Se la classe politica è giunta, un po’ dovunque ad un livello di degrado (soprattutto per corruzione) mai conosciuto prima, un motivo deve pure esserci.
Soprattutto nel Bel Paese l’incompetenza dei governanti ha toccato vertici impensabili e ciò che ho scritto a proposito dell’italico “albero dell’ignoranza”, favorito nella sua crescita dalle scuole d’istruzione paritarie (ex parificate), in grande prevalenza religiose, rappresenta un elemento di non scarso rilievo.
Il problema, però, non è di carattere particolare ma generale e riguarda l’intero Occidente che, giunto ai livelli massimi produttivi del capitalismo industriale polidirezionale è caduto precipitevolissimevolmente nella scala delle cosiddette grandi potenze economiche, fino a toccare l’infimo livello della crescita zero (o giù di lì). Qualche notista politico (ovviamente solo sulla Rete e non sui mass-media tradizionali) ha ritenuto di individuarlo nel fatto che il capitalismo finanziario (quello per il quale non solo la pecunia non olet ma soprattutto non inquina e non surriscalda il Pianeta) ha concentrato il proprio interesse a concedere redditizi (solo per esso, naturalmente) crediti al capitalismo manifatturiero claudicante, disinteressandosi sia del grave e deleterio (per il Paese di provenienza dell’industria) fenomeno della delocalizzazione degli opifici occidentali in luoghi dove la mano d’opera è a più basso costo sia della creazione di beni immateriali, nel campo dell’elettronica e del digitale, non bisognosi di mutui o altri aiuti.
In conseguenza di quanto sopra detto, fare politica, oggi, nel senso lessicale e originario del termine (idest = curare, al di sopra di tutto, l’interesse della propria polis, della comunità organizzata dei cittadini-elettori) è diventato non solo difficile ma anche estremamente rischioso. Contro le prioritarie necessità di sopravvivenza della collettività di un singolo Paese v’è, infatti – sostenuto da Wall Street e della City – uno schieramento di altri interessi di straordinaria potenza, che vanno da quelli delle lobbies finanziarie ebraiche e dell’istituto bancario del Vaticano, detentori del potere monetario maggiore del Pianeta; dal pool mondiale delle industrie delle armi pesanti (missili, bombe, cannoni, mitraglie, aerei e navi da guerra) all’intero settore (o quasi) nonché dal sistema dell’informazione giornalistica a mezzo stampa o radio-televisione e dell’editoria (che condiziona gli intellettuali di tutto il globo).
Contrastare un tale sistema di potere non solo non è agevole ma è considerato da molti addirittura impossibile. Ne sanno qualcosa gli Inglesi che hanno “osato” tentare di liberarsi della dittatura finanziaria di Bruxelles, di New York e delle stessa Londra delle Banche. Anche negli Paesi stretti nella morsa dell’Unione Europea, gli attacchi mediatici a chi tenta di farlo sono quotidiani e quasi ossessivamente ripetuti. Essi provengono dalla stragrande maggioranza degli uomini politici impegnati nelle contese elettorali, dagli opinion makers, dagli intellettuali della narrativa, della saggistica politica, sociologica, filosofica, della fiction cinematografica e televisiva (con l’eccezione di una piccola parte; indipendente e anglosassone e più per opere di costume cosiddetto “morale”, però, che non per posizioni politiche “fuori dal coro”).
Il leader politico che s’impegna a portare avanti una battaglia per il miglioramento delle condizioni del popolo che l’ha eletto, liberandolo dai lacci e lacciuoli posti nell’interesse del sistema creditizio, deve affrontare uno scontro di proporzioni ciclopiche contro i veri potenti della Terra che, per nascondere la loro politica di interesse ad arricchirsi in maniera spudoratamente crescente, foraggiano lautamente i “cantori” e le “sirene” del “bene universale”, dell’umanitarismo a trecentosessanta gradi, dell’ecologismo antindustriale, del pacifismo mondiale in nome di una pretesa e mai veramente avviata“guerra alle guerre”.
Ovviamente il potere del Dio Denaro in un’epoca in cui altre divinità se la passano piuttosto male non è roba da poco.
Ne sa qualcosa anche Donald Trump, quotidianamente, fatto oggetto di attacchi mass-mediatici (con abbondanza di Fake News) superiori persino a quelli subiti da Winston Churchill, nell’Europa dei suoi tempi, da parte degli ambienti filo-nazisti (presenti, in misura numerosa in Europa, terra di bimillenari assolutismi teocratici, monarchico-imperiali e dittatoriali). L’ultima “balla” gigantesca contro il Presidente americano l’ha lanciata, in maniera tortuosa e sibillina, il New York Times, potente strumento di sostegno (e non solo mediatico) di tutti i precedenti Presidenti Statunitensi, che erano ritenuti dal giornale grandi protettori dello Stato d’Israele.
Nell’intento palese di attribuire a colpa di Trump l’addestramento di terroristi in Medio-Oriente, il giornale più diffuso d’America ha tralasciato di ricordare l’azione effettuata dalla CIA, in un trentennio d’interventismo e militarismo nord-americano nelle zone calde del Pianeta (Siria, Irak, Yemen, Afghanistan, Somalia, Libia e Jugoslavia). Questa Istituzione (come altre, probabilmente, della terra statunitense) è stata fedelmente omogenea al potere politico fino a quando esso era (se non dipendente in vario modo) vicino a quello finanziario di Wall Street e della City, ma sta diventando sempre più un corpo estraneo rispetto all’attuale amministrazione non gradita alle Banche e all’Industria delle Armi; soprattutto dopo gli annunciati ritiri dal Medio-Oriente, dall’Africa e da ogni luogo dove la presenza degli Stati può essere sospettata di alimentare lo scontro bellico anzi che di eliminarlo (come proclamato).
V’è chi sostiene che sia proprio la CIA la più tenace istituzione nordamericana nel tentare costantemente di sfuggire, nei limiti che le sono consentiti dai suoi meccanismi normativi interni, al controllo dell’attuale Presidente, come hanno dimostrato anche recenti e clamorosi eventi.
Se per la prima volta nella storia della grande nazione d’oltre Oceano il Capo dell’Esecutivo è costretto a “rivedere” di continuo la sua compagine governativa e quella istituzionale del Paese, mettendo alla porta reiteratamente le persone che perdono la sua fiducia (per attività poco chiare o palesemente ostili) significa solo che la battaglia che Donald Trump ha intrapreso, che Boris Johnson spera di potere avviare dopo che si sarà liberato dalla presa di un’Unione Europea di bancari al servizio dei banchieri, e che si augurano di potere avviare anche i “vituperati” Sovranisti dei ventisette Paesi ancora legati (non di certo idealmente) ai tecnocrati di Bruxelles è la più dura che l’Occidente abbia mai conosciuto nella sua bimillenaria storia.
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