Se qualcosa di vero c’è nell’antico proverbio secondo cui non tutti i mali vengono per nuocere, una grande stagione si apre davanti l’Italia: una stagione di riforme profonde, inutilmente attese da tanti anni.
Il virus che ha colpito il paese, lasciando dietro di sé uno strascico di vittime, di lutti e di polemiche, ha messo in ginocchio l’economia e fatto emergere le disfunzioni, le deficienze, gli intoppi che frenano lo sviluppo in senso positivo della società italiana nel suo complesso. Adesso, nessuno può più nascondersi dietro le chiacchiere, i rinvii, e le menzogne che ammorbano il contesto nazionale.
La svolta in corso nella politica dell’Unione Europea ha messo a nudo la crisi dell’intera struttura civile, economica e politica del Bel Paese. Le indicazioni, che vengono da Bruxelles per l’utilizzo dei fondi riservati all’Italia, sono politicamente garbate, poiché destinate a stimolare la ripresa e la crescita, ma costituiscono, sostanzialmente, delle “condizioni” imprescindibili.
Molti hanno detto e continueranno a dire che l’Italia non avrebbe accettato e non accetta imposizioni: “Italy first”, tanto per scimmiottare quell’ossesso del presidente americano Donald Trump. Ma, sono proprio quelle tacite “condizioni” che fanno sperare in un recupero di saggezza e di prospettiva positiva.
Sostenere questa tesi significa andare contro corrente. Tuttavia è proprio la necessità di cambiare rotta quel che serve, vale a dire che se fingi di non capire, la lezione è pronta a scattare: o ti muovi nella direzione dovuta o resti a bocca asciutta per quanto riguarda l’assegnazione dei fondi europei.
Intanto, è essenziale correggere il linguaggio corrente, almeno per quel che riguarda il pacchetto di risorse che volgarmente vengono definite “a fondo perduto” (che dovrebbero ammontare a circa 82 miliardi di euro, più altri 91 circa a titolo di prestito a tassi assai bassi).
Ecco, quella locuzione “fondo perduto” va immediatamente cancellata. Guai a perdere quei miliardi, se e quando arriveranno. Quei soldi, insieme a quelli a debito, vanno utilizzati esattamente per investimenti e riforme sulla base di un piano con obiettivi precisi.
Il governo dovrà presentare alla Commissione Europea un piano quadriennale dettagliato, indicando le riforme e gli investimenti che intende realizzare con i fondi comunitari. I quattrini del “Recovery and resilience Facility” arriveranno a rate e saranno subordinati all’entità delle riforme realizzate.
Sia o meno una condizione capestro, occorre benedire la UE che la impone. Immaginare cosa avverrebbe in Italia se quella capezza non ci fosse; uno sperpero di risorse a fini clientelari di questo e quel movimento e partito senza distinzione. Dall’UE è arrivato un ben servito a clientelismo e populismo: due piccioni con una fava.
L’Italia è chiamata a muoversi su due piani, investimenti e riforme. Qui, il problema riguarda la capacità di governo a portare avanti il progetto. Quale governo? E’ mai immaginabile che un governo debole e sfilacciato come l’attuale possa cimentarsi in un compito di quella portata?
Sempre per andare contro corrente, la risposta è un “NO” secco e senza appello.
Dal lato degli investimenti, il governo Conte è completamente assente. Centinaia di migliaia di italiani hanno perso o stanno per perdere il lavoro e finora si stanno spendendo fondi (per 55 miliardi di euro) senza un qualsiasi progetto di ripresa del sistema economico. Certo, quelle persone e quelle categorie produttive vanno sostenute, dando a tutti una prospettiva di recupero non una piccola mancia.
Per evitare il voto contrario di Italia Viva al ministro Bonafede, il premier Conte ha promesso di avviare quel cosiddetto “piano schok” di investimenti sollecitato da Renzi. Ma i giorni passano e i fatti non seguono alle parole.
Eppoi, come si fa a non coinvolgere in un progetto tanto vasto e ambizioso quella metà o più del Paese rappresentata dalle forze politiche che stanno all’opposizione. Non si tratta di mettere le bandierine e salvare la faccia dei 5Stelle e del PD, fare da soli è un’illusione, un sogno che porterà ad un brutto risveglio. Non interessa la sconfitta o meno dell’attuale maggioranza, quel che conta è mettere al sicuro il Paese, tutto il Paese, anche costringendo le opposizioni a prendere atto della realtà e aprendo loro la porta di un governo di unità nazionale. Il nemico – cioè la distruzione del sistema Italia – è alle porte, tutti debbono essere chiamati fare la loro parte. La situazione contiene un invito rivolto al Presidente della Repubblica perché faccia aprire gli occhi a tutti i contendenti e li metta di fronte alle loro responsabilità.
Detto del piano di investimenti produttivi, resta da evidenziare le riforme che maggiormente necessitano per uscire dalla grande crisi in cui l’Italia è precipitata. Due punti su tutti, la pubblica amministrazione e la giustizia.
Con il sistema amministrativo in atto non si va da alcuna parte. La burocrazia è un animale che non marcia con la necessità di rendere l’Italia competitiva, in tutti i campi, a livello mondiale. Rendere moderna e apprezzabile la pubblica amministrazione, anziché vederla e averla avversaria ogni giorno, è compito immane, che può essere affrontato solo con un’unità forte nel Parlamento e nel Paese.
Uguale discorso riguarda la giustizia. Il pandemonio che è venuto allo scoperto, partendo dal CSM, il Consiglio superiore della magistratura, la lotta per l’assegnazione delle procure, l’insinuazione di magistrati nei centri del potere politico, la privatizzazione della giustizia attraverso le correnti, farebbe inorridire i padri costituenti che immaginarono e difesero la separazione dei poteri. Si rifletta sul grido di allarme lanciato giovedì scorso dal prof. Franco Coppi, con un’intervista rilasciata a “il Giornale”, che così l’ha titolata “Avrei paura a farmi giudicare da questa giustizia sporca”.
Tanto basta per spiegare la portata e il senso di una stagione che è diventata maledettamente utile.
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