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La scomparsa di Mauro De Mauro

Mauro De Mauro è un personaggio misterioso, fascista, collaborazionista delle SS, oppure infiltrato dei servizi segreti, poi giornalista? Oppure tutto quanto detto. E perchè la sua scomparsa? E’ forse legata alle notizie che aveva raccolto sul caso Mattei, o sul colpo di stato progettato da Borghese o infine sul traffico di droga in Sicilia? Il mistero è ancora tutto da chiarire.

Mauro De Mauro: scomparsa o rapimento?

Mauro De Mauro scompare la sera del 16 settembre 1970. Giornalista de “L’Ora” di Palermo, sta tornando a casa, al n. 58 di Viale delle Magnolie, alla periferia della città. Sono le nove e mezza di sera, sul portone ci sono alcune persone tra cui la figlia di De Mauro, Franca, con il suo fidanzato.

ll giornalista parcheggia la sua Bmw 1600 blu notte e scende con in mano i pacchetti con il caffè, le sigarette ed una bottiglia di vino francese che ha comprato poco prima al bar Nobel di Via Pirandello, dove fa sosta di solito per l’aperitivo prima di tornare a casa.

La figlia si avvia con il fidanzato verso l’ascensore, ma il padre non si vede: torna indietro, sul portone, e lo vede con due o tre persone. Parlano, uno dice “ammuninne”, “andiamo” in stretto dialetto siciliano. De Mauro torna alla sua auto e si mette al volante. Anche gli sconosciuti salgono sulla Bmw che parte un po’ bruscamente e si allontana.

Da quel momento di Mauro De Mauro si perde ogni traccia. La Bmw viene ritrovata il giorno dopo in Via Pietro D’Asaro, in pieno centro della città: sui sedili ci sono i pacchetti intatti, il vetro di un finestrino è abbassato, manca la chiave di avviamento e sul cruscotto la polizia scientifica trova una mezza impronta digitale: il suo esame non darà risultati. La fiancata dell’autovettura ha tracce di polvere rossiccia, che qualcuno pensa proveniente da strade di campagna che l’auto potrebbe avere percorse: si scopre però subito che si tratta di sabbia del deserto portata dal vento e che anche le auto parcheggiate vicino ne presentano tracce.

Presto la notizia della scomparsa del giornalista si diffonde in tuta la città: la polizia indaga, indagano i carabinieri, ma ci si avvede subito che non sarà facile chiarire il mistero della scomparsa di un uomo che era egli stesso, per alcuni versi, un mistero.

Chi era Mauro De Mauro, l’uomo dei misteri

La sua storia era iniziata molti anni prima, quando la sua famiglia da Foggia, dove era nato il 6 settembre 1921 – padre chimico farmacista, madre casalinga – si era trasferita a Napoli, dove Mauro aveva conseguito la licenza liceale aveva iniziato a scrivere sui fogli della federazione del fascio cittadino.

Successivamente – sembra nel 1943 ma la data non è sicura – la famiglia si trasferisce a Roma in una casa nelle vicinanze di Piazza Bologna. De Mauro va ad abitare da solo: sembra che i suoi proventi provenissero dal commercio al minuto. Certo è che nel 1943 il giovane, che ha fatto il servizio di leva come ufficiale carrista, è di nuovo inserito nell’ambiente militare: la espressione è necessariamente vaga in quanto non è certo (stante l’impossibilità di accedere al suo foglio matricolare conservato presso il Ministero della Difesa) nè se sia stato richiamato in servizio nè se si sia presentato volontariamente ad un centro di reclutamento.

De Mauro collaborazionista delle SS

Certo è invece che dopo l’otto settembre 1943 è tra coloro che collaborano ufficialmente con le S.S. tedesche comandate dal maggiore Herbert Kappler: la collaborazione può essere spiegata con una designazione a quell’incarico da parte dell’esercito italiano – forse, in questo caso, dai servizi segreti – o con l’arruolamento di De Mauro nella Legione S.S. italiana, che diverrà poi, quando le S.S. saranno trasformate da organi di polizia politica in truppe combattenti, la 29ste Waffen Granadier Brigate der S.S.

