Arriverà l’ 8 marzo anche in Grecia, in Turchia, in Siria , in Libia, il calendario non si ferma, il tempo scorre e la vita non smette di andare avanti e di scrivere la storia. Ma cosa significa l’8 marzo in un campo di rifugiati, cosa può rappresentare la festa della donna, chi sono le donne di questi campi. Siamo pronti a celebrare,seppur non in piazza, non nei cinema il giorno dedicato alle donne, non tante mimose e cioccolatini, ma ognuno in questo “ malato Occidente” sa che vanno dati gli auguri e regalati sorrisi anche se non sinceri, quest’anno meglio usare auguri virtuali e a distanza ma sarà festa.
Ma sulle isole greche dove tutto è lecito, anche sparare sui migranti e picchiarli, bruciare depositi di beni di accoglienza e macchine, fare ferro e fuoco per respingerli, al grido di eserciti di facinorosi “andate via”, l’8 marzo che senso può avere? Voglio dedicare un omaggio alle donne che vivono come fantasmi tra tende, fango e filo spinato, donne di ogni età , che non chiedono nulla se non un po’ di pace .
Donne che vivono nel terrore della violenza e ossessionate dal difendersi, dall’alba alla notte, contano attimi, minuti e ore sperando di non essere oggetto di violenza, qualsiasi essa sia, alla ricerca di una difesa che è parte del modo di vivere o forse solo di sopravvivere. E così , grazie ai racconti di persone speciali come Alfredo Nazzaro, medico coraggioso e straordinario, io ho potuto entrare virtualmente in quei campi, cercando di non commuovermi ai suoi racconti lucidi e dettagliati, mille domande come se quelle domande avessero sempre una risposta, sperando di non sentire descrizioni terribili, con l’orecchio teso per carpire le emozioni di una narrazione veritiera e crudele, incalzando per avere dettagli e emozioni. Non è immaginabile che nei campi , ma il luogo è il centro rifugiati di Chios, dove la Stay Human Odv, fa davvero i miracoli, i rifugiati mettano alle tende i lucchetti, si, lucchetti alle tende un controsenso, una cosa inutile, che racconta lo stato d’animo che alberga, la paura di tutto e tutti.
Io avrò 20 lucchetti per le mie valigie banali che mi hanno portato in giro per il mondo, per proteggere vestiti e cose inutili, non per proteggere la mia vita e quella dei miei cari. Quanta stupidità in questi miei piccoli gesti ! Tende condivise dove la collocazione privilegiata e contesa è essere vicino l’apertura, per avere una via di fuga più rapida, per poter scappare in qualsiasi istante, giorno o notte che sia. Le donne dei campi sono un universo incredibile di dolore e forza, di disperazione e determinazione. Sono bambine orfane che non hanno nulla se non la buona stella che le ha fatte sopravvivere, per il momento, bambine che impareranno presto che è tutto in salita, giovani ragazze preda di abusi, violenze e disposte a tutto pur di essere protette e considerate parte di una famiglia o di un gruppo. Bambine che non hanno la loro bambola, che non hanno libri di fiabe su cui fantasticare e diari segreti da custodire.
Crescere nei campi significa imparare a conoscere le debolezze, un corpo che cambia e che diventa oggetto per alcuni di desiderio e possesso, senza nessuno che ti accompagni in un percorso di vita. Bambine che diventano donne da adolescenti, per loro le lancette corrono come in una macchina impazzita e non c’è tempo neanche per sognare e sperare. Vedove giovani , vedove da poco che partite con il proprio marito lo hanno perso nel viaggio, nei lager, negli spostamenti, vedove che non hanno più lacrime ma solo un estremo bisogno di cercare un altro essere umano a cui aggrapparsi. Le vedove dell’ISIS , con figli o senza che hanno un marchio indelebile loro malgrado, le donne possedute dal male, non è bastata la violenza, di più i loro occhi saranno sempre persi nel vuoto.
Donne che hanno perso i loro figli , madri che non hanno ricevuto calore umano per la loro perdita, madri di figli che il viaggio e la fuga hanno sottratto alle loro braccia e ai loro baci. Madri che hanno difeso con le unghie e i denti la vita di chi è scivolato in acqua, di chi è volato via per il freddo o la fame , o di chi si è perso nelle lunghe traversate. Noi cosa sogniamo per i nostri figli? La felicità , il successo, l’amore, la serenità, come spiegarglielo che non ci svegliamo mai ringraziando per essere vive e poter dire buongiorno ai nostri figli, sentire il calore del loro abbraccio e vederli crescere. Donne sole , donne libere, impossibile sopravvivere per loro , si sceglie il meno peggio si sceglie di vivere. Essere donne nella vita quotidiana è un’impresa ardua anche per le cose normali, in quei campi essere indisposte non è semplice, igiene poca e poche comodità; allattare se non si ha il latte, un gran problema ci si affida a chi il latte lo ha , balie , i biberon ci sono ma come si fa a sterilizzarli per tutti? E penso ai miei figli cresciuti con un numero incalcolabile di biberon e latte artificiale, mi commuovo, mentre Nazzaro racconta, e corro ad abbracciarli nel pieno della notte, dormono sotto i piumoni e non sanno che da adesso, li amerò ancora di più.
Di notte andare in bagno, meglio di no, sono aperti e così tutto si complica, il rischio aumenta anche se ci sono le stelle e la luna e tutto tace. Ma si può immaginare una vita in cui niente sia facile, niente sia sereno, niente sia senza paure? Il mio 8 Marzo, le mie mimose e le mie preghiere vanno a tutte le donne che vivono in questi inferni in terra non cedendo mai, soffrendo in silenzio, lottando per un futuro legato ad un numero su un foglio di carta. Giornate scandite da un sentore di paura costante, tra sudore e brividi, guardando il cielo e sperando. In quelle tende sotto gli ulivi, su declivi rocciosi, umide, buie, con il fango come pavimento, quelle donne che non siamo ‘noi’ combattono una guerra che i libri di storia racconteranno e liquideranno con poche righe, mentre noi scriviamo la storia di questo mondo, in cui tutti siamo fragili ma è più facile in una comoda casa. Il sogno dell’amore, della famiglia , i progetti di vita in quei campi evaporano, scompaiono, bisogna lottare e cercare di non diventare fantasmi.
A chi mi ha davvero regalato le sue emozioni a Chios , e così come solo una donna sciocca può fare domando ad Alfredo in interminabili chat di ore , tra errori di battitura, ed emoticon cretini, per pareggiare i sensi di colpa con la mia coscienza:” Ti prego Alfredo quando le visiterai sorridi a quelle donne anche per me, ti prego so cosa significa per alcune di loro essere visitate da un ginecologo”. Consigli non richiesti ma il bisogno di poter fare qualcosa per donne che ho incontrato nei miei viaggi, donne afghane che ho incontrato in Iran, volti che mai dimenticherò. E sera dopo sera ho voluto ascoltare, da lontano, i racconti di quelle donne a cui ho potuto sorridere anche io e che vorrei abbracciare tutte e dirgli che noi siamo infinitamente orgogliose di essere donne come loro, che sono loro il nostro futuro e la nostra speranza e che vorrei che mia figlia fosse forte e determinata come loro. Le battaglie delle donne devono continuare perché ogni donna, bambina, ragazza, trovi la libertà, possa scegliere e possa vivere. Mi piace chiudere con una frase di una famosa attivista e figura guida del femminismo di fine ottocento Elizabeth Cady Stanton “La migliore protezione che una donna possa avere è ..il coraggio “.
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