Dopo aver affrontato il tema della politica internazionale e quello della crisi della Repubblica, in questa ultima parte della lunga intervista che Rino Formica ha concesso al Direttore Sodano ed al Prof. Pacelli ricostruiamo la storia politica recente, dal PSI degli anni ’80 ad oggi.
SODANO: Com’era la situazione all’interno del partito?
FORMICA: Nell’87 quando ci fu il nostro insuccesso elettorale, la direzione politica del partito socialista era in crisi. Craxi tornò ad essere il Segretario del partito ma in realtà si mise a girare il mondo, fece cadere un Governo ogni anno e si vendicò facendo nascere il governo Andreotti. Gli sfuggì una novità importante: la caduta del muro di Berlino e l’implosione della Unione Sovietica, che poneva il problema di regolare sul terreno politico i conti con il PCI partendo dalla questione istituzionale.
La nostra costituzione era insufficiente, la democrazia compiuta non era destinata a realizzarsi attraverso il processo di maturazione lenta e democratica della cooptazione di tutte le forze politiche ma mediante un trauma dell’ordinamento costituzionale del Paese con il passaggio dalla democrazia parlamentare alla democrazia presidenziale.
Craxi non accettò le lezioni anticipate nel ’91 e fece un’alleanza con Andreotti e Forlani aspettando l’anno successivo quando dovevano avvenire contemporaneamente le elezioni del nuovo Parlamento con un nuovo Presidente del Consiglio e della Presidenza della Repubblica. I posti erano due e i soggetti dell’alleanza erano tre: Craxi pensò che i due democristiani si sarebbero accapigliati per andare ad occupare il posto per loro disponibile. Non aveva capito che avrebbero combattuto entrambi per togliere di mezzo lui.
Nel Partito Socialista si scontarono gli effetti del modello organizzativo del rinnovamento dei quadri in periferia: il vecchio modello andava revisionato culturalmente adottando il modello del doppio congresso come nella democrazia tedesca: il congresso strategico ogni 5 anni e quello organizzativo ogni 3 anni.
Quello strategico non era l’occasione per la sostituzione degli organi del partito, ma per la revisione dell’impostazione di carattere culturale generale e politica, perché il mondo cambiava, le condizioni della società cambiavano e dovevamo verificare se procedere o meno ad un adeguamento non solo delle tecniche organizzative di cui si doveva occupare il governo del partito, ma anche delle armi ideologiche, culturali rese necessarie dai cambiamenti della società.
Craxi introdusse una tecnica molto primitiva: accettò l’idea che nelle province e nelle federazioni bisognava mettere più feudi politici in contrapposizione tra loro. Non ci fu una federazione importante dove non si alimentò il doppio o triplo feudo, a Milano come in Puglia. Questo è il motivo perché nel 92-94 il partito socialista sparì. Non c’era un corpus unico, c’erano le milizie dei feudatari che trovano le loro soluzioni territoriali in tutte le direzioni: dipendeva dalla consistenza del feudo.
PACELLI: Stai mettendo il dito sulla piaga: la degenerazione di un partito contaminato da una gestione del potere divenuto fine a se stesso.
FORMICA: Quando dicevano che Craxi era il figlioccio di Nenni, io dicevo che Craxi era il papà di Nenni perché Nenni aveva una visione del partito politico e lui una visione ottocentesca del capo politico garibaldino, ovvero di tipo movimentista. la dimostrazione era il suo comportamento nei confronti del denaro, considerato un mezzo per mantenere sempre attiva la pressione e l’azione politica, tenere sempre in movimento la capacità di “rupture”, di trasgressione di un ordine politico che di fatto emarginava il partito socialista.
SODANO: Oggi l’analisi storica che tu adotti ha poco a vedere con ciò che accadde, anche perché la formazione della classe dirigente è stata tale da far immaginare che i vecchi metodi di analisi non siano applicabili. Che ne pensi?
FORMICA: Il metodo è applicabile se valutiamo esattamente il contesto in cui operiamo di carattere sociale, politico, economico, politico, internazionale. Una corretta analisi deve partire sempre dal quadro internazionale, dai rapporti di forza all’interno della società, dai punti di equilibrio e squilibrio e dalla intuizione di quale sia il momento per mutare il corso delle cose. Oggi in che condizione viviamo dal punto di vista del sistema? La crisi internazionale, il mutamento del quadro internazionale, il passaggio dallo Stato nazionale alle entità sovranazionali decidenti, pongono un problema: la situazione politica che abbiamo oggi in Italia non è la divisione tra forze politiche nazionali, ma è traversale tra esse. Si dividono tra forze che accettano il sistema e forze che intendono rovesciarlo e sono fuori dal sistema.
