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Dopo l’accordo di Bruxelles, le tensioni sullo scacchiere medio orientale impongono un’Unione politica

Definire travagliato il negoziato che si è concluso a Bruxelles e che molti hanno definito “storico”, non per la lunga e complessa discussione che si è sviluppata tra le parti, ma per la sua conclusione, è forse eufemistico. Indubbiamente per l’Italia il pacchetto di misure loan e grant, esclusi per ora i fondi accessibili tramite il MES, è ben venuto. Essere riusciti, notava con arguzia su Formiche l’economista Giuseppe Pennisi, a conseguire finalmente l’agognato diploma di “poveri” può – secondo i gusti o i bisogni – essere salutato come grande risultato.

Comunque, piacevole o meno che sia, l’Italia – che resta il paese europeo con la seconda industria manifatturiera d’Europa e quello col più alto risparmio privato e minor indebitamento personale – ora è ufficialmente povera e dovrà porre mano ad un equilibrio della spesa pubblica e ad una armonizzazione delle entrate fiscali – sinora eluse e/o evase dal 51% dei cittadini che lasciano ai pensionati ed ai lavoratori dipendenti il maggior onere erariale -.

Il Governo dovrà coniugare la politica delle entrate con una incisiva politica della spesa, perché, al di là delle buone volontà delle contiane task force, 136 progetti – mai discussi dal Parlamento e dalle parti economiche e sociali in sedi meno folcloristiche di improbabili e non normati Stati Generali – non sono realizzabili senza una modifica attenta e veloce di una complessa legislazione che, al di là dei buoni propositi, ha dilatato a dismisura i tempi di realizzazione di qualsiasi opera.

Il continuo richiamo all’esempio “Genova”, cioè il metodo commissariale, è una operazione mediatica. Il ponte di Genova è mal fatto, non perché mal costruito o perché insicuro, ma a causa di una errata progettazione tecnica che obbligherà per sempre – se non a costo di onerosi lavor i- ad una velocità di 50Km orari, e forse in alcune occasioni metereologiche anche inferiore, a causa di un dislivello dei raggi di curvatura e pendenza tra il ponte e l’entrata su questo dalla corsia autostradale esistente. Per soddisfare esigenze di tipo diverso, gli incaricati dell’opera si sono, assieme al Commissario, altamente impipati del problema, convinti che le norme che regolano le costruzioni possono essere tranquillamente violate e caso mai risolte in sede amministrativa. Questo storia del dislivello non è un mistero arcano, è una nota ben conosciuta e mediaticamente sottovalutata, perché altrimenti il potere politico avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali erano estromesse dalla realizzazione del nuovo ponte coloro che le strade le costruiscono a cominciare dall’Anas ma anche dalla stessa ASPI, per chiamare all’opera una società di costruzioni, che eccellente qual è, come tutte le società di costruzione, senza eccezione “commissariale”, deve essere tecnicamente indirizzata e controllata nella esecuzione di progetti approvati a regola d’arte, lasciando perplessi gli spettatori, qual siamo, sul ruolo di chi fu chiamato dal potere Commissariale a cooperare nella costruzione, provenendo la società, della quale abbiamo dimenticato il nome, dalla filiazione recente e per ovvii motivi inesperta, di una altra eccellenza cantieristica, quella navale. Comunque non è questo il tema, è questa una esemplificazione dei problemi alla cui soluzione occorre prestare attenzione.

Quello che oggi importa sottolineare è che il compromesso del Vertice tra interessi nazionali nel mare di sfiducia che oramai separa stati cicala meridionali e stati settentrionali, per traduzione letterale dall’inglese Financial Time che ne detiene il copyright, “frugali” – termine che non ha lo stesso senso di giustamente parsimoniosi che la parola designa in italiano, ma quello più inquietante di sparagnino al limite dell’avarizia – e tra i soliti “frugali” ed altri paesi settentrionali, questa volta quelli del patto di Visegrad. A Bruxelles si è palesata la volontà germanica di mediare sì, ma dietro le quinte, nonostante il ruolo formale di Presidente del semestre, per motivi che si accordano al suo status di prima potenza economica europea e di difficile partner non soltanto del volubile Trump ma, storicamente, degli Stati Uniti.

