Al Teatro Nazionale di Milano un nuovo allestimento di Singin’ in the Rain (Cantando sotto la pioggia). Valeria Crippa sul Corriere della Sera: «Piove. L’ombrello è aperto, il lampione è illuminato e l’uomo in posizione sghemba ha tutta l’aria di voler ballare. Cantando. Rinasce Singin’ in the Rain, in assetto al 100 per cento made in Italy (a eccezione della canzone del titolo, in inglese). Verace anche nella pioggia: 400 litri d’acqua a doccia sul palco (attrezzato “a piscina” per contenerli) nella scena conclusiva della prima parte. Così il cult movie che vide sfavillare, nella Hollywood degli anni Cinquanta, la triade formata dall’atletico Gene Kelly (anche regista con Stanley Donen), dal rosso e mercuriale Donald O’Connor e dalla cinguettante Debbie Reynolds, divenuto musical nel West End londinese nel 1983, mette ora le tende da noi nella nuovissima produzione di Stage Entertainment, diretta da Chiara Noschese. […] Dedicato alla memoria di Manuel Frattini, camaleontico divo del genere scomparso prematuramente un mese fa (interpretò l’edizione della Rancia del 1996), lo spettacolo assegna i ruoli principali al longilineo Giuseppe Verzicco (Kelly-Don Lockwood), a Mauro Simone (O’Connor-Cosmo Brown) e Gea Andreotti (Reinolds-Katy Selden): “Confrontarsi con il mito Kelly è impossibile – afferma Verzicco –. Sono felice di lavorare a un progetto meraviglioso da tutti i punti di vista, con un gruppo pieno di talento, in cui non c’è nota stonata. Mai avrei sognato tanto quando, da Trani, ho imboccato la via del musical”. Specchiarsi nelle icone del film è irrealizzabile anche per Simone: “Erano giganti, oggi possiamo proporre una nostra visione. La famosa danza in orizzontale sul muro? Non sono un acrobata come O’Connor. Mi cimento nel tip tap. È una storia stupenda di amore e amicizia”. Gea Andreotti: “Abbiamo creato un ibrido tra il film d’epoca e il nostro tempo”. L’autore delle coreografie Fabrizio Angelini ha puntato sul tip tap: “Sono ben sei numeri. La sfida è stata infondere colore e non rumore, eleganza più che paillettes e lustrini”. Il cast tutto italiano di 24 performer si avvicenda in 6-7 ruoli a testa, in una girandola di cambi di costume e scene che impone uno sforzo colossale di attrezzeria dietro le quinte. Inevitabile, nel narrare uno spaccato della storia del cinema focalizzato sull’avvento del sonoro, con un meccanismo di teatro nel teatro che svela, con il bello della diretta, vizi e virtù del back stage».
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