A far optare per la prima soluzione c’è un documento solo recentemente pubblicato (Griner, La “banda Koch”, pag. 150): si tratta della testimonianza resa da Pietro Koch durante l’interrogatorio che segue nel 1945 alla sua cattura. Afferma Koch, a proposito dell’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, dove, dopo l’attentato di Via Rasella, furono fucilate dai tedeschi di Kappler 35 persone, di aver saputo dell’eccidio “Da un certo ten. Mauro De Mauro, già della Regia Marina e allora in servizio presso le S.S. tedesche, conosciuto nell’anticamera di Caruso (il questore di Roma del tempo, n.d.a.) … essendo stato lui presente al fatto e quindi testimone oculare”.

Perchè De Mauro fu testimone dell’eccidio, anche se non vi partecipò direttamente? La risposta è forse nella collaborazione menzionata da Koch con le S.S. e nel rapporto di De Mauro con il questore Caruso: con ogni probabilità lo stesso De Mauro faceva parte dei servizi segreti militari ed era stato incaricato di tenere i rapporti con le S.S.

Unica dissonanza è l’appartenenza di De Mauro alla Regia Marina, affermata da Koch: può essersi trattato di un errore dello stesso Koch a proposito delle divise delle forze armate italiane o magari della sua volontà di rendere più difficile l’identificazione dell’ufficiale al quale si riferiva.

E’ certo invece che in quei mesi De Mauro era conosciuto a Roma come “tenente Roberto Marini” e come tale frequentava Via Tasso, sede delle S.S. di Kappler. Radio Anzio nel 1944 parla di lui come di una belva umana da sopprimere senza pietà (“Il Borghese”, 1970).

Esistono però testimonianze di suoi interventi a favore di numerose persone accusate (non a torto) di attività antinazista: la relativa documentazione è conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, Corte d’Assise di Firenze, fasc. 12, 1954, tra le carte relative al processo Martellozzi proveniente dalla Corte d’Assise di Roma.

Quando, il 4 giugno 1944, le truppe alleate entrarono a Roma, De Mauro è già lontano: si è arruolato nella X° Mas di Junio Valerio Borghese (Koch può averlo visto successivamente e tratta la conseguenza che già avesse prestato servizio in Marina, com’era per la maggior parte degli ufficiali della Decima).

Collabora con l’ufficio stampa della “Decima”, che tra l’altro pubblica un giornale (“La cambusa”, divenuto poi “L’orizzonte”) e viaggia per tutta l’Italia settentrionale inviando le sue corrispondenze al giornale dalle varie località del Nord Italia visitate.

A Novara incontra la sua futura moglie, Elda Barbieri, una appartenente al Servizio ausiliario femminile della Guardia nazionale repubblicana, che ha inglobato la M.V.S.N., l’esercito e i carabinieri.

De Mauro è in quel momento piuttosto malconcio: ha un ginocchio fracassato e contusioni al viso: parlerà sempre di un incidente accaduto di notte alla guida di un piccolo camion (l’urto contro un albero caduto su una strada) ma secondo un bollettino dell’A.G.I. del 1961 si sarebbe trattato di un pestaggio da parte dei partigiani che l’avrebbero lasciato in cattive condizioni, forse convinti che fosse morto.

Resta un mistero a proposito di chi fornì all’A.G.I. informazioni in parte veritiere (la permanenza a Roma e a Novara), la collaborazione nella capitale con le S.S. su De Mauro, così come è restato ignoto il motivo della divulgazione del bollettino.

Secondo lo stesso bollettino a Novara De Mauro fu prima “Commissario straordinario aggiunto” e poi “direttore di sezione” della federazione fascista repubblicana. E’ certa la sua partecipazione, ancora una volta quale osservatore, ai rastrellamenti di partigiani ed a interrogatori di quelli catturati (Griner, pag. 54 – 55) così come esistono prove del suo successivo trasferimento a Milano e di suoi contatti in quel periodo con la prefettura di Milano e forse con Koch.

Tutto questo sembra francamente un po’ troppo per un semplice ufficiale della X Mas: forse il suo incarico di corrispondente del giornale della Decima era solo una copertura per un lavoro di “intelligence”.

