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L’omicidio del vicebrigadiere Rega lascia per terra una montagna di petardi mediatici esplosi

La drammatica giornata del 26 luglio resterà in alcuni diari metaforici della cronaca nera italiana di questi tempi. Ma resterà anche mescolata alla cronaca verdegialla (quella della politica del nostro tempo), alla cronaca verde-pisello (quella di una parte della gioventù che non smette di bruciarsi il cervello), alla cronaca grigiastra (quella dell’impazzimento mediatico).

Per l’effetto esplosivo di questi incroci ho postato sabato 27 luglio mattina l’intero breve editoriale di Fiorenza Sarzanini (sul Corriere) che ha scritto: “L’accertamento della verità ha bisogno di tempo, soprattutto di cautela. Una prudenza che sembra ormai perduta in questa continua ricerca di cavalcare la scena – soprattutto mediatica – con una frase ad effetto. Che possa far prevalere l’idea di uno su quella di un altro e poco importa se è coerente con la realtà. Tanto tutto dura ormai lo spazio di un tweet o di una diretta Facebook e il giorno dopo si è pronti a passare a un nuovo argomento”.

L’ho postato con l’augurio e la speranza che il Capo dello Stato rivolga un messaggio alle Camere almeno per sollecitare un regolamento delle dichiarazioni a raffica di mitra di alcune categorie pubbliche ad alta responsabilità, come per esempio i ministri della Repubblica.

Il 26 aprile è il giorno dell’omicidio del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega per mano di uno dei due giovani studenti universitari americani cocainomani (quello reo-confesso) che – si dovrà meglio capire la vera dinamica – accoltella uno dei due carabinieri che sostituiscono il pusher che, anziché vendere loro coca, ha spacciato aspirina tritata e si sarebbe visto poi rubare il borsello per reazione e avrebbe alla fine chiamato i carabinieri (questa poi!) fingendosi un semplice derubato per recuperare il furto e dare una lezione ai giovani americani.

Tutto da chiarire, diciamo. Ma è anche il giorno di centinaia di dichiarazioni dei nostri politici che appartengono largamente allo schieramento di governo (con a bordo su questa materia come al solito la Meloni) che riservano il loro vocabolario da curva sud (o nord, a seconda di chi ulula) alla sicura responsabilità dei “nord-africani” immigrati. Mescolandosi all’imprudenza anche di alcuni giornali, siti, blogger e giornalisti che contribuiscono al luna park delle dichiarazioni. Finché le responsabilità emergono se non chiare almeno certe, smentendo la canea e lasciando per terra una montagna di petardi esplosi, come nel quartiere Sanità a Napoli dopo Capodanno.

Ma questi sono petardi che hanno inquinato i nostri media, il nostro sistema politico, il nostro dibattito pubblico. E hanno dimostrato che alcuni di coloro che dovrebbero più spremersi per l’interesse collettivo, con il riserbo e la prudenza che ha chi si assume la responsabilità di fronteggiare, come scrive la Sarzanini, materie intricatissime, sono solo interessati a lucrare i click di una guerra dei consensi della loro perenne campagna elettorale. Una campagna  avulsa – ormai è evidente che è avulsa – dall’etica e dal rendimento di quel che nel mondo civile si chiama “governare un paese”.

dichiarazioni irresponsabili come petardi esplosi

Come è dall’inizio (tra l’ufficio del ministro dell’Interno collocato su una tastiera di Twitter e l’ufficio del ministro del Lavoro-Sviluppo collocato nell’algoritmo della Piattaforma Rousseau) l’intreccio con l’evoluzione delle tecnologie digitali sta mettendo in rotta di collisione la prospettiva strategica del sistema delle comunicazioni: da un lato essa agisce come rivoluzione della conoscenza con mille prove al giorno di rendere servizi al progresso; dall’altro lato essa agisce come regressione barbarica con mille prove al giorno di rendere servizi all’analfabetismo funzionale di mezzo paese (non solo del nostro paese).

Per l’Italia (e non solo per l’Italia) è una torsione pericolosa, perché i giovani potrebbero trovare più divertente la seconda opzione ludica rispetto all’approccio colto e in un certo senso scientifico della prima opzione.  E ciò renderebbe lungo, lunghissimo il ciclo di follia che stiamo attraversando. Da qui la necessità di introdurre sistemi di delegittimazione pedagogicamente efficaci.

Non mi illudo che un messaggio alle Camere del Capo dello Stato possa avere di per sé questo requisito. Penso però che le comete non illuminino il mondo ma segnino almeno i percorsi giusti.

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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