Gioca la nazionale e siamo tutti allenatori. Ci sono le elezioni in USA e diventiamo tutti esperti di politica estera. Scoppia l’emergenza Covid e ci si divide tra infettivologi, virologi ed epidemiologi (spesso senza nemmeno conoscerne le differenze).
Partiamo proprio da quanto sta accadendo in questi mesi di pandemia per alcune riflessioni. Fermiamoci un attimo e proviamo a capire perchè siamo arrivati a questo punto, ma soprattutto dove andremo a sbattere se non apportiamo le giuste correzioni. E pensiamo pure a chi ha la responsabilità di proporre soluzioni.
Proviamo a capire chi siamo, come lo siamo diventati, cosa potremmo diventare e cosa invece vogliamo essere.
Iniziamo con un po’ di dati. Negli ultimi 50 anni si assiste ad un notevole incremento di “competenti” (includendo in questa categoria medici, avvocati, ingegneri, architetti, economisti, banchieri, manager, giornalisti, ecc.). Il “tasso di crescita dei competenti” ha seguito un andamento lineare (in figura si riporta il tasso di crescita dei laureati americani, ma lo stesso vale per il resto del mondo).
Nello stesso periodo il “tasso di crescita della conoscenza” (intesa come mole di dati/informazioni da cui trarre appunto il sapere) ha seguito un andamento esponenziale. Crescita lineare contro crescita esponenziale: questo ci può aiutare a comprendere perchè tante specializzazioni, in tutti i settori (per rimanere in tema pensiamo alla medicina: medico chirurgo, poi specializzazione in chirurgia dell’addome e poi ancora chi è esperto di fegato, intestino, stomaco, pancreas, ecc).
Volgiamo ora lo sguardo al mercato del lavoro. Quanto è cresciuta la domanda di competenti? E’ cresciuta tanto da assorbire tutta l’offerta? Assolutamente no. Tra tutti quelli che hanno completato il loro percorso di studi non tutti hanno trovato il lavoro dei loro sogni. Buona parte, seppur professionalmente attiva nel settore di studio, non ha raggiunto le soddisfazioni economiche o professionali che si aspettava. Una esigua minoranza è entrata a far parte di quella “elite di competenti” cui aspirava. Chi ne è rimasto fuori vive una situazione di disagio (a chi va peggio di frustrazione), alcuni sociologi classificano questi soggetti come “proletariato intellettuale”. Il
Come osservato in molti settori da illustri studiosi, anche nel campo delle conoscenze, vale la regola del “rendimento decrescente delle competenze”: all’aumentare della conoscenza l’incremento della competenza cresce fino ad un punto massimo di saturazione, da cui poi inizia a decrescere. Ora è più chiaro il perchè dell’iper specializzazione: allontanare quanto possibile l’avvicinarsi del rendimento decrescente di competenza.
Abbiamo visto che compenti e conoscenza aumentano, ma con tassi di crescita diversi: lineare il primo, esponenziale il secondo, per cui vi sarà comunque (vi è già in realtà) un punto da cui inizia un rendimento decrescente delle competenze. Ciò non significa che i competenti di oggi sono meno “bravi” di quelli di ieri, anzi! Semplicemente il numero di dati, informazioni, variabili (di conoscenza direi) da gestire è assolutamente maggiore.
L’errore da non commettere, a questo punto, è quello di delegittimare i competenti. Ma è assolutamente quello che stiamo facendo. Vediamo perchè.
Uno dei motivi per cui abbiamo assistito all’incremento esponenziale della conoscenza è riconducibile all’affermarsi della tecnologia digitale ed all’aumento della capacità computazionale delle macchine. Su tutto innestiamoci il diffondersi della rete Internet, che mette questa conoscenza a disposizione di tutti.
La Rete porta con se tanti vantaggi, ma abitua gli utenti ad avere risposte immediate a quesiti di ogni tipo, in modo “veloce”, istantaneo direi. La velocità caratterizza questa nuova fase e tutto il mondo digitale, in contrapposizione ai tempi classici del mondo reale.
Poi sono arrivati i Social Network, dando “voce” a tutti. Tutti possono dire la loro, uno vale uno, tutti possono giudicare, criticare, argomentare. Le due cose (velocità e voce), insieme a quel processo inevitabile che abbiamo indicato come “rendimento decrescente delle competenze”, porta alla conseguenza nefasta della delegittimazione dei competenti. Delegittimazione che è ancor più grave quando avviene “dall’interno”, quando le critiche più accese sono tra colleghi (forse una rivincita, una rivalsa per quel “proletariato intellettuale” che non ha trovato spazio o soddisfazione personale tra l’elite di competenti).
Tornando al nostro paragone, quanto sta accadendo in questi mesi di pandemia tra virologi, epidemiologi, infettivologi, ricercatori e scienziati non ne è che la rappresentazione pratica.
Trovare una soluzione al virus Covid-19 implica studio, ricerca, applicazione, in poche parole tempo. La velocità cui siamo abituati nel mondo digitale cozza con la “lentezza” propria del mondo reale. Con la rete ed i social tutti hanno voce in capitolo. Se passa il messaggio che i competenti devono immediatamente trovare una soluzione ai problemi, motivo per cui sono pagati, se non accettiamo ed “ammettiamo i limiti delle nostre conoscenze e non ci fidiamo delle competenze degli altri, il sistema non può funzionare” (Tom Nichols). Ed infatti il sistema va in tilt.
Fenomeni come le fake news, la post verità, il populismo, il negazionismo, non sono altro che granelli di polvere (o massi, fate voi), che si insinuano nel meccanismo e che stanno per mandare in crisi il sistema democratico, economico, sociale, scientifico, politico in cui siamo abituati a vivere.
Il ruolo dell’informazione (comprendendo in essa sia chi la fa, quanto gli strumenti che usa) è essenziale per evitare il collasso. “Intellettuali, economisti ed esperti di vario genere vengono convocati nelle piattaforme mediatiche per diffondere il consenso scientifico sulla base di anni di esperimenti e teorie, contro le opinioni improvvisate di tuttologi, oratori demagoghi e vendicativi […]. Ma chi stabilisce ciò che è buono, bello, giusto, vero? Sono beninteso quegli stessi media, quegli stessi intellettuali. Di fronte ad un sistema che si auto-legittima, l’adesione è nel peggiore dei casi irrazionale, nel migliore utilitaristica” (in Radical choc, di Raffaele Alberto Ventura).
Sta a chi fa informazione, a chi vuole rendere con questa attività un servizio alla collettività, non mollare di un centimetro, sottolineando ad ogni occasione come il rispetto dei saperi, dei ruoli, insieme all’amore per la conoscenza, rappresentano capisaldi su cui abbiamo costruito il nostro mondo e che tutto questo implica studio, sforzo, approfondimento, fatica.
Per dirla con le parole di Aldo Di Russo: “Nessuno, prima del capitalismo dei social network aveva mai immaginato che quella goccia potesse scavare nelle menti per costruire con i mattoni della mediocrità un ambiente in grado di cancellare, un po’ alla volta, i nostri valori fondanti. Anche chi all’inizio aveva storto il naso trattando il fenomeno con sufficienza, e anche con un po’ di supponenza, sta annusando il pericolo. La goccia rischia di produrre gli stessi effetti delle dittature, ma sostenuta da un popolo felice della propria schiavitù”.
Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”.…
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