Anche se non esistono documenti che consentano di affermarlo con certezza nè di individuare suoi eventuali rapporti organici con una delle tante polizie segrete della P.S.I. certo è che la sua presenza come “osservatore” in molte occasioni della lotta fascista contro la Resistenza pone alcuni interrogativi sulla “stranezza” di quella presenza.

De Mauro assolto dall’accusa di collaborazionismo e partecipazione all’eccidio delle Fosse Ardeatine

Dopo il 25 aprile 1945 De Mauro scompare dalla circolazione e nulla si conosce a proposito delle circostanze in cui viene catturato (o si consegna spontaneamente) agli americani che lo rinchiudono nel campo di concentramento di Coltano, presso Pisa, dal quale presto evade.

Quando (28 agosto 1945) viene richiesto dal Ministero di Grazia e Giustizia all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo di intervenire presso le autorità alleate per la consegna del fascista De Mauro, questi è già scomparso da Coltano.

Una testimonianza della moglie parla di un soggiorno a Napoli, dove i due si sposano e nasce la prima figlia, Junia Valeria: il motivo del nome è facilmente intuibile. A Napoli De Mauro, forse utilizzando vecchie conoscenze, inizia la collaborazione a “Il Mattino”, giornale di tendenze filoanarchiche di proprietà di Achille Lauro.

Il giornale va male (nel 1949 diverrà di proprietà del Banco di Napoli), i soldi sono pochi, il lavoro è precario, De Mauro stenta a guadagnare il necessario per vivere, finchè nel 1948 non si trasferisce con tutta la famiglia a Palermo.

Perchè proprio a Palermo? C’è solo il desiderio di mettere la maggiore distanza possibile tra lui e l’Italia del Nord, dove molti lo conoscono ed hanno un ricordo non proprio benevolo di lui, o c’è qualche altra più concreta ragione, come il fatto che nell’isola hanno trovato rifugio molti ex appartenenti alla X Mas, come proverebbero anche alcuni documenti americani recentemente desecretati (N. Tranfagiia, Come nasce la Repubblica, pag. 424 in nota).

Sul piano giudiziario la sua vicenda si è rapidamente conclusa: accusato di collaborazionismo e di partecipazione all’eccidio delle Fosse Ardeatine è assolto dalla Corte d’Assise di Bologna per insufficienza di prove.

Il 6 agosto 1948 viene revocato il mandato di cattura nei suoi confronti. In appello viene assolto per non aver commesso il fatto: il passato sembra ormai definitivamente sepolto.

De Mauro e L’Ora

Nel 1949 De Mauro ottiene una collaborazione a “Il Mattino di Sicilia”, di tendenza liberale e nel 1950 una collaborazione esterna alla neonata Agenzia Giornalistica Italia (“A.G.I.”).

Dietro l’A.G.I., che poi diverrà di proprietà del’E.N.I., c’è in quel momento I’E.R.P. (Economic Cooperation Agency) che gestisce gli aiuti del Piano Marshall. Degno di nota è che molti altri ex fascisti (tra cui il tristemente famoso “boia di Albenga” Luciano Luberti) trovano in quel periodo in occupazioni occasionali presso strutture in qualche modo legate all’E.R.P. la possibilità di sopravvivere (v. G. Simone, “Il boia di Albenga”) e che, secondo Edgardo Sogno (v. Testimonianza di un anticomunista), proprio con i fondi E.R.P. furono finanziate le prime organizzazioni occulte anticomuniste in Italia.

La questione non avrebbe alcuna rilevanza ai fini della ricostruzione della attività di De Mauro prima della sua scomparsa se non ci fosse il fatto che, secondo un rapporto del SISMI (Griner, pag. 170), il giornalista collaborava sotto falso nome al settimanale “ABC”, collegato a “Nuovo mondo d’oggi” di Mino Pecorelli, in stretto rapporto con i servizi segreti italiani, sempre in funzione anticomunista.

