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Silvio Berlusconi: “La via di uscita per noi resta la rigenerazione della democrazia liberale”

Viaggio nel Pronto Soccorso dei partiti politici italiani/3
Domande libere al fondatore di Forza Italia (e risposte supposte).

Presidente Berlusconi, mi hanno chiesto un pezzo sulla crisi di Forza Italia. Ho pensato di non eludere il cuore dei problemi e di venire a parlarle. E’ vero che non ci vediamo da oltre vent’anni. E che i nostri contatti sono stati diciamo professionali, istituzionali. Ma la milanesità aiuta. E anche l’età favorisce alcuni riepiloghi. Posso?

Può, sì certo che può. La carrozzeria mi pare un po’ invecchiata. Dico, la sua, eh… Ma riconosco lo sguardo guizzante. Da dove cominciamo? Dal cuore dei problemi? 

Se crede. Ma mi faccia delimitare il terreno. Forza Italia perde consensi perché ha scelto la via moderata in una fase storica radicalizzata? O perde consensi perché il ciclo di vita – come dicono gli economisti – si è avvitato attorno alla storia e all’età del fondatore?

La prima che ha detto ovviamente. Connessa alla seconda solo perché il sacrificio elettorale per non buttare via una storia gloriosa l’ho dovuto fare io, alla mia età e grazie al mio naso.

Mentre tutti i partiti in campo stanno scegliendo la doppiezza (Cinquestelle con evidenza straziante, la Lega perché sta al governo con un leader impunito, il PD a furia di massacrare i suoi segretari), lei vuol dire che Berlusconi ha scelto la linearità nella fase matura?

Esattamente. Ho scelto l’Europa anche se ho preso schiaffi da quell’Europa. Ho scelto la forza libera del mercato, anche se tre quarti degli imprenditori italiani mi ha snobbato. Ho scelto l’idea dello Stato leggero per togliere la presa burocratica su tutto e tutti. Avendo danni anche aziendali. Ho scelto di non cedere rispetto all’idea liberale della democrazia e non ho seguito la deriva trumpiana dell’America.

Ma perché allora si ostina a tenere insieme forze euroscettiche, stataliste, sovraniste e trumpiane con la velleità di sentirsi potenzialmente un vincitore essendo sostanzialmente un prigioniero?

Tattica. Necessaria per tenere in careggiata il territorio. Per non far scappare il peggio della politica – l’assessorame – fino a quando si riaprono condizioni di un centrismo strategico.

Accidenti, detta così non gliela avevo mai sentita raccontare. Lascio? Sicuro?

Beh… detta così nemmeno io non me l’ero mai sentita raccontare. Ma lasci pure. E’ questa, se vogliamo, la base logica per eleggere il nuovo Capo dello Stato.

Non mi dirà che davvero ci sta ancora facendo un pensiero?

Si, ci faccio sempre un pensiero ma so che sono fuori partita. Voglio partecipare alla rifondazione moderna della democrazia liberale italiana. Ho cominciato cercando di mettere in sicurezza l’elettorato della grande storia del riformismo italiano – socialisti, democristiani, repubblicani e liberali – a cui offrire un porto tra il cannibalismo dei post-comunisti, l’inservibilità dei post-fascisti e la primitività dei proto-leghisti. Ora il tempo è maturo per cancellare tutte queste etichette. E il mio 7, tendenziale 10 per cento, è decisivo nel tirare questi conti.

Lei è un filo generoso con la sua demoscopia, comunque ha bisogno di un fatto clamoroso, non mi pare che basti un atto di volontà.

L’atto clamoroso lo stanno costruendo giorno per giorno quelli del PD. Vagando, sognando, affermando, contraddicendo. Hanno portato alle estreme conseguenze l’impossibile connubio di due storie logore – quella comunista e quella demitiana – lasciando fuori dalla porta tutto quello che sarebbe servito a fare un moderno partito democratico all’americana. Non sono io a poterlo fare né incarnare. Ma io mi sento parte di un sistema che nella logica proporzionalista italiana aveva dentro tutte le anime per tenere anche un PD un po’ radicale ma non comunista in alleanza vincente. Non hanno capito niente soltanto per non chiudere davvero “la ditta”. Ora voglio dedicare il tempo che mi è concesso a mettere in carreggiata ciò che i miei avversari non sono stati in grado di fare.

Non ha l’impressione di una presuntuosa velleità?

Guardi che la politica è un pensiero a strappo. Oppure non esiste. Era un pensiero a strappo salvare il Paese dal baratro nel 1994 e cercare di non gettare via un po’ delle risorse in campo. Sono stato per anni talmente bersagliato, attaccato personalmente, da dovere ricorrere alla testuggine romana, al serrate le fila con le forze che mi assicuravano la maggioranza e non di riempire di microspie i miei uffici per cercare di mandarmi in galera.  

Come la vede allora la geografia che sorgerà dal nuovo strappo?

Vedo un PD che si spacca fino in fondo, liberando le forze marxiste che tornano a unirsi in un disegno vagamente dalemiano, capace di assorbire anche la componente guevarista dei 5 stelle. Vedo la destra che Giorgia Meloni guida con la sua mascellina volitiva capace di svuotare un po’ il leghismo sovranista. E vedo in mezzo l’alleanza per la democrazia liberale italiana – da Bonino a Giorgetti, da Calenda ai miei, dagli ecologisti a Renzi – che viene riconosciuta da tutta la filiera intermedia che sta facendo palestra con Mario Draghi. Che sarà il leader di questo schieramento che l’elettore italiano promuoverà come un atto di maturità, quando vedrà in faccia i 200 miliardi arrivati freschi da Bruxelles.

