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Qualche segnale positivo, ora servono scelte mirate (e ragionate)

Il “dato” è che il numero dei nuovi casi di coronavirus rilevati quotidianamente in Lombardia (la regione che è temporalmente più avanti nello sviluppo dell’epidemia) sembra aver smesso di crescere a partire da una decina di giorni circa attestandosi, al di là delle oscillazioni quotidiane (colonnine azzurre), intorno a un flusso di circa 2.000 nuovi contagi rilevati ogni giorno come indicato dall’andamento della media mobile a 3 giorni (linea punteggiata nera).

Ovviamente una cosa sono i contagi che ogni giorno vengono RILEVATI tramite l’effettuazione di analisi sui tamponi e contabilizzati nel sistema di monitoraggio delle autorità sanitarie e una cosa sono i contagi EFFETTIVI che ogni giorno avvengono realmente. I primi sono un sottoinsieme dei secondi e il loro numero dipende, anche, dal numero di verifiche effettuate (e riportate nelle statistiche)  e dai criteri con cui i test vengono fatti. Tuttavia poiché il numero di tamponi giorno (linea azzurra) non è diminuito nell’ultimo periodo (la variabilità giornaliera è molto ampia ma mediamente siamo intorno ai 5.000-6.000) l’indicazione sull’ “andamento” dei nuovi contagi credo possa essere considerata abbastanza “credibile” (non è invece credibile quella sul “livello” perché i tamponi effettuati non sono statisticamente rappresentativi).

Evitare l’incremento (e se possibile ridurre) il numero dei nuovi contagi giorno è stato (giustamente) individuato come obiettivo prioritario perché il virus può essere letale (anche se la letalità varia moltissimo a seconda dell’età e delle condizioni di salute di chi viene infettato) e la possibilità di curare in modo adeguato chi si ammala (riducendo le probabilità di decesso) è quantitativamente limitata dalla disponibilità di strutture e personale sanitario che richiedono tempo (e risorse) per essere incrementate. Quando, come è avvenuto nelle province di Bergamo e Brescia, il numero dei nuovi contagi supera le capacità di gestione delle strutture sanitarie la situazione va fuori controllo e il numero di morti cresce enormemente.

In Lombardia il totale degli ospedalizzati è arrivato nella rilevazione di ieri a sfiorare le 13.000 unità, una cifra enorme che continua a crescere di circa 500 unità al giorno (la crescita è data dalla differenza tra il flusso in entrata  dei nuovi ospedalizzati, che sono la parte dei nuovi contagi non trattabili in isolamento domiciliare, e i flussi in uscita dei dimessi e dei deceduti -nonché nel caso lombardo quello dei trasferiti). Il “picco” della PRESSIONE OSPEDALIERA, che è la vera variabile cruciale, non è stato dunque ancora raggiunto (lo sarà solo quando il flusso delle nuove ospedalizzazioni sarà equilibrato da quelli di dismissioni e decessi).

In linea teorica il numero di nuovi contagi (effettivi) che si verifica ogni giorno dipende, a parità di altre condizioni, dal numero di “incontri” che avvengono da persone portatrici del virus (vettori) e persone non già malate o immuni (recettori).  Tutte le misure che consentono di ridurre il numero di nuovi contagi (così come tutte le misure che aumentano le capacità di cura adeguate) sono dunque UTILI, ma alcune sono più EFFICACI ed EFFICIENTI di altre.

Per ridurre il numero di nuovi contagi si è finora cercato di agire attraverso strategie di contenimento degli “incontri” sostanzialmente PASSIVE e INDISCRIMINATE, cercando cioè di isolare (attraverso il ricovero e l’isolamento domestico)  tutti i vettori individuati  e di ridurre le possibilità di incontro tra quelli non ancora individuati e i possibili recettori (attraverso le misure di limitazione della mobilità e blocco delle attività sociali e produttive). Si tratta di misure legittime e in qualche modo efficaci (anzi, il problema è stato che in alcuni  sono state adottate troppo limitatamente e troppo in ritardo)  in una fase iniziale, ma oggi -proprio perché si sono ottenuti dei risultati- bisognerebbe cominciare a  ricercare soluzioni più efficaci ed efficienti, perché il costo delle strategie passive e indiscriminate non è nel medio periodo sostenibile. 

La richiesta di un MAGGIOR NUMERO E DIVERSA DISTRIBUZIONE DEI TEST  (estendendoli a chi è venuto a contatto con i contagiati) non è una fisima di chi vuole per forza criticare ciò che si è fatto, ma  è una proposta razionale per accelerare i tempi di individuazione dei già contagiati in modo da poterli isolare prima (e degli “immuni” che invece possono essere attivi senza rischi). Il numero dei tamponi è, fortunatamente, cresciuto, ma la proposta fatta da numerosi medici e scienziati di attivare una rete di laboratori privati, verificati e accreditati, mi pare sia rimasta fino a questo momento senza risposta.

La segnalazione della PRIORITA’ DA ASSEGNARE ALLA MESSA IN SICUREZZA DELEL STRUTTURE DOVE SONO OSPITATI GLI ANZIANI non era una stravaganza, ma una proposta razionale per ridurre i rischi di contagio della parte di popolazione che presenta le più alte percentuali di letalità (il 50% dei deceduti hanno più di 80 anni) e ospedalizzazione. Qualcosa si sta cominciando a fare ma non mi risulta si sia elaborato un piano organico destinando ad esso le risorse necessarie.

Questi sono due esempi di azioni ATTIVE E MIRATE che potrebbero essere più efficaci ed efficienti degli interventi passivi e generalizzati  nel perseguire l’obiettivo di mettere sotto controllo la crescita della pressione ospedaliera. L’impressione è che  proposte del genere incontrino resistenze da parte delle autorità politiche e sanitarie che non è sempre facile comprendere.

Anche la questione della GRADUALE RIATTIVAZIONE DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE  va affrontata in modo razionale e non emotivo. Tenere a lungo bloccate le attività economiche non è un danno solo per qualche cinico imprenditore. Solo producendo noi possiamo creare la ricchezza che ci serve per finanziare tutti i servizi che consideriamo indispensabili,  a partire da quelli di cura; se continuiamo a non produrre potremo presto non avere più risorse per farlo (le possibilità di indebitamento non sono infinite). Inoltre i vari settori dell’economia produttiva sono interconnessi e prima o poi i settori essenziali avranno bisogno di prodotti e servizi che provengono da quelli che sono stati chiusi. E allora è urgente passare, anche in questo caso,  da una logica SEMPLIFICATA delle chiusure per settori ad una più COMPLESSA, ma più sensata, delle riaperture basate sul criterio del raggiungimento di determinati standard minimi di sicurezza (la cosa è evidentemente possibile, altrimenti avremmo condannato tutti i lavoratori dei settori strategici lasciati aperti ad ammalarsi).  E non ha senso dire che questo non è il momento. Prima si comincia a ragionare su come riattivare le attività produttive prima si trovano le soluzioni che garantiscano i massimi livelli di sicurezza, più tardi lo si farà più sarà elevato il rischio di adottare soluzioni affrettate.

Il ricorso a risposte semplici era probabilmente inevitabile per produrre rapidamente l’uscita dalla fase drammatica della crescita crescente, ma la situazione resta grave e destinata, se non si interviene, ad aggravarsi ulteriormente.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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