De Mauro era anche lui per qualche verso legato ai servizi, sull’onda dell’attività di “intelligence” che molto probabilmente aveva svolto dal 1943 al 1945? Poter rispondere alla domanda sarebbe molto importante per chiarire, in senso positivo o negativo, alcuni dubbi che, come vedremo, nasceranno a proposito delle vicende successive alla sua scomparsa.

Nel 1951, sempre alla ricerca di collaborazioni giornalistiche che gli consentano un reddito più elevato, De Mauro, attraverso Gaetano Verzotto, uomo chiave della DC siciliana del tempo, ottiene dall’assessorato regionale al turismo e allo sport un contratto per la redazione di un opuscolo turistico su Agrigento: la cosa in sè non avrebbe grande importanza se non segnasse l’inizio di un rapporto con la D.C. e specie di quella parte di essa che tende ad un rimescolamento delle carte del potere in Sicilia.

Nel 1958 Presidente della Regione diviene Placido Milazzo con i voti determinanti sia di comunisti e socialisti che di monarchici e missini. De Mauro attraverso Ludovico Carrao, che di Milazzo è fra i principali sostenitori, viene assunto come redattore dalla rivista ufficiale della Presidenza della Regione “Documenti di vita siciliana”, ma soprattutto (sembra per l’intervento di un notabile democristiano di grande peso, Franco Restivo, che sarà poi Ministro dell’Interno) diviene redattore de “L’Ora”, un giornale di Palermo fondato da Ignazio Florio nel 1900 e schierato su posizioni filocomuniste. Secondo alcuni (“Il borghese”, 4 ottobre 1970) non sarebbe stata la garanzia data da Restivo della nuova fede democratica di De Mauro a determinare la sua assunzione a “L’Ora”, ma il fatto che il giornalista era il tramite di cospicui finanziamenti di Milazzo al P.C.I. attraverso la rivista regionale nella cui redazione De Mauro era stato assunto: non esiste però nessuna prova in proposito, nè alcun riscontro oggettivo, così come non esiste alcun riscontro a quanto dichiarato anni dopo (“La Stampa”, 30 luglio 1996) da una ex spia dell’Unione Sovietica, Leonid Kolosof, secondo il quale De Mauro era il contatto con il Kgb, il servizio segreto russo, e la mafia siciliana.

La prima pagina de L’Ora

Per strano che possa apparire, il discorso torna sempre sui servizi segreti, tanto da dare talvolta la sensazione che si voglia annegare il mistero della fine del giornalista: non riuscendo a risolverlo, in altri misteri ancora più impenetrabili, quasi a giustificare così l’impossibilità di risolvere l’enigma.

A “L’Ora”, qualunque siano state le ragioni della sua assunzione, De Mauro si fa apprezzare per le sue inchieste sulla criminalità organizzata, facilitate anche dalle molte conoscenze che ha in città: la sua ultima inchiesta, riguardante il narcotraffico, traduce in termini accessibili al grande pubblico un rapporto del servizio informativo (cioè, nuovamente, da un servizio segreto) della Guardia di Finanza di cui nessuno era a conoscenza.

L’ultimo articolo a sua firma viene pubblicato su “L’Ora” l’8 luglio 1970, due mesi prima della sua scomparsa: ricorda l’8 luglio di dieci anni prima, quando a Palermo erano scoppiati violenti tumulti contro il Governo Tambroni, durante i quali avevano perso la vita quattro persone: De Mauro parla a proposito di quel Governo, appoggiato dal M.S.I., di “tendenze involutive”: significa che negli ultimi 25 anni ha cambiato radicalmente opinioni politiche? E’ probabile, anche se non può escludersi che l’orientamento filocomunista del giornale costituisse una strada quasi obbligata per lui.

Malgrado gli indubbi successi professionali e la fedeltà alla linea politica del giornale, la vita di De Mauro a “L’Ora” non è facile: pochi mesi prima della scomparsa viene trasferito dalla cronaca alla pagina sportiva, oltre che incaricato di seguire la redazione che il giornale sta impiantando a Messina. Contemporaneamente – ed è un elemento questo che si rivelerà molto importante – sta seguendo i primi passi nel giornalismo di Massimo Balletti: glielo ha chiesto il suocero, Antonino Buttafuoco, un commercialista di Palermo di cui De Mauro è amico da molti anni.

