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2020 Coronavirus: la peste emotiva

Da settimane ormai siamo entrati in contatto con le quotidiane e più disparate psicosi generate dal COVID-19, partito dalla Cina e approdato in pochissimo tempo in Europa. Nonostante inizialmente la psicosi, prima ancora che il virus, si sia rapidamente diffusa al punto da indurre molte persone a pensare di essere in piena guerra batteriologica, non mi sono lasciata impressionare e ho cercato fino ad oggi di essere razionale, monitorando la situazione anche per questioni professionali, ma continuando a pensare con la mia testa.

Spesso però anche la razionalità lascia il posto all’emozione, del resto non siamo “intelligenza artificiale”, ma appunto “intelligenza emotiva” e leggere disposizioni e misure precauzionali emanate in seguito a questa difficile situazione mi ha davvero destabilizzata. E’ assolutamente chiaro, ma voglio specificarlo nel caso qualcuno fraintendesse, che tutti noi dobbiamo attenerci alle disposizioni di legge e quanto indicato o anche solo consigliato dal Ministero o dalle istituzioni; è altrettanto chiaro però che questo virus prima ancora di colpire la nostra salute sta colpendo le nostra vita relazionale, economica e la nostra libertà.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ogni giorno arrivano nuove disposizioni volte a limitare i contatti fisici tra amici, conoscenti, familiari o colleghi. “Niente baci, abbracci, strette di mano, tenere una distanza di sicurezza, uscire solo in caso di reale necessità”. Anche il credo non è più quello di un mese fa: i gesti consolidati da secoli, cibo per l’anima e per la riconversione con Dio e con il mondo, sono diventati “pericolosi”. Intingere la mano nell’acqua santa, scambiare un segno di pace con il vicino, partecipare ad una messa o seppellire un defunto, sono gesti che possono compromettere la salute dell’umanità e non più un simbolo di amore verso il prossimo e purificazione dal male.

In questi giorni i ragazzi fanno lezione scolastica attraverso Google classroom con l’insegnante che dall’altra parte dello schermo spiega i “Promessi sposi” raccontando magari Milano ai tempi della peste. Il 2 marzo una 22enne ha conseguito, sempre nel capoluogo lombardo, la laurea in comunicazione via skype dal salotto di casa sua, un’esperienza vuota a livello emotivo di cui lei stessa ha denunciato la delusione.

I luoghi di aggregazione, che ci salvavano da una vita fredda e vuota davanti ad un monitor, sono oggi vuoti a loro volta. Ristoranti, teatri, alberghi, mezzi di trasporto, cinema, piazze, sono in questo inizio di 2020 avvolti da un assordante silenzio rotto solo dal pianto di chi ha investito buona parte della sua vita per aprire un commercio che, pur con grossi sacrifici e difficoltà, tra alti e bassi mandava avanti.

Il turismo in Italia ha avuto un crollo stimato da Confesercenti tra l’80 e il 90%, le università sembra stiano rimpatriando gli studenti Erasmus, e tutti ragioniamo se sia o meno opportuno programmare viaggi o vacanze con la famiglia. Il virus ci sta impoverendo da un punto di vista emotivo ed esperienziale. Noi che siamo cresciuti pensando di essere cittadini del Mondo, abituati a spostarci senza limiti e confini, che abbiamo aperto le frontiere creando l’Europa “libera”, aperta e a misura d’uomo con una moneta unica per facilitare ogni tipo di scambio, oggi non possiamo nemmeno girare serenamente nel nostro piccolo Bel Paese e nemmeno fuori dal giardino di casa.

Siamo già emotivamente, ancora prima che fisicamente, sconfitti da un microorganismo parassita visibile solo al microscopio che ci porterà comunque a modificare per il futuro numerosi aspetta della nostra vita su questo pianeta.

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Veronica Ruggiero

Giornalista, collaboratrice presso il Gruppo Corriere.

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