Le forze che sono all’interno del sistema si dividono in due parti: quella che difende il sistema così come è, cioè la democrazia parlamentare, il controllo della devoluzione delle competenza da nazionale a sovranazionale, il controllo democratico e che intendono revisionare i comportamenti sulla base del mutamento evolutivo avvenuto all’interno della società; e quella che accetta invece i mutamenti solo se si autodeterminano automaticamente. Questa doppia linea è all’interno di Forza Italia.
La forza politica che è avversaria al sistema vuole invece un sistema di ordine e disciplina e di marcato carattere reazionario autoritario ordinato anche su piano sovranazionale: questa è la Lega. Non è fascismo ma è un autoritarismo reazionario, di matrice fondamentalista cattolica, provinciale, urbana disperata.
Il Movimento 5 Stelle è una forza nata fuori del sistema e ha impiegato forze fuori anch’esse dal sistema. E’ una manifestazione di anarchismo populistico non destinata a governare, se lo fa diventa un ibrido che mangia sé stesso. L’attuale alleanza tra una forza fuori dal sistema e una forza antagonista al sistema per una restaurazione reazionaria non possono stare insieme. Sono due poli opposti: il reazionarismo gerarchizzato e militarizzato è l’opposto dell’anarchismo populistico. Sono i due contrari che nel governo della cosa pubblica hanno immaginato di poter trovare un punto di convergenza su un programma che prescinde da ciò che avviene intorno.
La posizione di Berlusconi è debole, perché crede che tutto si metterà a posto autonomamente, in quanto alla fine Salvini si accorgerà che è saltata l’alleanza di governo in quanto non può governare insieme al Movimento 5 stelle ed allora automaticamente confluirà in Forza Italia. E’ un calcolo sbagliato: Salvini tenterà di monopolizzare la destra politica.
La sinistra si deve porre il problema del perché per la prima volta il voto anti-sistema contro la sinistra è un voto popolare di massa, consapevole non solo nel momento in cui si esprime ma anche nell’indifferenza molto più pericolosa per la involuzione del sistema democratico. In Spagna il partito socialista ha avuto un’intuizione semplice e fortunata. La crisi della perdita dei voti dei socialisti in Catalogna era nata dal fatto che il partito non aveva perseguito una sua linea del superamento della crisi nazionale. Affrontare il tema di come assorbire le spinte indipendentiste in una forma di federalismo che era stata la linea tradizionale del partito socialità in Spagna, è stata un’ottima intuizione.
Dall’altra parte, l’Andalusia, il partito socialista ha risolto il problema non istituzionale, ma politico del perché aveva perso il voto popolare che per la fortuna non si era andato a canalizzare tutto nel populismo ma era confluito in buona parte nell’astensione degli “indignati”, che avevano visto il partito socialista abbandonare la linea a loro difesa.
In Italia c’è un grosso problema: la sinistra ha abbandonato la linea di difesa dei deboli e non ha risolto il problema della crisi istituzionale.
PACELLI: Secondo te oggi è prioritario per la sinistra la tutela dei diritti sociali o quella dei diritti civili? La seconda domanda è: se ritieni che la soluzione del problema istituzionale stia nell’esaltazione da una parte della sopranazionalità e dall’altra della partecipazione attraverso le autonomie.
FORMICA: La scissione tra diritti sociali e politici l’abbiamo superata un secolo fa: i diritti sociali crescono con facilità quando ci sono quelli civili e questi ultimi, quando si sono state raggiunte condizioni di benessere sociale, sono agevolati e rafforzati.
Seconda questione: sovranità nazionale. Il principio è semplice e si condensa in una frase: si possono cedere diritti sovrani locali ad un’entità sovralocale se essi sono soggetti allo stesso sistema di controllo democratico operante in sede locale.
Tu puoi traferire un potere dalla Regione allo Stato e viceversa se quella cessione dei diritti è sottoposta allo stesso controllo democratico che aveva nel suo stato iniziale. Oggi cedi un potere nazionale a quello sovranazionale dove però il controllo non è partecipato ma è un controllo dei Governi. Puoi cedere poteri nazionali se contemporaneamente aumenti il potere del Parlamento europeo, dove siedono i rappresentati diretti del popolo europeo. Oggi se dai poteri all’Europa li dai ai Governi e non ai rappresentanti popolari. Per esempio una decisione di carattere militare da parte dell’Europa dovrebbe poter essere sottoposta a referendum così come una decisione a livello nazionale se il referendum è ammesso.
Salvini che è fautore di un ordine reazionario, nazionale e sovranazionale ha sempre detto che il suo nemico in Europa è il socialismo. La Spagna ne è un esempio: le forze reazionarie di destra in Europa o le batte il socialismo o non le batte nessuno. In Italia sono costretto a votare PD perché è l’unica forza e l’unica lista elettorale che porta un voto alla consistenza del gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo.
SODANO E PACELLI: Ti ringraziamo e ci auguriamo di tornare presto ad un incontro per proseguire nelle tue riflessioni.
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