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Coronavirus ed eurobond: con un’Europa assente l’asso nella manica dell’Italia è il risparmio

Dopo i tanti anni di governo della Cancelliera Merkel non sorprende più il vecchio trucco del gendarme buono (Germania) e cattivo (Olanda). Il fallimento attuale dell’Eurogruppo è ascrivibile a Berlino non certo ai satelliti olandesi ed austriaci.

Il previsto nulla di fatto nell’Eurogruppo per la Finanza, presieduto dal portoghese Mario Centeno, ha confermato come l’Europa “sovranista” delle Nazioni non sia in grado di rispondere ai bisogni nuovi, urgenti, straordinari e simmetrici che coinvolgono la UE, a cominciare dai paesi più popolati ed importanti (Germania, Francia, Italia e Spagna) e quelli come la Gran Bretagna attualmente in un limbo che rischia d’avere effetti ancora peggiori di quelli previsti.

Il presidente del CNEL, Tiziano Treu, a conclusione dei lavori in conference call dell’Assemblea dell’organo costituzionale, delegato a studiare e consigliare il potere esecutivo e quello legislativo sui temi dell’Economia e del Lavoro, ha dichiarato che il Consiglio non ha – giustamente – dubbi. Qualsiasi soluzione si voglia proporre per rispondere alla domanda di cambiamenti che il maledetto virus impone, il primo dei problemi da risolvere è evitare il fallimento delle aziende e il crollo nel baratro della povertà dovuta a licenziamenti obbligati dalla cessazione di attività per milioni di lavoratori. Ciò significa che pur comprendendo le ragioni di chi si preoccupa degli strumenti scelti per legiferare sugli aiuti, decreto legge anziché legge ordinaria, l’ostacolo da superare è la de burocratizzazione del sostegno ai lavoratori ed alle aziende. Non c’è tempo da perdere. Le Banche, grazie alla garanzia dello Stato, debbono trasformarsi negli “eroi” della ripresa e della salute economica della nazione. Il soccorso deve arrivare in giorni e non settimane, se non mesi.

È assai difficile che il rinviato ad oggi Eurogruppo possa prendere decisioni incidenti e veloci.

Il fallimento della riunione dell’altro ieri ha provocato diverse reazioni. Il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, che ha invitato i paesi membri a mostrare senso di responsabilità, è sembrato affidarsi a misteriosi influssi astrologici sospirando: “Domani è un altro giorno”. Su Twitter, come prevede il nuovo galateo della comunicazione politica, i ministri delle Finanze francese e tedesco, rispettivamente Bruno Le Maire e Olaf Scholz, hanno lanciato un appello congiunto: “Facciamo appello a tutti gli Stati europei di essere all’altezza delle sfide eccezionali per arrivare a un accordo ambizioso”; come se Francia e Germania, che quasi sempre procedono su posizioni allineate a livello europeo, questa volta non si trovassero su fronti opposti. Parigi, infatti, ha sposato la posizione dei paesi mediterranei a favore dei cosiddetti “coronabond”, come strumento privilegiato da impiegare rispetto al Meccanismo europeo di stabilità (Mes).

La posizione del ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoekstra, è sostanzialmente coerente alla rozza cultura bottegaia dei Paesi Bassi che erano e resteranno contrari all’ipotesi di eurobond. Secondo Hoekstra, questo strumento “aumenta i rischi in Europa invece di ridurli.  Oltre a essere poco saggio, non è nemmeno ragionevole”. Il ministro, sul suo profilo Twitter, fa emergere chiaramente la posizione olandese specificando che, con dei titoli obbligazionari comuni europei “i Paesi Bassi dovrebbero garantire i debiti contratti da altri”. Hoekstra ha definito il Mes, invece, come “il rimedio definitivo” per le situazioni in cui un paese rischia “di affrontare seri problemi finanziari ed economici”. I Paesi Bassi sono disposti “a utilizzare il Mes per le spese sanitarie del coronavirus in queste circostanze eccezionali”.