Sempre alla ricerca di collaborazioni redditizie – De Mauro è un uomo a cui piace spendere – accetta volentieri l’incarico del regista Francesco Rosi, che si accinge a dirigere un film sulla morte di Enrico Mattei, di predisporgli una relazione in proposito. Forse ad indicare il suo nome a Rosi è stato Graziano Verzotto, un personaggio legato a De Mauro già dai tempi del Governo regionale presieduto da Milazzo, vicino a Nino Gullotti, uno dei leader della D.C. in Sicilia, divenuto Presidente dell’importatissimo Ente Minerario siciliano e nemico giurato di Eugenio Cefis, succeduto a Mattei alla presidenza dell’E.N.I. Verzotto finanzia anche una agenzia di stampa (“Milano informazioni”) con la quale De Mauro inizia un rapporto che comporterà il pagamento di una somma da parte dell’E.M.S. con la giustificazione di un incarico per una ricerca sociologica.

La predisposizione, tanto in seguito enfatizzata, di un rapporto sulla morte di Mattei non era quindi altro che uno dei tanti incarichi svolti per committenti via via diversi da De Mauro avvalendosi della sua professionalità e delle molte fonti informative di cui disponeva.

De Mauro entra in possesso di informazioni importanti?

E’ difficile però credere che nel raccogliere il materiale necessario per assolvere l’incarico affidatogli da Rosi De Mauro fosse venuto a conoscenza di particolari sconosciuti sulla morte di Mattei, avvenuta il 27 ottobre 1962 a Bescapè, distante dall’aeroporto milanese di Linate a causa di un incidente aereo che non è ancora chiaro oggi se provocato ad arte o dovuto alla cattiva sorte.

Un elementare buon senso porta a ritenere che, se effettivamente De Mauro fosse entrato in possesso di elementi decisivi a favore dell’una o dell’altra tesi, si sarebbe affrettato a comunicarlo a Rosi o ai suoi collaboratori preannunciando la sensazionale novità che gli avrebbe consentito, fra l’altro, di richiedere un maggiore compenso. De Mauro invece, secondo una versione dei fatti, non consegna il lavoro nei termini stabiliti: un collaboratore di Rosi, Piero Notarianni, lo cerca più volte ma non lo trova.

Sembra che De Mauro il lavoro per Rosi non lo avesse portato a termine: dopo la sua scomparsa in un cassetto della sua scrivania in ufficio la polizia trova ventisette cartelle, alcune ancora manoscritte, sugli ultimi due giorni di Mattei in Sicilia che non contengono alcun elemento degno di particolare attenzione (la fotocopia di alcune pagine degli appunti è pubblicata da R. De Simone, Delitti di Stato).

Non manca però chi sostiene che De Mauro avesse concluso il suo lavoro e l’avesse consegnato alla Vides, la casa di produzione del film di Rosi: a favore di questa tesi sta la scena conclusiva del film (nessuno accetta di salire con Mattei sull’aereo che dovrà portarlo da Catania a Milano e che non arriverà mai a destinazione) che chiude con gli appunti ritrovati di De Mauro.

Anche ad ammettere che De Mauro avesse concluso e consegnato il suo lavoro non si fa però nessun passo in avanti: ciò non prova infatti che fosse entrato in possesso di elementi tali da indurre qualcuno a toglierlo dalla circolazione per impedirgli di rivelare le notizie in suo possesso e soprattutto di farne oggetto di un articolo su “L’Ora”.

E’ vero che nell’ultimo periodo De Mauro era solito vantarsi con gli amici e in famiglia (ed in ciò le testimonianze sono concordi) di essere entrato in possesso di notizie che gli avrebbero consentito un sensazionale “colpo” giornalistico, ma nulla prova che si trattasse di notizie relative alla morte di Mattei. Una testimonianza in questo senso della figlia Junia (Griner, pag. 99) non sembra molto probante, considerando anche alcune discrepanze tra almeno due diverse versioni della testimonianza stessa.