Una mediazione resa più complessa dalla delusione, particolarmente olandese, di chi per dieci e passa anni è stato l’alleato palese ed oggettivo dell’ordoliberismo teutonico e senza preavviso è stato declassato a profittatore in proprio di interessi europei commerciali e non politici. La Francia ha palesato il ruolo politico di chi desidera mostrare che dopo il duro colpo della Brexit non sarà concesso ad alcuno, neanche all’Olanda candidata con i suoi regimi fiscali apertamente concorrenziali nei confronti dei partner, di prendere il posto di Londra nella difesa degli interessi finanziari e di impresa d’oltre atlantico.

Tuttavia, sempre a Bruxelles, si sono manifestate due azioni tra loro collegate e di grande importanza per l’Unione: le famiglie politiche che storicamente governano gli Stati Europei (popolari, socialisti e laburisti, liberali) si sono frantumate dinnanzi agli interessi dei rispettivi governi ai quali partecipano e non hanno svolto un ruolo rilevante nella trattativa; il Parlamento europeo che è, secondo il Trattato, organo co-decisionale nella funzione legislativa, ha di conseguenza perso valore di iniziativa perché, anche per i suoi regolamenti, è guidato attraverso la concertazione sistematica dei Gruppi e non degli Stati. La Commissione ha perso diverse funzioni ed il Consiglio Europeo si è trasformato in quello che era prima nascostamente: il vero centro decisionale e legislativo dell’Unione. Si è aperta una speranza, che ci auguriamo sia una illusione, di tanti extra europei: una Europa divisa per interessi locali difficilmente saprà intervenire come attore principale nel nuovo costruendo Ordine Mondiale e, in modo alla fine separato, gli stati tratteranno direttamente con gli Stati Uniti.

Non è soltanto il fatto che, nonostante le indicazioni del Parlamento che aveva legiferato su un Bilancio generale dell’Unione di 1324 trilioni ed al quale il Vertice ha decurtato 250 miliardi, ma perché è stato cancellato lo Strumento di Vicinato, sviluppo e Cooperazione Internazionale (NDICI), cioè il programma di promozione dei valori e degli interessi dell’Unione in tutto il mondo, ideato per perseguire gli obiettivi e i principi dell’azione esterna dell’Unione, che formalmente ricade tra le competenze della Commissione, e limitati o drasticamente decurtati tutti i programmi che dalla ricerca alla digitalizzazione, alla salute, agli investimenti strategici per veicolare risorse per finanziarie opere strategiche soprattutto indirizzate al sostegno della ripresa digitale che dai 30 miliardi che valeva ad inizio vertice è finito a 5,5 miliardi (InvestEU, il programma ereditato dal piano Junker).

Tagli e decurtazioni che influenzano direttamente il ruolo possibile, e come tutte le possibilità probabile e non certo, di costituenda sovranità regionale in grado di sviluppare una politica di pace attrattiva per i paesi emergenti e di mediazione nella competizione globale che oramai si appresta a passare, secondo alcuni sintomi, da una leggera infezione ad un male più grave da curare, se possibile.

Il Parlamento EU ne ha preso atto, a cominciare da chi in rappresentanza della Commissione si è presentata il 23 luglio nell’emiciclo a commentare i risultati del Vertice.

