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Matthew d’Arabia

Matteo Renzi è uscito indiscutibilmente vincitore nel match con Conte.
Qualcuno potrebbe obiettare che controllando egli i voti determinanti a sorreggere il governo, la vittoria era facile. Bastava staccare la spina.
Invece ci sono voluti un paio di mesi di finte e controfinte.
Durante questo tempo il segretario di Italiaviva ha fatto di tutto e di più. Per motivi esclusivamente suoi, che non conosceremo mai, ha scientificamente umiliato il Presidente del Consiglio e ha stoppato e fatto rifare il piano di adesione al Recovery Plan.
Quest’ultimo atto ha avuto il consenso di tanti, di diversa provenienza.
Il fiorentino ha tenuto a lungo sulla graticola l’intero arco parlamentare per ragioni di visibilità e protagonismo. Qui però comincia l’inspiegabile comportamento dell’ex premier.
Che Renzi cercasse rogne era evidente da tempo. Perché non affrontarlo in campo aperto? Perché lasciargli tutta la scena?
Conte pensava che Renzi fosse un giocatore di poker, esperto nel bluff. E il suo ego (che è notevole) lo sconsigliava dall’inseguirlo nei quotidiani rilanci e di snobbarlo per non sporcare il suo prestigio e gradimento.
Invece di tacere indignato e offeso avrebbe dovuto prendere l’iniziativa di condurre un check-up sulla salute del Governo. Quel tavolo allargato su programma e composizione dell’esecutivo, che abbiamo visto solo al momento dell’incarico esplorativo del Presidente della Camera, poteva essere gestito molto tempo prima da Conte in persona per chiudere rapidamente la “verifica”.
Temo che l’ex Presidente pensi che il temporeggiare, non rispondere, rinviare risolva ogni conflitto, naturalmente a danno dei suoi avversari.
Questo funziona con il PD che -sull’altare di una alleanza organica di centrosinistra che si confronti finalmente con quella già esistente e florida di centrodestra- è pronto ad ingoiare qualunque rospo e a sopportare qualunque sgarbo.
Non certo con lo scalpitante e provocatorio Renzi. Il quale in piena crisi e nei giorni stessi delle consultazioni si è recato a Riyad per offrire una “consulenza” retribuita al Principe ereditario della Arabia Saudita.
Il principe è un personaggio in forte ascesa, con fama di modernizzatore e abile comunicatore.
Come usa da quelle parti, egli non è un tipino scontato e banale. È accusato di aver ordinato il massacro di un giornalista dissidente, avvenuto nell’ambasciata araba a Istanbul, e dopo aver fatto arrestare per corruzione numerosi membri della Corte, tutti suoi zii o cugini.
Molti hanno trovato discutibile il ruolo di Renzi che è ancora un componente attivo (direi attivissimo) della scena politica italiana. A differenza di altri ex leader stranieri -ormai ritiratisi dalla vita politica- che tengono conferenze in giro per il mondo.
Insomma paventano una lobby a favore di un paese non certo democratico, che potrebbe mettere il capo di Italiaviva nelle condizioni di non essere indipendente nelle sue decisioni di senatore, per di più membro della commissione Esteri. In parole povere un possibile conflitto di interessi.
Io invece non mi preoccuperei troppo se il contenuto della consulenza è del tenore di quanto abbiamo visto.
La televisione saudita ha messo in onda un faccia faccia tra Renzi e il principe in occasione della visita. Il politico italiano ha sottolineato di essere molto invidioso del costo del lavoro vigente nel paese arabo.
Cominciamo col dire che in quella terra i “cittadini” (quelli vestiti di bianco) sono pochi, quasi tutti legati alle famiglie storiche della dinastia, alle rendite petrolifere e alla finanza.
I lavoratori vengono dai paesi più poveri del mondo e svolgono lavori poveri che non richiedono istruzione, come estrarre petrolio dal deserto. Fino a qualche lustro fa erano una sorta di semi schiavi.
Tuttora non esistono garanzie sindacali o ammortizzatori sociali. Quando è finito il cantiere tornano in Bangladesh.
Credo che un buon consulente debba spiegare al principe (magari non in tv) che se vuole innovare e modernizzare il paese dovrà modificare (o forse creare dal nulla) il mercato del lavoro, non inorgoglirlo per la sua assenza.
Ultima stranezza: impegnati a svolgere lavoro di pompieraggio per rendere possibile il governo Draghi, nessun politico o sindacalista ha chiesto a Renzi se questa invidiabile situazione lavorativa ed occupazionale sia da esportare in Italia.

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Gianluca Veronesi

Nato ad Alessandria nel 1950, si laurea in Scienze Politiche, è Consigliere comunale ad Alessandria per tre legislature, Assessore alla cultura ed al teatro, poi Sindaco della città. Dirigente Rai dal 1988 al 2018, anni in cui ricopre vari incarichi:Assistente del Presidente della RAI, Direttore delle Pubbliche relazioni, Presidente di Serra Creativa, Amministratore delegato di Rai Sat. E' stato consigliere dell’istituto dell’autodisciplina Pubblicitaria e del Teatro Regionale Alessandrino.

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