra possibilità e limiti.
Per esempio la riforma sanitaria del 78 alla quale personalmente attribuisco un enorme valore politico apre a molte possibilità ma nello stesso tempo ha tanti limiti. Noi in questi anni abbiamo negato i suoi limiti e non abbiamo fatto niente per superarli finendo con il contro-riformare attratti dal pensiero neoliberale Anche per questo ci troviamo a malpartito.
Se mi perde il rubinetto è un problema la cui soluzione in genere non richiede la riforma dell’impianto, ma se privatizzo la sanità pubblica per renderla finanziariamente sostenibile allora abbiamo una contraddizione che non può essere risolta come il rubinetto che perde ma deve essere rimossa riformando tutto quanto crea la contraddizione in quanto tale. La contraddizione riguarda il sistema della spesa quindi si tratta di riformare la spesa sapendo che per riformarla bisogna riformare i suoi principali effettori e quindi i suoi principali comportamenti.
Ma se la riforma della spesa non la faccio e mi lito solo a privatizzare una parte del sistema è un bel casino. La sinistra in questi anni per lo più ha preso delle scorciatoie cioè ha ridotto le contraddizioni a problemi rifugiandosi nelle semplificazioni.
Alle contraddizioni sulla spesa a spesa strutturalmente invariante ha risposto con le aziende a quelle sulla sostenibilità ha risposto sempre a spesa invariante con i fondi. Oggi a sistema invariante con la pandemia la semplificazione di Speranza si chiama territorio, casa della salute ecc.
La logica seguita come ho detto è quella della compatibilità, Cioè per ragioni di compatibilità riduco la contraddizione a problema. Se la sinistra al contrario avesse deciso di rimuovere le contraddizioni e quindi di riformare ciò che avremmo dovuto riformare avrebbe dovuto cambiare logica accettando quella che nel mio libercolo chiamo “compossibilità”.
Due cose diverse sono tra loro compossibili se non hanno contraddizioni. Cioè la rimozione delle contraddizioni è la strada maestra per garantirci compossibilità. Il diritto alla salute è compossibile con l’economia se tra di essi non esistono contraddizioni. Se esistono si tratta di rimuoverle con interventi riformatori.
Alla fine io credo valutando tutto che questa sinistra in questi 40 anni ha riformato troppo poco mentre avrebbe dovuto riformare di più. Ma se come sinistra è sempre meno di sinistra allora come può riformare di più?
Per me una sinistra senza un pensiero riformatore smette di essere sinistra perché la sua mission generale è cambiare il mondo per renderlo migliore più giusto più comodo più piacevole e anche, se mi permetti, più sano.
La crisi della sinistra di cui si parla da anni è la crisi di un progetto di trasformazione del mondo causata principalmente dalla difficoltà di immaginare e di ideare in questo sistema capitalistico un mondo migliore. Cioè è la crisi di un pensiero che non riesce a riformare quello che dovrebbe riformare
Avere un pensiero riformatore non è facile. Bisogna studiare, ricercare, promuovere cultura, inventare, discutere, confrontare, innovare, criticare investire in ricerca . Cioè è un lavoro sul pensiero che la sinistra dovrebbe organizzare quasi in modo permanente. In sanità laddove la politica non è riuscita a riformare fatalmente si è finito per contro-riformare (Titolo V, mutue, privatizzazione, competenze avanzate ecc.
Per cui ne deduco che l’unico modo almeno in sanità per non tornare in dietro è andare avanti cioè continuare a riformare quindi continuare ad essere di sinistra. La sanità pubblica si difende davvero facendola diventare più pubblica non meno ma nello stesso tempo garantendo contropartite di qualità di economicità, di affidabilità, di umanità, di scientificità, degne del nostro tempo.
Per fare la “quarta riforma” prima ancora delle idee che per fortuna non mancano ci vuole il riformatore cioè una volontà politica che analizzando i fatti della realtà ne deduce la necessità di un cambiamento .
Con questo mio libretto ho voluto segnalare i problemi del riformatore quindi della sinistra. So sulla mia pelle che avere delle idee senza riformatore è vox clamantis in deserto.
Oggi in sanità “con in mezzo una pandemia” se non spingiamo in avanti un pensiero riformatore rischiamo di perdere quello che abbiamo faticosamente conquistato in questi anni.
Se riformiamo non c’ è pandemia che tenga non c’è bisogno di privatizzare la sanità pubblica la sinistra non scambierà più problemi con contraddizioni e non avrà più il problema di non essere sinistra. La strada della riforma per la sinistra non è facoltativa ma obbligatoria.
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