La presidente Ursula von der Leyen , che si è brillantemente e con politica efficacia accordata con la connazionale Merkel, lasciando così intatte le sue possibilità future nella politica domestica, ha sì rivendicato che (il testo che segue è quello reso pubblico da Bruxelles) sì la risposta europea ha evitato i riflessi e gli errori del passato, ha dato una indicazione per il rilancio, che “siamo arrivati ad un grande spartiacque e l’abbiamo superato rimanendo uniti, ma che l’Europa non è uscita dall’impasse”. E l’Assemblea dell’Europarlamento ha votato un documento che fa intravvedere un veto possibile: “Il Parlamento Europeo “non metterà il suo timbro sul fatto compiuto” ed è “pronto a non dare il suo accordo all’Mff 2021-27 finché non verrà raggiunto un accordo soddisfacente nei negoziati tra Parlamento e Consiglio”. E ricorda che “tutti i 40 programmi Ue finanziati dall’Mff devono avere il consenso del Parlamento, come colegislatore”. Un accordo dev’essere raggiunto “al più tardi entro fine ottobre”, per assicurare l’avvio dei programmi   dal primo gennaio 2021”. La risoluzione sulle conclusioni del Consiglio Europeo è stata approvata dall’Aula nella plenaria con 465 voti a favore, 150 contrari e 67 astenuti

Occorre sottolineare che la cultura politica del funzionalismo pragmatico, secondo la quale si consente nell’immediato che nessuno Stato vinca né perda troppo, è adeguata, o sopportabile, quando si traversano crisi di tipo ordinario. Oggi il mondo, dopo la crisi mondiale del liberalismo “autoritario” e globale, ben precedente al Coronavirus – che l’ha aggravata e resa evidente – subisce diseguaglianze straordinarie sia nei paesi fortemente sviluppati che in tutto il pianeta. Ci avviamo a tappe veloci ad un confronto duro e senza precedenti tra due diverse e planetarie concezioni del potere e dello sviluppo, sinteticamente riassumili nella competizione cino-americana, aggravata dalla crisi economica e esistenziale della Russia.

La necessità, nel sistema globale delle sovranità multinazionali che ha messo in crisi il sistema multilaterale, di una partecipazione accorta ed evoluta, forte e autonoma dell’Unione Europea, esce danneggiata dai risultati “storici” del Vertice.

Vediamo in concreto, per comprendere quanto sia grave l’assenza di una decisione politica europea, in un momento di crisi globale cosa è accaduto, il 23 luglio 2020.

L’Egitto si è alleato ad Atene nello scontro con Erdogan. Domenica scorsa il parlamento egiziano ha dato il via libera a possibili interventi militari. Atene, che sente, meglio sa, di non essere garantita dalla NATO di cui fa parte, appare risoluta nel mostrarsi capace di una risposta militare. Mitsotakis, al lavoro anche sul piano diplomatico, ha trovato sponda nell’Egitto, che guarda con grande preoccupazione l’espansione dell’influenza turca nel Mediterraneo. Il presidente egiziano Al Sisi che cerca, con difficoltà, di conservare il ruolo tradizionale di mediazione che il Cairo ha nel mondo islamico, non può cedere sugli interessi nazionali, come dimostra, d’altronde, lo scontro con l’Etiopia relativo alla diga sul Nilo. 

La Zona Economica Esclusiva concordata da Tripoli e Ankara sconfina in acque egiziane. Una ragione che ha spinto Al Sisi a minacciare un intervento armato a sostegno del generale Haftar qualora le truppe di Serraj si spingano oltre Sirte. La prima contromossa di Grecia ed Egitto sembra una reazione uguale e contraria.  Lo scorso 17 luglio, l’ambasciatore ellenico al Cairo, Nikos Garilidis, ha dichiarato al quotidiano Al Ahram che le due nazioni sono “molto, molto vicine” a stringere un accordo per una Zona Economica Esclusiva che, cartina alla mano, attraverserebbe quasi ad angolo retto quella disegnata da Libia e Turchia, creando una sorta di croce di Sant’Andrea al cui centro ci sarebbero proprio Creta e Kastellorizo, le isole le cui acque sono piu’ minacciate dall’espansionismo turco.  Nondimeno, Garilidis non ha mancato di porgere un ramoscello d’ulivo all’ancestrale avversario promettendo che se, la Turchia rinuncerà alle sue “idee ottomane”, Atene si impegnerà per coinvolgerla in progetti congiunti di sfruttamento delle risorse del Mediterraneo, a partire dal gas naturale.