La Germania, che fa finta di accedere ad una possibilità di mediazione assieme alla Francia, resta sostanzialmente sulle sue posizioni. A Berlino è viva la speranza di ripetere l’en plein del 2008, quando dopo aver provocato, con la crisi del proprio sistema bancario accompagnato dalla debolezza di quello francese, il crollo della economia ellenica- non in grado di rientrare immediatamente dei debiti contratti con il sistema finanziario dei due paesi- costrinse la Grecia a subire l’etero direzione della Troika. Il governo tedesco promise nel contempo di studiare nuovi meccanismi di garanzia che non videro mai la luce. Se le pressioni si faranno più stringenti per mettere in funzione i Fondi Salva Stati proposti dalla Francia è probabile che la Germania voglia attendere il suo semestre di Presidenza del Consiglio Europeo, che inizierà a giugno, per profittare: a) del tempo nel quale il suo apparato produttivo riprenderà l’attività mentre altri paesi resteranno al palo; b) contrattare al meglio sul piano bilaterale la sua centralità nel sistema.

La Cancelliera Angela Merkel ha dimostrato ancora una volta la severa legge della politica, secondo la quale se perdi la faccia quel che di buono hai fatto nel passato viene riproposto ad osservazioni critiche e quello che farai nel futuro sarà sospetto. È un fatto che autorevoli voci tedesche, all’interno dello stesso partito della cancelliera, come il presidente della Fondazione Konrad Adenauer (Kas), Norbert Lammert, già Presidente del Bundenstag dal 2005 al 2017, nonché membri del suo governo, come il ministro degli Esteri, socialdemocratico, e dell’Ambiente, verde, hanno pubblicamente preso le distanze dalla sua ristretta visone utilitarista dell’Unione.

In un’intervista rilasciata al quotidiano “Sueddeutsche Zeitung”, Lammert ha dichiarato che “il rifiuto categorico di titoli del debito comuni dell’Ue da parte della Germania ha causato più danni di natura politica di quanto ci si aspetti da un piano per il sostegno all’economia”. In considerazione della situazione “estremamente eccezionale” causata dalla crisi e dalla “disperazione che monta in importanti paesi” membri dell’Ue, ha evidenziato il presidente della Kas, “l’impressione di una solidarietà limitata è tanto economicamente rischiosa quanto difficile da sopportare in termini umanitari”. Secondo Lammert, molte obiezioni agli eurobond sono “in linea di principio giustificate”. Al tempo stesso, “è sorprendente che ora vi siano voci di spicco della politica e degli affari in Germania” favorevoli agli eurobond “orientati allo scopo e a tempo limitato”.

L’ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerhard Schroeder ha posto il debito tedesco verso gli alleati europei nella sua prospettiva storica. In una intervista al “Corriere della Sera” Schroeder si pronuncia in favore del pacchetto di aiuti in discussione a Bruxelles, ma apre anche sui coronabond, o in alternativa su una obbligazione europea comune una tantum, sia pure come “necessario strumento della fase successiva” e questo perché “se c’è un Paese che deve capire come dopo una crisi esistenziale occorra un sostegno finanziario paneuropeo alla ricostruzione di chi l’ha subita, questo è la Germania”. “Se l’Unione e i Paesi membri non vincono questa sfida, «solidarietà, per tutti, anche a livello europeo e internazionale», allora l’intero progetto europeo è in pericolo. Non dobbiamo permetterlo e penso anche che non succederà: l’Europa è una comunità di destini”.

Eppure appare chiaro che il guasto europeo è grave perché ha coinvolto non soltanto interessi ma visioni del mondo, della politica, delle aspettative dei popoli. È facile sostenere che finché l’Europa si occupava di limitati, anche se importanti, settori (agricoltura, carbone, acciaio) e favoriva il progressivo abbattimento delle barriere doganali, l’immagine che si proiettava da Bruxelles e Strasburgo era confortante, mentre la competizione durissima nel sistema globale, per di più con un affievolimento della solidarietà atlantica, ha reso difficile e complesso il compito di un’Unione che non è tale.

Il rischio della decomposizione del sistema esiste. Usa e Russia guardano con interesse alla involuzione. Il rischio sulla frontiera Sud/Est rappresentato dalla Turchia è evidente. Il colpo d’ala che ci sollevi verso lo sviluppo è incerto.

Difendere la nazione, i suoi interessi industriali, le sue produzioni agricole, l’ampio sistema di servizi che siamo in grado di offrire, dal turismo, all’informatica, alla ricerca ed altro ancora, sono beni che non debbono essere dispersi. Al momento viaggiare, quando sarà possibile, in Italia, cercare di acquistare prodotti italiani, per esempio, è un dovere civico. Ma non è sufficiente.

