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La giustizia negata

Mi è capitato recentemente di rileggere la  “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni e mi è parsa estremamente attuale considerando le accese discussioni dei nostri giorni sulla necessità di una riforma della giustizia , di una giustizia che spesso ha indebitamente in suo potere la vita e il destino di un uomo e di intere famiglie e di una giustizia verso la quale sempre più spesso non si nutre piena fiducia .L ‘opera è il racconto commentato di uno dei più celebri e scandalosi processi contro gli untori che la storia ricordi. Si svolse a Milano nel 1630 , nel periodo della peste  . In essa Manzoni cerca di capire in che misura l’ignoranza popolare influì sulla condanna di due innocenti più di quanto poté  farlo  una mancata, corretta e razionale, applicazione della legge da parte dei giudici che istruirono il processo.

La lettura è stata raccapricciante ma interessante al punto che mi è parso appropriato il motto oraziano “De te fabula narratur”.

Era il 29 giugno del 1630 quando una popolana accusa Guglielmo Piazza di essere un untore: lo aveva visto camminare rasente un muro (pioveva) e le sembrò che lo  imbrattasse con un unguento . L ‘allarme fu immediato, il pover’uomo fu immediatamente denunciato e torturato. Di fronte alla sua resistenza i giudici gli garantiscono l’impunità se rivela i nomi dei suoi complici. Illudendosi di trovare scampo, fa il nome di un ignaro barbiere , Giangiacomo Mora che, in realtà ,preparava prodotti del tutto innocui, ritenuti dalla superstizione popolare efficaci contro la peste. Anche il Mora viene torturato e finisce per dichiarare quello che i giudici vogliono sentire coinvolgendo altri innocenti tra cui anche un nobile , Gaetano Padilla a cui , grazie al suo rango , toccò una sorte diversa : ebbe un giusto processo, evitò la tortura e fu prosciolto da ogni accusa, segno che le leggi “giuste” c’erano, così come era possibile ricorrere a procedure corrette.  Il Piazza e il Mora , invece, vennero giustiziati per colpe che non avevano mai commesse  e sul luogo dove sorgevano la  bottega e l’abitazione  del Mora, rase al suolo , fu eretta la famosa colonna infame  a perpetuo ricordo di quanto  infami fossero state le sue azioni. Essa fu abbattuta solo nel 1778 ma la lapide,  che ricorda l’accaduto,  è ancora conservata in un cortile del Castello Sforzesco.

La storia  fa inorridire ,inoltre è raccapricciante considerare quanto grave sia stata la responsabilità dei giudici che agirono, scrive Manzoni, non per cercare la verità ma per individuare un colpevole, cedendo alla follia popolare. A differenza di quanto scriverà il Verri , per Manzoni la colpa non fu dell’ignoranza generale e della superstizione trionfante ma nei comportamenti ipocriti e scriteriati  dei giudici, lontani da ogni sentimento di giustizia e cedevoli anche ad atteggiamenti iniqui a seconda dell’opportunismo del momento e dello status sociale della vittima. 

Scrive difatti:” La storia della colonna infame è la storia d’un gran male fatto da uomini a uomini “.La legge che dovrebbe garantire la ricerca del bene venne manipolata per seguire le passioni del momento. Per Manzoni le atrocità che si commisero sono da addebitare solo e soltanto all’irresponsabilità dei giudici che se avessero usato la ragione e non si fossero lasciati andare a logiche pregiudiziali   avrebbero potuto agire nell’interesse primario della verità. La colpa non va ritrovata nella tortura in sè, espressione dei tempi, ma nell’uso  improprio che se ne fece , non fu nelle leggi esistenti ma nei pregiudizi e nella  negligenza investigativa .

Il processo venne guidato da sentimenti di superstizione e non dalla ragione , contro ogni forma di legalità e di giustizia.I giudici rinunciarono al loro dovere professionale e istituzionale per assecondare gli umori feroci dell’ignoranza popolare a cui , invece avrebbero dovuto opporsi.Le ingiuste condanne non furono una questione di ignoranza o di codici ma di scorrette e manipolate procedure legali:” c’è pericolo di una falsa visione prendendo per cagione l’ignoranza dei tempi e la barbarie della giurisprudenza… una cattiva  istituzione non si applica da sè”, scrive Manzoni. Inoltre credere alle unzioni non significava credere  necessariamente  che il Piazza e il Morra lo fossero e il fatto che la tortura fosse in vigore non comportava la necessità che tutti gli accusati fossero torturati. Manzoni si dichiara convinto, pertanto,  che i giudici agirono con volontaria ingiustizia e malafede per compiacere la frenesia popolare nel ” timor di mancar a un’aspettativa generale ,di voltar contro di sè le grida della moltitudine col non ascoltarla… Nel guardar attentamente a quei fatti -scrive- ci si scopre un’ingiustizia che poteva essere evitata…..un trasgredir le regole che non solo c’erano ma che essi stessi in circostanze simili mostrarono d’aver”

In altre parole la vera ignoranza fu quella intellettuale e morale di coloro che rinunciarono alla giustizia . 

Ancora oggi, a distanza di secoli, molta strada rimane da fare per garantire una giustizia giusta, lontana da preconcette costruzioni mentali che portano ad assecondare disdicevoli umori politici e popolari che ciecamente si scagliano contro liberi ed onesti cittadini che solo dopo interminabile tempo di attesa riescono a dimostrare la loro innocenza (se sono fortunati).

Inutili e inquietanti le scuse postume che comunque non riescono a risarcire i danni morali inestimabili e pezzi di vita bruciati da gogne popolari, giornalistiche , politiche e giudiziarie. Sempre più cadere nelle maglie giudiziarie per un comune cittadino oggi significa ritrovarsi in una ragnatela di procedure , vivere devastati da un’esperienza interminabile che non sempre vede il trionfo della verità. Il cittadino si ritrova molto spesso in una gabbia da cui non riesce a liberarsi : condanne a furor di popolo, processi interminabili che possono solo favorire e far crescere il pregiudizio di colpevolezza sociale, sentenze con motivazioni poco chiare. E tanto lo si afferma anche per esperienza personale a causa di una vicenda giudiziaria durata vent’anni e terminata vergognosamente . Io e la mia famiglia fummo vittime di un attacco piromane prodotto attraverso un mezzo pubblico di proprietà comunale che l’amministrazione avrebbe dovuto ben custodire anzichè lasciare alla portata di chiunque . Dopo tre gradi di giudizio non solo non sono stata risarcita ma sono stata condannata a pagare le spese legali. Il danno biologico ( crisi di panico ripetute, perdita della possibilità di poter continuare ad allattare la mia neonata per lo  shock  di quella notte di fuoco ) e i danni materiali  alla mia abitazione non sono serviti ai giudici per essere considerata vittima di un’aggressione e l’amministrazione comunale colpevole di mancata custodia del suo mezzo della NU. Come cittadina non mi sono sentita tutelata ma , piuttosto, vittima di tanta ingiustizia . Eppure la documentazione prodotta dai miei legali non lasciava dubbi sui danni percepiti e certificati 

Ancora più triste considerare che reati gravissimi di irregolarità amministrative denunciati  dal sindaco pro tempore del mio Comune  restano tutt’oggi ingiudicati e forse prescritti con grave danno alla VERITÀ , che qualunque fosse stata, andava ricercata. Perchè non è stato fatto? 

È triste doverlo affermare ma oggi non ci si sente affatto tutelati da una giustizia lenta, farraginosa, politicizzata ,ahimè, forse corrotta.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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