Refrattari alla accettazione del ramoscello d’ulivo, alla dichiarazione greco egiziana di comuni interessi hanno risposto Russia e Turchia con un comunicato congiunto reso pubblico sempre il 23 luglio e riportato dalla agenzia AGI: “Libia: Turchia, ok cessate il fuoco se Haftar lascia posizioni = Tripoli, 23 lug. – La Turchia e la Russia hanno concordato ieri di continuare a spingere per un cessate il fuoco in Libia, ma Ankara ha affermato che il leader delle forze orientali non è un leader legittimo e che le sue forze devono ritirarsi dalle posizioni chiave per portare avanti qualsiasi accordo credibile. I due Paesi sono le principali figure per la gestione del potere nel conflitto in Libia, dove sostengono le parti opposte. La Russia sostiene le forze orientali di Khalifa Haftar, mentre la Turchia ha aiutato il Governo di accordo nazionale (GNA) con base a Tripoli a respingere il tentativo di Haftar di attaccare la capitale. (AGI).”

Intanto sempre il 23 luglio da Bruxelles il Presidente del gruppo Popolare europeo (Ppe) ha chiesto che l’Ue valuti sanzioni contro la Turchia. Scrive la solitamente ben informata Nova: “Per l’Unione europea è il momento di agire e di valutare se imporre sanzioni alla Turchia. Weber ha quindi elencato diverse azioni di Ankara che destano preoccupazione nel Mediterraneo: “le azioni militari della Turchia, le decisioni su Santa Sofia, che è un esempio di sciovinismo religioso, in quanto un tale simbolo e monumento di pace e riconciliazione viene ora cambiato”. “Non è solo una questione greco-turca o turco-cipriota, è una questione europea-turca”, ha osservato Weber rimarcando che l’Ue deve prendere chiaramente le difese di Atene e Nicosia. “Citando sempre Nova come fonte accreditata, il tedesco Weber, che non manca certamente di buoni rapporti con la Cancelliere del suo paese ha ricordato che il 22 luglio la Grecia ha diffuso un segnale di avviso ai naviganti, Navtex, in risposta a quello emesso nella serata di martedì da Ankara riguardante attività esplorative di unità navali turche in un tratto di mare compreso tra le isole di Cipro e di Creta. Il Navtex diffuso dalla Grecia ieri mattina dalla stazione di Iraklio a Creta, apprendiamo così dall’europarlamento, definisce “non autorizzato” l’avviso emesso in precedenza dalla Turchia: “Tutti i naviganti sono invitati a non rispettare il Navtex (turco)”, si legge nell’avviso diramato dalla Grecia. 

Il ministero degli Esteri di Atene ha criticato nelle scorse ore il Navtex inviato da Ankara evidenziando che in questo modo la Turchia “persiste nella violazione della legalità internazionale”. Atene ha evidenziato come, a differenza da quanto sostenuto da Ankara, il tratto di mare incluso nel Navtex è parte della piattaforma continentale greca e l’avviso turco “rappresenta un’escalation delle tensioni nella nostra regione”. Il ministero degli Esteri ellenico ha inoltre fatto sapere che l’ambasciata greca ad Ankara ha inviato una nota di protesta alla diplomazia di Ankara: “Richiamiamo la Turchia a cessare immediatamente le sue attività illegali, che violano i nostri diritti sovrani e minacciano la pace e la sicurezza nella regione”.

