L’impulso che arriva dal mio cervello mi fa notare che la città è vuota e la memoria mi fa rivivere l’esperienza della città d’Agosto, come diceva Jovanotti.
Si la strada è vuota ma i palazzi sono gonfi, tutte quelle finestre, tutti quei piani di ciascun palazzo sono pieni, tutto il giorno, tutti i giorni e non solo dove passo io, non solo oggi, per un mese, non è Agosto, è Marzo 2020 e… abbiamo chiuso.
Non c’è più io, non c’è però, non conta la tua opinione, chi sei, cosa fai. Chiuso, è pandemia. E di fronte a questo siamo tutti uguali e facciamo tutti i conti con noi stessi, ciascuno arriva a questo momento da mille storie diverse, ma per tutti in questo momento la storia è una sola.
Tutti fermi, tutti vulnerabili, tutti fragili e poi c’è il tempo. Una vita a correre dietro a non si sa bene cosa e ora non ci resta che il tempo. Ora fermi, cosa è superfluo, cosa è essenziale, volevamo tutto, abbiamo solo il tempo e noi stessi.
Tutti noi stessi insieme, uguali, dopo la corsa sfrenata a mostrarci, ad apparire nella perenne accettazione di ipocrisia ed egoismo, non ci resta che essere.
Tutti fermi, tutti rinchiusi, tutti isolati, noi soli, per ripartire proprio da noi. Senza più quei limiti che proprio perdendo tutto abbiamo imparato a riconoscere.
Ci viene data fiducia e responsabilità, sta a noi farne qualcosa di buono, in sintonia con noi stessi, tra di noi e con il pianeta che ci fa vivere.
Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”.…
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