Tra le persone alle quali De Mauro preannuncia il suo ormai prossimo trionfo professionale c’è anche Giacomo Micalizio, amico del giornalista ma anche di Junio Valerio Borghese (II Mondo, 29 aprile 1991). Con gli ex commilitoni della Decima De Mauro aveva continuato ad avere buoni rapporti.

A luglio il “principe nero” era a Palermo, forse per trattare l’appoggio della mafia (ne hanno parlato Tommaso Buscetta, Luciano Liggio e Antonino Calderone, tutti mafiosi che hanno scelto di collaborare con la giustizia) al “golpe” che si accinge a tentare cinque mesi più tardi, la notte dell’8 dicembre 1970 e che fallirà per un contrordine dell’ultimo momento, impartito per ragioni ancora oggi misteriose.

De Mauro fu rapito ed ucciso dalla mafia?

La ragione della scomparsa del giornalista è dovuta a sue occasionali conoscenze a proposito del “golpe”, come lascerebbero ritenere le dichiarazioni di Micalizio? Francesco Di Carlo, altro “pentito”, ha sostenuto (La Repubblica, 26 gennaio 2001) che De Mauro fu rapito ed ucciso dalla mafia perchè venuto a conoscenza di quanto la mafia stessa andava concertando con Borghese: a prelevarlo sotto casa furono, secondo De Carlo, tre mafiosi (Emanuele D’Agostino, Bernardo Provenzano e Stefano Giaconia) che lo uccisero e lo seppellirono alla foce dell’Oreto, vicino Palermo.

E’ un racconto che risponde a verità? Antonio Ingroia, magistrato presso la Procura di Palermo, in una recente intervista (Lucarelli, pag. 101) ha parlato in proposito di indagine in corso e di “risultanze che porterebbero a possibili collegamenti tra la scomparsa di De Mauro e il “golpe” Borghese, ma nulla di più. Il punto debole della ricostruzione è la assoluta mancanza di prove a proposito di notizie acquisite da De Mauro sul “golpe” Borghese. E’ inoltre quanto meno problematico ritenere che avrebbe rivelato fatti che avrebbero portato per molti anni in prigione il suo antico ed idolatrato capo.

Altra ipotesi investigativa dopo la scomparsa del giornalista viene formulata dall’allora colonnello dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa: De Mauro sarebbe stato rapito e ucciso dalla mafia perchè aveva scoperto qualcosa a proposito del traffico di stupefacenti gestito dalla nuova mafia contro la volontà di quella tradizionale.

Perchè fu ucciso De Mauro: tre moventi per un omicidio?

Tre ricostruzioni dei fatti: la prima, quella legata al golpe “Borghese”, sostenuta dal capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano (che sarà ucciso dalla mafia nel 1979), la seconda, la “pista Mattei”, ritenuta valida da un altro funzionario dì polizia, Bruno Contrada, sul quale negli anni successivi verranno formulate pesanti accuse di collusioni con la mafia e che, dopo una lunga detenzione, sarà assolto, e la terza, quella della droga, sostenuta dai carabinieri di Dalla Chiesa.

Alla moglie di De Mauro che insiste per la “pista Mattei” Dalla Chiesa rivolge l’invito a non insistere “su questa tesi perchè se così fosse si tratterebbe di un delitto di Stato e io contro lo Stato non vado” (la dichiarazione è della signora De Mauro alla Procura di Pavia che indaga sulla morte di Mattei e fu resa il 27 maggio 1996).

Mentre le indagini arrancano entra in scena il Cav. Antonino Buttafuoco, l’amico di De Mauro, suocero di quel Balletti che il giornalista quando scompare sta avviando alla professione di giornalista.

Buttafuoco la sera stessa della scomparsa di De Mauro telefona a casa sua per sapere se ci sono novità: resta un mistero come abbia appreso una notizia non ancora diffusa.

Quattro giorni dopo, su sua richiesta, si incontra con la moglie di De Mauro, presente anche il fratello Tullio, Contrada e Giuliano: lascia filtrare il dubbio che la scomparsa sia da ricondursi alla morte di Mattei e rassicura i familiari che con ogni probabilità lo scomparso tornerà presto a casa.

