Cari lettori,
giovedì 19 novembre, alle sette della sera, tornando a casa dopo una giornata di lavoro, abbiamo subito, mia moglie ed io, una rapina a mano armata nella nostra azienda agricola. La casa è stata svaligiata ma poteva finire molto peggio se non fossero intervenuti i carabinieri. I rapinatori sono fuggiti qualche minuto prima del loro arrivo.
Nei giorni successivi mi sono posto la domanda se da una brutta esperienza personale si potesse trarre qualche riflessione utile per tutti. Da ex parlamentare ho sentito il dovere di elaborare qualche proposta per dare un contributo sul tema della sicurezza dei cittadini e per “una più approfondita conoscenza del problema e delle eventuali soluzioni da adottare per risolverlo” come recita lo statuto dell’associazione ex parlamentari.
La sicurezza è un diritto dei cittadini e lo Stato la deve garantire. Sarebbe tuttavia vano tentare di individuare un soggetto, ente o persona fisica, che abbia una responsabilità esclusiva in tal senso: si tratta a mio avviso di una catena, i cui anelli sono il Parlamento, il Governo, le istituzioni pubbliche territoriali e così via fino a giungere al cittadino.
Se così è allora dobbiamo lavorare perché si realizzi una sicurezza condivisa tra cittadini, magistratura e forze dell’ordine che richiede prioritariamente coesione istituzionale e partecipazione.
La sicurezza dei cittadini si ottiene con il controllo del territorio: fino ad oggi con il pattugliamento delle forze dell’ordine, da oggi in poi con le tecnologie. Cominciando dai centri urbani e dalle principali vie di comunicazione.
Dobbiamo costruire negli 8000 comuni italiani un network delle telecamere, collegando tra di loro pubbliche e private, ottenendo così una rete che possa essere gestita da una struttura che la controlla. A questo sistema colleghiamo una banca dati e una anagrafe delle telecamere.
A Pisa, qualche anno fa, un prefetto illuminato ha realizzato un sistema di questo tipo. E funziona. Cosa serve allora per estendere questo esperimento nelle altre città: è necessario innanzitutto la partecipazione dei cittadini a cui gli enti territoriali pubblici debbono fornire tutte le informazioni utili per un corretto ed efficiente utilizzo delle telecamere a fini di sicurezza personale e collettiva. E cosa serve agli enti territoriali, regioni e comuni, per avviare questa attività? Nient’altro che una direttiva ministeriale.
Può rendersi necessario qualche emendamento alla normativa sulla privacy e forse qualche integrazione al famoso decreto sicurezza del senatore Salvini, messo in discussione dal governo Conte 2, ma una cosa è certa se non vogliamo considerare una soluzione quella di “incaricare” il cittadino a difendersi da solo condannandolo di fatto a rischiare la vita ogni volta che un bandito gli si intromette in casa o nella sua attività commerciale, allora dobbiamo progettare e realizzare sistemi che garantiscano la sicurezza.
Per esempio come possiamo utilizzare la banda ultralarga a fini di sicurezza? Sappiamo che tra poche settimane ci sarà la fusione tra OpenFiber (Enel e Cassa depositi e prestiti) e TIM e quindi sarà disponibile una unica infrastruttura di telecomunicazioni. Ciò significa che nell’immediato futuro potremmo avere accesso ad una rete nazionale a connessione veloce e quindi la possibilità di condividere contenuti audio-video, condividere dati e informazioni a tempo zero (ovvero nel momento in cui i fatti accadono).
Per raggiungere questo risultato manca soltanto l’ultimo tassello: tracciare la strada da percorrere e gli obiettivi specifici da raggiungere. Le risorse ci sono: ci sono gli uomini, i mezzi e le tecnologie. Occorre solo valorizzare questo patrimonio per garantire ai cittadini il diritto alla sicurezza.
Colgo l’occasione di queste riflessioni per ringraziare i lettori, gli amici, i colleghi della RAI (vedi l’intervista a UnoMattina) e i redattori e collaboratori di Moondo, a partire da Tiziana Buccico, che nei giorni passati hanno voluto manifestare la propria partecipazione con sentimenti di stima e di affetto.
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