E non basta. Dalla stampa greca apprendiamo, giovedì 23 luglio, che le Forze armate greche sono state messe in Stato di allerta a seguito dall’avvio di una campagna di indagine sismica a sud est dell’isola greca di Castelrosso (Kastellorizo in greco, Mais in turco), situata a soli 4 chilometri dalle coste turche, da parte della nave di esplorazione turca Oruc Reis. L’avvio della campagna di indagine sismica era stata annunciata nei giorni scorsi dal ministro dell’Energia turco Fatih Donmez. La campagna durerà fino al 2 agosto. Secondo la stampa greca, è stata osservata nei giorni scorsi una maggiore attività presso la base navale turca di Aksaz che ha messo in allarme Atene e la Marina ellenica. A seguito di questi sviluppi, il capo di Stato maggiore della Difesa greca, Konstantinos Floros, ha anticipato il suo ritorno da Cipro. Sempre secondo la stampa greca, nei giorni scorsi due caccia F-16 turchi sarebbero entrati nello spazio aero greco e sorvolato le isole di Strongyli e Megisti vicino a Kastellorizo ad un’altitudine di 3.810 metri.

Nei giorni scorsi, durante la sua visita ad Atene, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, dichiarò che la Turchia deve interrompere le sue campagne di perforazioni petrolifere per la ricerca di eventuali giacimenti di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale se vuole compiere progressi nei rapporti con l’Unione europea. Le dichiarazioni del ministro tedesco sono state intese come una risposta all’annuncio reso pubblico la scorsa settimana dal  responsabile della diplomazia turca, Mevlut Cavusoglu,  sull’avvio di una campagna di ricerca sismica nel  Mediterraneo orientale sulla base di un accordo di  demarcazione dei confini marittimi, contestato dalla  comunità internazionale, con il Governo di accordo  nazionale libico (Gna). “Per quanto riguarda le perforazioni della Turchia nel Mediterraneo orientale, abbiamo una posizione molto chiara: il diritto internazionale deve essere rispettato, quindi i progressi nelle relazioni Ue-Turchia sono possibili solo se Ankara interrompe le provocazioni nel Mediterraneo orientale”, ha dichiarato Maas.

Per non lasciar passare inutilmente una giornata pericolosa per la pace riferiamo anche come una risoluzione, unanimemente approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sia tenuta in buon conto. Nella risoluzione votata alcune settimane fa e lodata esclusivamente dal Vaticano che l’ha annunciata come buona novella in un Angelus papale, si raccomandava una moratoria dei conflitti per portare assistenza ai malati.  La Turchia ha reso pubblico il suo ok al cessate il fuoco se Haftar lascia posizioni attualmente occupate. “Abbiamo appena raggiunto un accordo con la Russia per lavorare su un cessate il fuoco credibile e sostenibile in Libia”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters il principale consulente per la sicurezza del presidente Recep Tayyip Erdogan, Ibrahim Kalin. Kalin ha affermato che qualsiasi accordo deve basarsi su un ritorno a quelle che erano le frontiere libiche nel 2015, richiedendo alle forze di Haftar di ritirarsi dalla città mediterranea di Sirte, porta di accesso ai giacimenti petroliferi orientali della Libia, e Jufra, una base aerea vicino al centro del Paese. “Perché’ il cessate il fuoco sia sostenibile, Jufra e Sirte dovrebbero essere evacuate dalle forze di Haftar”, ha detto Kalin alla Reuters in un’intervista al palazzo presidenziale di Ankara.”

Gli Stati Uniti hanno affermato che Mosca ha inviato aerei da guerra a Jufra attraverso la Siria per sostenere i mercenari russi che combattono a fianco dell’esercito nazionale libico di Haftar (LNA).

Anche se Mosca e l’LNA negano entrambi l’uso di mercenari, mentre l’Egitto, che sostiene anche l’LNA, ha minacciato di inviare truppe nella vicina Libia se il GNA e le forze turche dovessero tentare di impadronirsi di Sirte, fonti considerate attendibili dal sistema di informazioni internazionali raccontano una storia diversa. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha sede a Londra, ha sempre il 23 luglio, fatto conoscere che la Turchia ha inviato un nuovo contingente di mercenari siriani in Libia, per battersi contro l’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, in Libia sono ora presenti 16.500 combattenti siriani, tra cui 350 minorenni, mentre sono rientrati 5.850 combattenti.  Secondo l’Ong il bilancio delle vittime tra i combattenti siriani portati dalla Turchia a combattere in Libia è arrivato a 481, tra cui 34 minori.