Sei giorni dopo a casa De Mauro arriva un frammento di nastro magnetico: una voce artefatta e poco chiara sembra dire che De Mauro è vivo e viene interrogato. La sera stessa, con una telefonata alla famiglia, Buttafuoco mostra di essere a conoscenza del nastro e del suo contenuto, notizia anche questa a conoscenza di pochissime persone.

Passano tre giorni ed arriva una nuova telefonata del commercialista palermitano: vuole sapere se è stata trovata la “lettera del barbiere”. Nessuno ne sa niente, poi viene alla luce che il giorno della scomparsa De Mauro è stato visto dai colleghi con una busta gialla messa in mezzo ad un giornale piegato e che prima di tornare a casa quella sera era passato dal barbiere. La busta in effetti era già stata oggetto delle ricerche della polizia che però non era giunta ad alcun risultato.

Buttafuoco si fa vivo nuovamente il 30 settembre chiedendo il nastro pervenuto alla famiglia, la relativa busta e quali siano esattamente le domande rivolte alla moglie di De Mauro dalla Polizia. Edda De Mauro acconsente e riferisce tutto a Contrada e Giuliano.

Gli incontri tra la moglie di De Mauro e Buttafuoco, sempre per iniziativa del commercialista, proseguono nei giorni successivi. Il 6 ottobre l’ultima richiesta: Edda De Mauro si deve far consegnare la lista di tutti i nomi sui quali la polizia sta indagando e consegnargliela: non hanno invece importanza i nomi degli indagati dai carabinieri.

Il 7 ottobre avviene l’ultimo incontro: Buttafuoco riceve dalla moglie di De Mauro false informazioni concordate dalla signora con la polizia messa al corrente di tutto ma il suo interlocutore sembra aver perso ogni entusiasmo. Il 19 ottobre Buttafuoco viene arrestato. Interrogato, si dichiara vittima di un malinteso: voleva solo essere d’aiuto nella ricerca dell’amico scomparso, anche se appare evidente il suo sforzo di essere al corrente dello svolgimento delle indagini forse per assolvere ad un compito affidatogli. Il 5 gennaio 1971 Buttafuoco viene scarcerato per mancanza di prove di reato a suo carico ed esce definitivamente di scena.

Nelle indagini non emerge alcun fatto nuovo se non fosse per un articolo che appare su una nuova rivista, “Le ore della settimana”, il 9 ottobre 1970 e nella quale sembra che Buttafuoco avesse una qualche influenza (Griner, pag. 146). Secondo l’articolo, firmato con uno pseudonimo, la stessa mano ha ucciso Mattei, Renzo Rocca (un ex ufficiale del SIFAR trovato morto a Roma nel suo ufficio nel 1968 e ufficialmente suicida) e Mauro De Mauro.

L’articolo riproduce con alcune variazioni quanto già pubblicato nel 1968 da “Nuovo mondo d’oggi”, a quel tempo di proprietà di Mino Pecorelli. Alcuni leggono nell’articolo pubblicato su “Le ore” un messaggio: se non si fermano le indagini sulla scomparsa di De Mauro, riprenderanno gli articoli sulla morte di Rocca e Mattei. Chi può avere interesse a bloccare le indagini? Una testimonianza di Ugo Salto, il magistrato che a quel tempo coordinava l’inchiesta e recentemente pubblicata (Arcuri, Colpo di coda, pag. 66) sembra fornire una risposta al quesito. Racconta dunque Salto che a partire dai primi giorni di novembre 1970, tutti, polizia e carabinieri, sembrano disinteressarsi delle indagini.

Successivamente il commissario Giuliano gli spiegò che c’era stata una riunione tra i vertici dei servizi segreti ed i responsabili della polizia giudiziaria di Palermo, in un night club in località Cardillo, presente anche il nuovo capo del S.I.F.A.R., il generale Vito Miceli: l’ordine di Miceli era stato quello di “annacquare” le indagini, come infatti avvenne.