Un’eventuale rottura del sistema sarebbe esiziale, “per via delle scelte avventate del passato, anche recente” ha sostenuto Enrico Letta, pure lui in una intervista, questa volta sull’Avvenire, nella quale sottolinea la necessità per la politica italiana di comportarsi “come accadde sulla nomina di Draghi: Roma, Parigi e Madrid debbono fare asse. Fu un passaggio chiave per la successione a Trichet gestito da Berlusconi, va dato atto, con Sarkozy e Rajoy.  Per Letta Angela Merkel è un’europeista che deve essere aiutata per resistere a spinte intransigenti interne. L’ex Presidente del Consiglio ha avuto evidentemente poche opportunità di ascoltare, anche nelle ultime ore, l’imbonimento anti europeo del senatore Salvini e non ha presente che se in Europa neanche la Le Pen chiede di uscire dall’Unione, la violenza dei detti e non detti del capo dei leghisti indebolisce l’azione del Governo e l’aspirazione ad unirsi attorno a Mattarella per riannodare i fili con la Germania. D’altronde improvvidamente Angela Merkel ha trasformato la Germania in un nemico.

Comunque è logico ed intelligente rifiutarsi di cadere nella trappola della dissoluzione. L’ambasciatore Piero Massolo, forte della sua esperienza di segretario generale del ministero degli Affari Esteri e di Direttore dei servizi di informazione, ha invitato a non attendere il cavaliere straniero per risolvere i problemi italiani e   far ripartire l’economia, l’occupazione, le imprese con la necessaria chiarezza di obiettivi e con la giusta attenzione per evitare un’incombente instabilità sociale. “Un simile rilancio –  ha spiegato Massolo su La Stampa – potrebbe passare attraverso un ambizioso e organico piano nazionale, capace di mobilitare la nostra principale risorsa, l’ingente risparmio nazionale, nel quadro di un insieme sinergico di misure e investimenti pubblici e privati, tesi alla ripresa del Paese. Senza ulteriore debito pubblico ma attraverso la sottoscrizione di titoli sostanzialmente irredimibili negoziabili sul mercato”.

Una tesi questa che è raccomandata da, Giulio Tremonti, uno dei pochi ministri italiani dell’Economia che sono iscritti tra quelli che sono degni di essere ricordati per il loro costruttivo e serio lavoro. Il professor Tremonti parla di contesti finanziari complicati “in prospettiva drammatici con il serpeggiare non infondato di paure come quelle della patrimoniale o del prestito forzoso” la cui unica alternativa è la fiducia. Tremonti, in una intervista al Messaggero, a proposito delle misure da mettere in campo per affrontare la crisi economica da Covid -19 ha sostenuto che ”la formula per iniziare un percorso di fiducia sul debito pubblico è quella secolare di emettere titoli di stato esenti da ogni imposta presente e futura. I capitali così raccolti saranno non solo sicurezza oggi, ma sviluppo domani”.

Ho motivo di ritenere che ben prima di Massolo e Tremonti, come prima del banchiere Bazoli, è stata studiata la possibilità di lanciare un prestito esente da imposta e con una serie di opportunità collaterali, dal passaggio non oneroso in eredità all’uso dei titoli a garanzia bancaria ed assicurativa, ed altre ancora, che renderebbero appetibile l’acquisto di bond a lunga restituzione ed a tasso praticamente a zero.

La Banca d’Italia conferma che la ricchezza italiana è nel risparmio, quasi due volte il PIL, impiegato in strumenti finanziari e addirittura, per una cifra gigantesca di molto superiore ai mille miliardi, conservata nelle banche senza alcun investimento. Non dobbiamo farci prestare i soldi dai cittadini per dimostrare alcunché a chiunque, ma per affrontare ad armi pari l’incoscienza politica anti solidale di alcuni stati nord europei a cominciare dalla Germania. Angela Merkel non ha piegato ciglio ad allontanarsi dalle due grandi culture europeiste, quella popolare e quella socialdemocratica, figuriamoci se è possibile contrastare l’egoismo delle classi dirigenti delle nazioni senza testimoniare con coraggio e fiducia in sé stessi la costruzione, ora bloccata, di una Europa che è tale per la sua storia ed è necessaria per garantire equilibrio, pace e giustizia sociale nel pianeta

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Giuseppe Scanni

Giornalista e saggista.

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