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La Fase2 e lo “scisma” tra #ioesco e #iorestoacasa

Si è conclusa la prima settimana della Fase2, quella di convivenza con il virus.
Cosa emerge da questi primi giorni in cui abbiamo, in un modo o nell’altro, potuto riassaporare qualche briciolo di libertà?
Si deve ancora compilare un’autocertificazione per uscire di casa ma, complice forse un decreto scritto come è scritto, le nostre città hanno iniziato a risvegliarsi dopo due lunghi mesi di letargo.
Le macchine sono tornate ad essere traffico, le vie e le piazze sono di nuovo luoghi di passeggio ed i congiunti, indipendentemente da un legame di parentela, si rincontrano.

La possibilità di mettere il naso fuori casa ha innescato una sorta di scisma religioso tra gli italiani. Da una parte troviamo gli scismatici del “Io esco”, e dall’altra i timorati del “Io resto a casa”. I primi sentono la necessità delle loro libertà, mentre i secondi la paura che il buio possa tornare da un momento all’altro.
Il bello, come spesso accade, è che hanno ragione entrambi e vivono, seppur in misure differenti, le stesse necessità e gli stessi timori.
Purtroppo, però, la divisione si fa profonda davanti ad un clima di incertezza e paura come quello che stiamo vivendo. Come in ogni scisma che si rispetti, le parti molto spesso vengono allo scontro; il più importante di questi, mediaticamente parlando, lo show andato in onda sui social dopo la foto dei milanesi a passeggio sui Navigli.
Fermo restando il fatto di essere, la Lombardia, un caso particolare e diverso dal resto d’Italia per ovvi motivi, lo stesso passeggiare lo troviamo in tutte le nostre città. Ci basta fare una chiacchiera o leggere un post di qualche nostro amico a riguardo per capire quanto abbia fatto breccia la divisione di cui stiamo parlando.

Dietro tutto ciò si cela un qualcosa di molto preoccupante: la responsabilità del controllo della situazione sta passando nelle sole mani dei cittadini, avvertono sulle spalle il peso delle loro stesse sorti e quelle del Paese. Questo non può che tradursi in uno scontro.

La realtà è che dobbiamo uscire, è normale che si creino assembramenti, è normale che molta gente venga a contatto tra le vie delle nostre città e ahimè è normale che il contagio possa riprendere a camminare.
Non dimentichiamoci mai di essere stati due mesi chiusi dentro casa per evitare che i sistemi sanitari arrivassero al collasso. Dobbiamo essere realisti, abbiamo bisogno di mantenere una linea di contagio tale per cui un medico non si trovi più davanti allo scegliere tra chi far sdraiare su di un letto; allo stesso tempo non possiamo pretendere di evitare ogni singolo contagio, possiamo prevenirlo con buone pratiche come il social distancing  e,  dove questo non sarà possibile, con l’uso delle mascherine. Ciò che conta, però, è il riuscire a controllare le curve di contagio e tenere al sicuro le fasce a rischio. Non possiamo rischiare che il virus ci sfugga di mano.

Sembra facile detta così, vi assicuro, però, essere impossibile senza uno Stato che faccia lo Stato.
Questo purtroppo è accaduto durante la famosa conferenza stampa di Conte del 26 Aprile. Lo Stato ha deciso di spogliarsi delle sue vesti e di lasciare la responsabilità tutta nelle mani dei cittadini.
Questo ha portato un clima di incertezza e paura che ha generato scontro e disordine, non ce lo possiamo permettere.
Non possiamo permetterci uno Stato che si limiti a dire cosa fare e cosa no, chi vedere e chi no; senza minimamente attuare un piano di controllo delle curve di contagio con quegli strumenti, giudicati fondamentali e risultati efficaci, come tamponi, test e tracciamento.

Il caso “Navigli” è emblematico. Come abbiamo detto, si può passeggiare ed è normale che si creino assembramenti. Vogliamo evitare il contagio? Multiamo chi non indossa mascherine in luoghi affollati e isoliamo i possibili positivi con i tamponi.

Non riduciamo lo Stato alla sua versione paternalistica per cui “Se fate così, richiudiamo tutto”, come ha prontamente affermato il sindaco Sala commentando la foto. Così il nostro scisma si farà sempre più profondo e si rischierà di perdere la bussola.
Non è questione di aprire o chiudere; è questione di cantare una “Canzone Contro La Paura”, come direbbe Brunori, e non possono essere i cittadini a suonarla ma gli strumenti di uno Stato degno del suo nome.

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Giovanni Trani

Nato a Roma nel 1997. Studente di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università degli Studi della Tuscia. Si occupa di organizzazione di eventi e associazionismo universitario.

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