Ho fatto un cenno – commentando la maratona oratoria per Gianni De Michelis alla Camera del 14 giugno – al fattore di sgretolamento di quella generazione, di quel gruppo dirigente e di quel soggetto politico che mi pare sempre meno studiato e meno approfondito. Una sorta di adagiamento negli anni ’80 sull’idea di stare in un bel film a lieto fine, quindi un’idea di successo sicuro, a fronte di contesti diversi (in altri paesi o in altri gruppi dirigenti) in cui vi è più allenamento alla sofferenza e al rischio, ovvero a prevedere contesti di ribaltamento imprevedibili del corso della storia[1].
Non sono sicuro che vi siano condizioni per discutere davvero di questa ipotesi, che sarebbe salutare per non reiterare la sola e unica tesi di scaricare su altri e altro le responsabilità della dissoluzione. Ma so che coloro che erano più pervasi da dubbi e domande sul senso stesso della storia, avevano e hanno una disponibilità ad essere meno arrendevoli ai propri convincimenti e quindi ad attrezzarsi rispetto a scenari imprevisti. Ringrazio comunque i non pochi che su FB hanno preso spunto per dare segnali di interesse a questa discussione (tra cui Bobo Craxi, Stefano Parisi, Sandro Fontana, Lena Stamati, Paolo Borioni, Giame Rodano, Fabio Martini, Toni Muzi Falconi).
Nel 2008 condussi una ricerca-inchiesta in quasi tutto il gruppo dirigente “superstite” del Partito Socialista, a proposito del rapporto tra la storia contemporanea di quel partito e la propria rappresentazione (sia la comunicazione sia la percezione)[2]. Il tema era venuto fuori qui e là, sia pure con parole anche diverse. E forse fu proprio lo stesso Gianni De Michelis a offrire spunti non tanto per andare al di là dei convincimenti “ufficiali” ma per mostrare un certo allenamento al pensiero preventivo.
Per esempio in questo passaggio, che mi ero tenuto in vista per un eventuale intervento nella “maratona oratoria” che poi non ho fatto per aver dovuto lasciare la sala in anticipo. Lo ripropongo in ogni caso per ricordare a me e a chi legge il modo di ragionare, prima e dopo i fatti, di uno che ha rappresentato nella politica del nostro tempo un esempio certo di non sprovvedutezza.
Vi è chi ha sostenuto che dopo la caduta del muro di Berlino il PSI – diventando questa una ragione della sua crisi – non sia riuscito a riformulare una linea politica estera soprattutto in ordine al rapporto Europa-America. Cosa ne pensi?
GDM – No, non è così, non siamo stati presi di sorpresa per il fatto che non abbiamo capito la determinazione malvagia che gli sconfitti della storia, e soprattutto il gruppo dirigente postcomunista, erano intenzionati a mettere in atto e ci siamo fatti prendere di sorpresa rispetto al fatto che avremmo dovuto capire… ma in un certo senso avevamo capito… che la fine della guerra fredda cambiava il parametro del rapporto tra le nostre opinioni pubbliche e la nostra azione politica. In realtà sotto questo profilo l’unico errore che facemmo fu quello di pensare che avremmo avuto più tempo. In effetti è un errore che feci anch’io. Io pensavo che la parabola di Gorbaciov si sarebbe esaurita in qualche anno e non invece, come successe, in qualche settimana.
In realtà quello che ci prese di sorpresa fu il crollo dell’Unione Sovietica alla fine del 1991. Che accelerò tutti i processi e ovviamente suonò come un campanello di allarme, soprattutto per il gruppo dirigente post-comunista e lo spinse con la forza della disperazione a spingere sull’acceleratore che provocò la crisi drammatica degli anni 1992-1993 al solo scopo in qualche modo di salvare la pelle. Però la risposta di politica internazionale alla crisi che alla fine della guerra fredda aveva comportato in realtà l’abbiamo prodotta per tempo: fu Maastricht.
Vero. Ma ciò rende ancora più singolare l’annientamento del soggetto politico che aveva lavorato di più per questa prospettiva.
GDM – Maastricht e l’Euro gettarono le premesse anche di un diverso rapporto con gli Stati Uniti d’America. Non a caso l’Euro e Maastricht vennero fatti “senza e contro” gli USA. Non a caso questo aprì un momento di tensione tra il sistema americano e le leadership europee che gli americani ritenevano responsabili di Maastricht, basta guardare le vicende che hanno segnato la brusca scomparsa dalla scena di quasi tutti i protagonisti della vicenda di Maastricht. Quindi noi avevamo pensato come prefigurare un nuovo assetto dell’ordine europeo e dell’ordine mondiale e dell’ordine occidentale, proprio come risposta alla crisi dell’ordine precedente. L’integrazione europea fu un’integrazione carolingia-europea-occidentale…passare a integrazione pan-europea e a un diverso rapporto con la Russia e ovviamente anche con gli Stati Uniti d’America con tutte le discussioni sul ruolo della NATO e così via…
Già ma tornando ai fattori di crisi politica poco dopo esplosa…
GDM – Beh, naturalmente per quello che ci riguarda come Italia, di nuovo fu “Mani pulite” che rese impossibile consentire all’Italia di partecipare nei quindici anni successivi in modo più concreto ed efficace all’applicazione della strategia iniziata con Maastricht. Si è perso molto tempo, in realtà se si guarda alle tappe successive del percorso che era stato individuato a Maastricht, il Trattato di Amsterdam, il Trattato di Nizza e poi il cosiddetto Trattato costituzionale – seppellito dai due referendum olandese e francese – vede come rispetto all’audacia del disegno originario poi ne seguì un grande appesantimento della capacità dell’Europa di guardare al futuro. Tutto questo poi incrociatosi con Al Qaeda, con l’attacco al jiadismo islamico, e così via. Ha per così dire fatto perdere all’Europa – e soprattutto all’Italia – quindici anni. E solo ora, con il nuovo Trattato approvato nel giugno scorso a Bruxelles, che verrà ratificato con 99% di probabilità entro questo 2008, si sta determinando il completamento dell’intuizione di Maastricht. Peccato che mentre a Maastricht l’Italia era protagonista assoluta in prima fila per la determinazione del futuro dell’Europa, oggi sia assolutamente marginalizzata.
Come si vede, lo schema di analisi delle cause della crisi politica interna resta con le implicazioni della vicenda giudiziaria ma anche con quelle dello scompaginamento dello scenario della politica pan-europea che comportava specifiche alterazioni nei rapporti a sinistra.
Uno come Gianni De Michelis non avrebbe mai ammesso
una debolezza di analisi di rischio, al di là di quella che qui pur ammette. E
tuttavia, guardando come sempre non solo al partito ma anche al paese, la sua
previsione di marginalizzazione era netta. Non solo per il quindicennio
pregresso, ma oggi dobbiamo riconoscere anche per il decennio successivo.
[1] https://www.linkiesta.it/it/blog-post/2019/06/15/maratona-de-michelis-racconto-di-una-bella-generazione-ma-risposta-fra/28117/
[2] Stefano Rolando, Una voce poco fa. Politica, comunicazione e media nella vicenda del Partito Socialista Italiano dal 1976 al 1994. Marsilio, 2009 (il riferimento qui è alle pagine 126,127). La ricerca è stata condotta per iniziativa della Fondazione Craxi. L’articolazione delle domande è quella originale dell’intervista, poi compattata nel testo in un solo blocco.
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