Perchè fu impartito quell’ordine? C’era effettivamente il timore che sarebbe emerso, sia pure incidentalmente, qualche particolare a proposito del “golpe” Borghese, per il quale poi lo stesso Miceli sarà processato ed assolto? Si trattò di una misura precauzionale per non portare alla luce fatti, come i complessi legami tra servizi segreti ed alcune riviste alle quali, sotto falso nome, De Mauro aveva collaborato in passato? C’era da bloccare le indagini sui lontani ed ormai quasi dimenticati trascorsi fascisti ed anticomunisti di De Mauro, forse in collegamento con strutture e metodi di cui nulla doveva continuarsi a sapere? De Mauro era effettivamente legato al Kgb e i servizi segreti italiani non volevano far emergere la loro disattenzione in proposto? O forse, ammesso che il legame esistesse e ne fossero al corrente, utilizzavano a loro volta De Mauro e la sua forse antica dimestichezza con l’attività di “intelligence”?

Non esistono elementi che inducano a ritenere valida questa o quella tesi, così come sono solo congetture quelle realtive ad un qualche coinvolgimento nella vicenda dell’Avv. Vito Guarrasi, molto noto e potente in Sicilia. La relazione su Guarrasi, predisposta dall’ufficio politico della questura di Palermo, che avrebbe contenuto quanto scoperto dalla polizia a proposito della parte da lui avuta nella vicenda De Mauro, sarebbe scomparsa (Griner, pag. 158), così come sarebbero scomparsi numerosi altri documenti.

Perchè Guarrasi? Perchè Buttafuoco avrebbe telefonato, subito dopo la scomparsa del giornalista, proprio a Guarrasi che si trovava a Parigi: secondo la polizia Buttafuoco era “l’ultimo anello di una catena che faceva capo a Fanfani ed alla sua corrente”, responsabile della morte di Mattei.

Sono affermazioni non suffragate da nessun elemento concreto, così come non lo sono le rivelazioni dei pentiti di mafia, come Buscetta, che collegano la scomparsa di De Mauro alla morte di Mattei (Arlacchi, p. 83).

In realtà, a più di trent’anni di distanza da quando De Mauro è scomparso l’unica cosa che appare certa è la sua morte, probabilmente ad opera della mafia, forse di sua iniziativa, forse per incarico di altri.

Altrettanto certo è che le indagini avrebbero potuto avere un diverso sviluppo se non vi fossero state interferenze esterne e depistaggi per motivi diversi. E’ certo ad esempio che la scomparsa del giornalista ripropone oggi, a torto o a ragione, l’enigma della morte di Enrico Mattei, anche se non esiste alcun riscontro oggettivo del collegamento tra i due fatti, così come pone interrogativi sulla preparazione del tentativo di “golpe” del principe Borghese e sulle relative complicità, non esclusa quella della mafia, ancora una volta senza elementi inconfutabili a proposito del collegamento tra il tentativo eversivo e la scomparsa del giornalista.

Abbandonata appare la pista del commercio di droga seguita – e forse non a torto – dai carabinieri di Dalla Chiesa: completamente sconosciuti sono restati gli elementi su cui si fondava.

E’ facile prevedere che della scomparsa di De Mauro si parlerà ancora a lungo: oltre cinquanta anni di indagini sono trascorsi senza che sia stato fatto concretamente nessun passo avanti.


Bibliografia

  • Camillo Arcuri, Colpo di Stato, Rizzoli, 2004.
  • Massimiliano Griner, Nell’ingranaggio, Vallecchi, 2003.
  • Massimiliano Griner, La “banda” Koch, Boringhieri, 2001.
  • Carlo Lucarelli, Misteri d’Italia, Einaudi, 2002.
  • Nicola Tranfaglia, La nascita dela Repubblica, Bompiani, 2004.
  • Edgardo Sogno, Testimonianza di un anticomunista, Mondadori, 2000.
  • Gianfranco Simone, Il boia di Albenga, Mursia, 1998.
  • Renato De Sanctis, Delitto al potere, Samonà e Savelli, 1972.
  • Nino Valentini, La notte della Madonna, Roma, 1978.
  • Pino Arlacchi, Addio Cosa Nostra, Rizzoli, 1994.
  • Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Roma, 1995.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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