Nella percezione degli italiani Carlo Tognoli risulta tutt’oggi in controtendenza rispetto al milanese bauscia (arrogantello e maleducato) dello stereotipo rigenerato dal “Milanese imbruttito”.
Cioè risulta come un esponente bonario, gentile, sobrio, riservato ed efficiente. Dato, questo, che lo ha reso popolare. E oggi, alla notizia della sua scomparsa, rimpianto.
Cose vere. Ma per la comunità milanese – persino sfiorando i relativamente giovani – c’è qualcosa in più.
Qualcosa di non scalfito dalla tanta acqua passata sotto i ponti e quindi dalla scomparsa sostanziale del mondo della “prima Repubblica”, dalle istituzioni e dalla memoria collettiva.
Carlo Tognoli è rimasto cioè anche l’interprete della città che cresce conciliando conflitti, ibridazioni, disuguaglianze. Quella middle class, una volta fin dal primo dopoguerra alla scoperta della politica organizzata, oggi magari più incline al civismo, conscia delle polarizzazioni sociali ed economiche che una comunità che traina la stessa economia nazionale esprime e anzi acuisce. Agendo quindi sulle leve amministrative, culturali, urbanistiche per ridurre le distanze.
Nel Novecento questa è stata la visione socialdemocratica, che dalla fine dell’800 si è opposta alla radicalizzazione rivoluzionaria intesa come grande alibi per la deriva reazionaria della borghesia e dei ceti medi. Confermando l’opinione all’atto della scissione di Livorno del ’21 e dell’insegna “faremo come in Russia” che – come ammoniva Filippo Turati – avrebbe legittimato l’insorgenza fascista a scapito della stessa democrazia. Come fu. Per poi riannodare tante esperienze in Europa – dall’Austria alla Svezia – per fare scelte di gradualismo concretamente riformatore. Dalla politica del lavoro a quella sulla casa. Regole, diritti, spazi, fruibilità.
In un Paese fondato sui dualismi questa visione ha avuto sempre vita dura. Per molti è stato meglio scalmanarsi in piazza attorno al “vogliamo tutto” e lasciar scalmanare poi l’economia e la polizia in senso repressivo. “Tanto peggio, tanto meglio” hanno pensato per generazioni entrambi questi fronti.
Ma non i riformisti, che hanno pensato sempre di fare ogni giorno un passo avanti, rammendando e ricucendo interessi collettivi, cercando per il più ampio numero di cittadini nuovo accesso: all’istruzione, alla salute, all’assistenza, all’abitazione dignitosa, al lavoro con le sue garanzie.
Milano è stato così il lungo cantiere di questa esperienza. Bistrattata da opposte ideologie, ma anche coltivata da una scuola di pensiero alimentata da generazioni di amministratori che hanno dato continuità a politiche che non debbono fermarsi per mantenere efficienza. Da Emilio Caldara (sindaco dal 1914 al 1920) a Carlo Tognoli (sindaco dal 1976 al 1986), con in mezzo il solco del fascismo e stingendo poi in vario modo, nei quasi quarant’anni successivi, sia pure con diversa gradazione di qualità e capacità sociale, su tante altre esperienze fino ad oggi.
Nei dieci anni al governo della città Carlo Tognoli ha lavorato certamente per la comunità, ma non ha mai sottovalutato l’opportunità offertagli dalle vicende di quegli anni di mettere la città stessa in grande sintonia con le istituzioni nazionali: sovrapponendosi il settennato di Sandro Pertini al Quirinale e il quadriennio di Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Per molti questa triangolazione avrebbe prodotto complessità di delicata gestione. Per Carlo Tognoli, in una visione inter-istituzionale più operosa che propagandistica, questa relazione privilegiata e costante ha contribuito largamente a riallineare l’Italia e la sua capitale economica in una rinnovata sfida agli anni del terrorismo, della paura e dell’inflazione, in una ormai riconosciuta importante sinergia.
La scomparsa di Carlo Tognoli il 5 marzo, per conseguenze del Covid-19 contratto in ospedale a seguito di un rottura del femore per una banale caduta nella zona dei Navigli, conseguenze sull’apparato respiratorio, sugli arti motori, sulla vista, che hanno portato ad una letale prostrazione, è stata molto commentata per il ricordo vivo della sua bonaria efficienza. Ma non abbastanza per la sua importante appartenenza a quello storico cantiere di idee, di principi amministrativi, di dedizioni e di continuo perseguimento di nuovi connessi obiettivi. Quando Carlo ha lasciato la politica attiva – dopo aver fatto il parlamentare nazionale ed europeo e due volte il ministro, nel taglio ingiustificato e lesivo per l’interesse italiano di una intera classe dirigente negli anni ’90 – la sua attenzione è andata a riprendere all’inverso questo bisogno di filiere non interrotte. Cioè con la dedizione alla storia. La storia della città e quella del riformismo socialista, soprattutto ambrosiano, dagli esempi di Filippo Turati e Anna Kuliscioff (riprendendo per dieci anni la direzione della rivista Critica Sociale, fondata appunto da Turati) all’elaborazione largamente ispirata dalla centralità elettorale dei socialisti nella gestione di Palazzo Marino di tanti sindaci dalla Liberazione a oggi.