La Francia ha deciso di muoversi meno nascostamente da quando pubblicamente sosteneva la debole attività dell’Italia a Tripoli e segretamente non lesinava aiuti ad Haftar, che però oggi ha il piccolo difetto di essersi alleato alla Turchia che a sua volta provoca incidenti contro le esplorazioni petrolifere di Parigi nel Mediterraneo.

Il presidente francese Macron ha dichiarato che è un errore lasciare la nostra sicurezza (francese, europea?) ad altri attori: “Non è accettabile che lo spazio marittimo di uno Stato membro della nostra Unione sia violato o minacciato”, ha sostenuto il capo dello Stato francese in riferimento a Cipro, spiegando che chi non rispetterà queste regole dovrà essere sanzionato. “È la stessa sfida di sovranità alla quale siamo confrontati in Libia. Non possiamo lasciare neanche lì le potenze straniere, qualunque esse siano, violare l’embargo sulle armi”, ha affermato il presidente francese. La messa in atto di sanzioni, secondo Macron, “è la condizione necessaria per ottenere un cessato il fuoco e intraprendere una dinamica reale verso una risoluzione politica del conflitto libico”. 

Naturalmente il Presidente di Cipro, Anastasiades, sempre il 23 luglio, ha definito la Francia “raggio di speranza”.  Nicos Anastasiades, che ha incontrato Emmanuel Macron all’Eliseo si è rammaricato per l’assenza politica dell’Europa ed ha lodato il ruolo attivo assunto dalla Francia nel Mediterraneo Orientale. Secondo il presidente cipriota, citato dall’edizione on line del quotidiano Cyprus Mail: “la presenza della Marina militare francese nella nostra ampia area geografica dimostra in pratica il ruolo guida e la determinazione della Francia ad agire come pilastro di sicurezza e stabilità”; il presidente cipriota ha elogiato” le posizioni prese da Macron contro le azioni illegali della Turchia nel Mediterraneo e ha ribadito che l’Ue dovrebbe non limitarsi a fare dichiarazione ma dovrebbe sostenere concretamente gli Stati membri. Secondo Anastasiades, le recenti minacce turche sull’apertura di Varosha a Famagosta, come le azioni di Ankara in Siria, Iraq, Libia e Grecia, “dimostrano l’assenza dell’Ue”. 

“La Turchia ha violato la sovranità di Grecia e Cipro” riporta la stampa francese, sempre il 23 luglio, e così come il tedesco Martens chiede sanzioni:” “Voglio ribadire ancora una volta la piena solidarietà della Francia con Cipro, ma anche con la Grecia, di fronte alle violazioni della loro sovranità da parte della Turchia”, ha detto Macron. “Non è accettabile che lo spazio marittimo di uno Stato membro della nostra Unione venga violato o minacciato. Chi contribuisce a questo deve essere sanzionato”. Nel Mediterraneo orientale, sulle questioni energetiche e di sicurezza “sono in gioco delle lotte di potere, in particolare in Turchia e Russia, che si stanno affermando sempre di più e di fronte alle quali l’Unione europea pesa ancora troppo poco”, ha sottolineato Macron.

Insomma dopo la storica vittoria del Vertice occorre prendere atto che, ed è stata portata ad esempio soltanto una situazione critica che potrebbe sfociare in un grave conflitto, forse è necessario operare perché si rafforzi l’Unione politica, almeno per una concertazione attiva in un quadro che l’attuale debolezza della Nato, alimentata da controversi interessi statunitensi, è fosco.

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Giuseppe Scanni

Giornalista e saggista.

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