Se ne parla e ci si interroga da anni, forse dai tempi in cui l’uomo ha iniziato a comunicare ed a tramandare la conoscenza: sono più efficaci i micro contenuti o gli approfondimenti?
Ovviamente il digitale ha accelerato la contesa ed in questo momento sembra proprio che i micro contenuti (le cosiddette “pillole informative”) abbiano la meglio sui macro.
Chi si approccia a scrivere per il web si sarà sicuramente imbattutto in una frase di questo tipo: “L’internauta pretende la massima comprensione della notizia nel minor tempo possibile, il digital journalist deve scrivere pezzi brevi e facilmente condivisibili sui social network”. Siamo davvero sicuri che questo sia l’obiettivo del giornalismo digitale, o meglio che sia l’unica forma di giornalismo digitale possibile? Io credo di no!
Oggi le news hanno l’immediatezza di una foto su Instagram o di una diretta Facebook e viaggiano nei 280 caratteri di un Tweet. Tutto questo genera un paradosso informativo per cui il giornale digitale, che potenzialmente amplia in modo esponenziale le possibilità di comunicare rispetto al cartaceo (fotogallery, video, audo, link, ecc.), fornisce di fatto meno commenti, meno approfondimenti, in poche parole, meno informazioni.
Il contenuto di tipo “micro” per eccellenza è rappresentato dai video postati sui social: sempre più brevi, sempre più elaborati, in ordine crescente di brevità: timeline di Facebook, Tik Tok, Instagram stories.
Partendo dai social le “video pillole” diventano il formato preferito da tutti i media (social e tv compresa), con una durata massima di qualche minuto per raccontare una storia. Ma il riferimento temporale continua a scendere inesorabilmente e con l’introduzione delle Instagram stories si è abbassato a 15 secondi! 15 secondi per comunicare? Per informare? Magari…
Sì perchè di questi 15 secondi la soglia d’attenzione dei giovanissimi è di appena 8 secondi. I primi 8 secondi, in cui il contenuto deve esplicitarsi appieno per “meritare” l’attenzione nei successivi 7. E poi non venitemi a parlare di “distrazione”, piuttosto ci sarebbe da capire quando mai ci sia stata attenzione.
Il nuovo mantra sembra essere la brevità. Google (come tante agenzie di comunicazione) studia i comportamenti degli utenti in Rete per capire come colpire la loro attenzione con spot pubblicitari che trasmettono il messaggio nei primissimi fotogrammi, prima di poterli skippare.
In questa folle corsa verso l’essenzialità della comunicazione, verso il taglio di ogni orpello lessicale, cosa rimane dell’approfondimento, del macro contenuto (testo o video che sia), di quello che viene definito “long-form journalism”? Cosa ce ne facciamo di articoli che vanno in profondità, se tutto si svolge in superficie?
Siamo tutti surfisti che fanno acrobazie sulla cresta delle onde, viviamo in superficie e viaggiamo veloci. Che appeal potrebbe avere qualcuno che ci propone di fermarci, prenderci il tempo necessario per rilassarsi, concentrarsi e scendere in apnea a scrutare il fondo del mare? In quanti ne saranno persuasi? Non molti direte voi.
Eppure io credo che la battaglia dei macro contenuti non sia una battaglia persa, anzi. Basta solo cambiare la prospettiva. Non è (e non potrà più essere) una battaglia da combattere sullo stesso terreno. Quale? Quello del contenuto free, ad esempio.
Il macro contenuto richiede tempo, sia per prepararlo, che per leggerlo. E se “il tempo è denaro” allora l’approfondimento non può che avere un costo. E se sei disposto a pagare per approfondire, allora sarai disposto a pagare anche per leggere, dedicandogli il “tuo tempo”, che ha ugualmente un valore.
Approfondire è fatica, è scendere in profondità, e richiede tempo. In un mondo in cui il tempo è il bene più prezioso di cui possiamo disporre, avere un pubblico di lettori che sceglie di leggere approfondimenti significa avere un patrimonio di ricchezza che nessun editore di micro contenuti potrà mai avere. Costruire questo “patrimonio” richiede sacrificio, impegno… tempo. Ma vale la pena farlo, in modo intelligente.
Se la tendenza è quella di preferire micro contenuti questi vanno proposti, ma non sta scritto da nessuna parte che tra micro e macro si debba proceder ad excludèndum.
A mio avviso i micro contenuti sono essenziali per carpire l’attenzione del lettore, ma non possono essere considerati informazione in senso lato. Molto probabilmente senza di essi molti lettori non sceglierebbero mai di pagare per approfondire un argomento, se non passando prima per una “emozione” suscitata proprio da una micro pillola.
Sono certo che la funzione dei micro contenuti è essenzialmente questa: suscitare un’emozione, smuovere una coscienza, instillare un dubbio, muovere all’azione, spingere a saperne di più.
Ed ecco dunque che ad un micro contenuto che fa da “apripista”, non può che seguire un macro contenuto che analizza il problema, svela un punto di vista, confronta tesi ed opinioni diverse fino a provare ad indicare una soluzione.
Concludendo: la battaglia tra micro contenuti e long-form è una battaglia solo per coloro che hanno già scelto, fideisticamente, l’uno o l’altro. Mentre, come spesso accade, molto più prosaicamente rappresentano essenzialmente due facce della stessa medaglia.
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