Ma a Meloni e Salvini ha per caso fatto trasparire questo pensiero?

Ora cautela. A loro dico una cosa che pure penso. Che potrebbe succedere che Draghi veda una sua prospettiva in Europa e che non se la senta di reggere la complessità di un disegno politico interno. Questo significherebbe riproporre lo schema centrodestra-centrosinistra con dentro, per ciascuno, ogni centimetro delle alleanze. E’ normale avere un piano B. Quello non ha bisogno di strappi. E di quello parlo.

Infatti, nel suo scritto per il Corriere della Sera del 14 agosto e’ tornato allo schema delle alternative, senza altre prospettive, tra centrosinistra e centrodestra, giustificando le polarizzazioni interne di entrambi gli schieramenti e illudendo i lettori (ma non credo se stesso) di ottenere alla fine, nel centrodestra, il partito unico ovvero un suo ruolo personale condizionante. Insomma, un piano B, per giunta poco realistico.

E’ realistico, come dimostra, alla fine di tante giravolte, vedere le convergenze tra forze diverse ma meno diverse di chi era e resta avversario dichiarato del centrodestra. Ho ipotizzato prima gli scenari della volontà. Ma sono abituato a tenere a vista d’occhio anche gli scenari della ragione. 

Ho l’impressione che il suo disegno del rilancio della democrazia liberale andava bene finché non se lo è visto scodellare come un invito pressante da Ernesto Galli della Loggia… O no? 

Io invece ho l’impressione che anche una forza politica del nostro rilievo – basti solo ricordare il significato di essere parte noi e non altri del Partito Popolare Europeo – ha il dovere ormai di riconoscere che in democrazia si è condizionati da una maturità di sistema che è più forte delle utopie delle singole parti. La crisi di consistenza di una qualsiasi maggioranza questa volta ci ha portati – con mio netto sostegno – al governo Draghi. E la prossima volta? 

Scusi ancora, presidente. Ma lei parla di una spaccatura di fondo nel PD – ormai con la scissione di Renzi avvenuta – senza una vera argomentazione. Sembra più un auspicio che un’analisi…

Se lei vede solo una generale concordia nel PD, e’ libero di farlo. Io ho visto che finora hanno prevalso coloro che hanno considerato l’alleanza con Cinquestelle la via più semplice per avere una massa critica per il proprio protagonismo. Incuranti degli esiti del buon governo. Il dimezzamento dei grillini già spacca in due questa linea. E se i conflitti interni vanno avanti – negli uni e negli altri – ecco che il blocco che potrebbe prevalere potrebbe essere ben diverso dal patto tra le correnti che ora regge il partito. “Regge” e’ una parola grossa, perché non tutti i nipoti sono uguali ai loro zii. Io faccio riferimento a un’ipotesi in cui un PD cambiato non sarebbe più una locomotiva, questo è vero. Ma ritroverebbe una certa oggettiva centralità in una condizione di potere. 

Lei sa che sto scrivendo queste cose (note o interviste che siano) a seguito di una metafora sul “Pronto Soccorso” in cui sarebbero ricoverati tutti i partiti in caduta libera per rissa e perdita di strategia negli ultimi tempi? Alcuni sono in Pediatria, altri in Oculistica, i più hanno problemi di metabolismo e soprattutto di ordine vascolare. Scusi sa, ma Forza Italia l’ho dovuto immaginare in Geriatria. Cosa ne pensa?

Dal punto di vista della scheda anagrafica avrà anche ragione. Ma io ho imparato – anche facendo ammenda di qualche cazzata, come si dice ad Oxford – che si invecchia più o meno secondo il filo conduttore della vita fatta. Al netto delle demonizzazioni subite, penso di avere salvato la democrazia italiana negli anni ’90 e penso di avere tenuto (anche ubbidendo quando non mi sarebbe convenuto) al sistema europeo per lasciare l’Italia in un porto sicuro. Se manda Forza Italia in Geriatria penso che faccia bene. Ora fanno alcune punturine di ringiovanimento che sono uno spettacolo!

PS – L’autore dichiara che questa intervista è inventata di sana pianta. Non crede che l’intervistato (secondo il modello delle interviste impossibili) consideri davvero questa intervista come “impossibile”. In ogni caso in tal modo ritiene che si possa esprimere in modo giornalisticamente più chiaro ed evidente il tema della crisi del berlusconismo in età di “pronto-soccorso”, cioè dovendo immaginare terapie e vie d’uscita. Malgrado gli stimoli dell’intervistatore che pensava al baratto intelligente di un trattamento simpatico dell’intervistato in cambio di un progetto di scompaginamento della morsa conservatrice del centrodestra, la tendenza alla doppiezza – che si profila in tutta la politica italiana – alla fine ha ripreso il suo posto anche nel racconto del Cavaliere. Lo scatto di avvio, alla fine della corsa mostra il freno e conferma il possibilismo ma anche l’impasse di Forza Italia.


I precedenti articoli

Viaggio nel Pronto Soccorso dei partiti politici italiani – di Stefano Rolando

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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