Libri, mostre, convegni, analisi, messe a punto con una infaticabile applicazione che ha avuto al centro tre filoni principali di interesse: la cultura come bene pubblico; l’urbanistica come leva di riequilibrio sociale, l’identità collettiva come appartenenza inclusiva senza primatismi.
Ho ricordato in queste ore nell’articolo di congedo che mi ha chiesto la rivista Mondoperaio (fondata oltre settanta anni fa da Pietro Nenni) che Walter Marossi, editore e amico di Tognoli, scorge in una delle sue esperienze lavorative prima di dedicarsi alla politica ovvero l’esperienza di venditore di stampa antiche (quella più nota è, di perito chimico, in una azienda farmaceutica che produceva cortisone), uno stimolo a mettere i fattori culturali in preminenza nei programmi amministrativi in tempi in cui la cultura non era dominante nel brand industriale di Milano. Scrisse con Giuseppe Di Leva La cultura come terapia (L’Ornitorinco, 2010), in realtà essendo tra i primi a concepire che qui stava la leva principale per interpretare e poi accompagnare proprio il passaggio trasformativo della città in senso post-industriale. Ma non c’è, ancora oggi, un solo settore creativo, produttivo o distributivo della vita culturale di Milano che non si ricordi un passaggio concreto della propria evoluzione in cui Tognoli non sia stato al fianco di scelte difficili, per limiti normativi o di risorse.
L’approccio alla sua memoria di amministratore ha sempre avuto per Tognoli un segno generazionale molto influenzato dall’urbanistica. Ecco, per esempio, una sua citazione abbastanza recente (da ArcipelagoMilano del 2 agosto 2010) in cui questo tratto del carattere primario della città in trasformazione è unito alla sua meticolosità responsabile: “L’approvazione della variante generale del PRG fu in ogni caso la decisione politica più importante del primo anno di vita della maggioranza di sinistra: fu il testimone che Aniasi mi passò dopo le sue dimissioni per candidarsi alla Camera dei deputati. Lo strumento urbanistico era quello che più poteva influire sul quadro economico e sullo sviluppo della città. Quel Piano era ‘di contenimento’ nella previsione, rivelatasi poi sbagliata, che sarebbe continuata l’espansione demografica degli anni precedenti. In realtà il calo delle nascite, la riduzione del flusso migratorio e la crisi economica cominciarono a far decrescere la popolazione milanese che in poco più un decennio si ridusse quasi di un quarto (da 1,7 milioni a 1,350)”. La sua stessa esperienza – maturata a Cormano prima ancora che a Milano – resta uno dei segnali di una formazione che stava alla base di una predisposizione a tenere in grande evidenza il rapporto della città con la cintura dei piccoli comuni circostanti. Un tessuto di esperienza e di analisi propedeutica a una riflessione matura sui destini della città metropolitana che a Milano resta tuttavia tema frenato da tempo.
Infine il nodo dell’identità sociale, largamente ricostruita attorno alle tappe della storia. Una storia di Milano fu scritta da Carlo Tognoli a quattro mani con Lodovico Festa (Milano e il suo destino, Boroli editore, 2015) partendo dalle caratteristiche geografiche e storiche di Milano, per poi soffermarsi sull’evoluzione nella conformazione della città, da “castrum” a città medioevale, dalla città sforzesca e leonardesca a quella teresiana, dal Secondo dopoguerra fino all’epoca del centrosinistra e al postindustrialismo.
E, inscindibilmente, una storia del pensiero politico più adatto a governare questa evoluzione lo ha appassionato alla scrittura. Insieme a Maurizio Punzo, ordinario di storia contemporanea all’Università di Milano, ha scritto Parlando di socialismo non solo con gli occhi al passato ma come bagaglio ineludibile per la formazione della coscienza democratica collettiva nell’attualità.
Il Corriere (Giangiacomo Schiavi) ricorda oggi che a proposito di questa pandemia Carlo Tognoli aveva più volte dichiarato: “Milano si rialza sempre”.
Alla fine di questa lunga dolorosa curva, Carlo Tognoli avrà avuto probabilmente ragione. Per chi vivrà e vedrà sarà giusto condividere questa rigenerazione anche con la sua memoria.
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