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Saffi e Mazzini: la Repubblica Romana, l’educazione del popolo

Saffi e Mazzini furono tra i fondatori della Repubblica Romana. Il giovane Saffi però, a soli quaranta anni, decise che non era più il tempo delle cospirazioni, insurrezioni e rivolte, ma il momento di educare il popolo.

1848: a Roma, fuggito Pio IX a Gaeta, democratici e mazziniani assunsero tutti i poteri. Le ripercussioni in tutto il territorio dello Stato pontificio furono immediate: tutti i liberali ritennero che la repubblica romana significasse non solo la fine del potere temporale dei papi, ma anche l’avvio del processo di unificazione nazionale.

Il 13 dicembre 1848 un gruppo di patrioti romagnoli (la Romagna faceva parte dello Stato pontificio) tra i quali Quirico Filopanti, Giulio Guerrini e Francesco Laderchi, sottoscrissero un appello per la instaurazione a Roma di un governo provvisorio e la convocazione di una assemblea di rappresentanti di tutte le province pontificie “salvo i diritti della Nazione unita in assemblea costituente italiana”. Per coloro che sottoscrissero l’appello l’ordinamento della repubblica romana avrebbe dovuto costituire il modello dello Stato che sarebbe nato una volta raggiunta l’unità nazionale.

Chi era Marco Aurelio Saffi?

Tra i firmatari dell’appello ci fu anche il giovane Marco Aurelio Saffi, nato in una famiglia nobile e ricca a Forlì il 13 ottobre 1819. Dopo i primi studi a Forlì e poi al Collegio Campana di Osimo, Saffi si era iscritto alla Università di Ferrara dove nel 1841 si era laureato in legge.

Si era trasferito successivamente a Roma dove aveva avuto presto numerose amicizie tra i liberali, sia laici come Achille Gennarelli e l’Avv. Carlo Armellini, che ecclesiastici, come Mons. Marini, che diverrà cardinale.

Tra gli altri, conobbe anche mons. Martini, fautore delle autonomie locali che avrebbero dovuto costituire la base per lo Stato che sarebbe nato dall’unificazione nazionale inteso come federazione di libere città, idea questa non molto lontana da quella di Cattaneo e degli altri federalisti con la differenza che per mons. Martini la federazione avrebbe dovuto essere costituita sotto la sovranità pontificia, anche se solo nominale.

Saffi e Mazzini fondano la Repubblica Romana

Dopo il soggiorno a Roma Saffi era tornato alla natia Forlì, era divenuto consigliere comunale e segretario della provincia (1844 — 45) e si era andato accostando ai mazziniani, specie nella denuncia del malgoverno pontificio: nella “Rimostranza” rivolta (1846) agli esponenti del governo pontificio aveva chiesto l’adozione di riforme in senso liberale per superare la crisi.

Presto era divenuto uno dei maggiori esponenti del liberalismo in Romagna: nel 1848, accolta a Roma la proposta di eleggere una Assemblea costituente di 200 membri, di cui i 100 più votati avrebbero fatto parte della futura Assemblea italiana, fu eletto suo componente dalla provincia di Forlì (N. B. Per elezione in questo caso deve intendersi qualcosa di analogo alle attuali “primarie”: si votava solo un nome e non una lista o un partito).

All’inizio del 1849 Saffi giunse a Roma, si legò a Mazzini e fu tra quanti  propugnarono all’Assemblea costituente un “governo semidittatoriale” di  tre membri. La proposta fu accolta: il 9 febbraio 1849 l’Assemblea proclamò la decadenza del papa dal governo temporale e la fondazione della Repubblica Romana ed elesse un comitato esecutivo: nacque il primo triumvirato (Armellini, Saliceti e Montecchi). A soli trent’anni Saffi assunse l’importante carica di Ministro degli interni.

Il 5 marzo giunse a Roma Mazzini ed il 29 marzo successivo venne costituito un secondo triumvirato composto da Armellini, Saffi e Mazzini, che si proclamò “governo non di un partito ma della nazione”: secondo il progetto di Mazzini la repubblica romana avrebbe dovuto costituire il modello dell’Italia unita.

Fu rapidamente organizzato un esercito di 50.000 uomini, di cui facevano parte con Garibaldi molti giovani come Mameli, Bixio, Dandolo e tanti altri, che si trovarono a combattere contemporaneamente a sud contro le truppe inviate dal re delle due Sicilie ed a nord contro l’esercito austriaco e quello francese.

Dopo una lunga resistenza, quando ormai la situazione era diventa insostenibile, i triumviri presentarono all’Assemblea costituente le loro dimissioni. L’Assemblea, dopo aver approvato (1 luglio) la costituzione della Repubblica e (2 luglio) averla emanata, respinse la proposta francese di capitolazione ed affermò di cedere solo alla forza: il 3 luglio i francesi occuparono la città.

L’11 luglio successivo Saffi lasciò Roma per Genova, ma il governo piemontese vietò il suo sbarco. Malato, scese a Porto Maurizio, ma fu subito arrestato e trasferito a Genova: per il governo piemontese era un pericoloso sovversivo. Liberato per la protesta dei patrioti genovesi, fu condotto a Torino dove incontrò il Ministro degli interni Pinelli, che lo informò della decisione di espellerlo dallo Stato.

Saffi raggiunse allora Mazzini prima a Ginevra e poi a Losanna dove fondarono “L’Italia del popolo”, una associazione cui aderirono fra gli altri Carlo Pisacane e Maurizio Quadrio e che aveva come programma per l’Italia l’unità, l’indipendenza e la repubblica.

Su pressione del governo svizzero Saffi fu costretto, come altri esuli italiani, a lasciare Losanna. Raggiunse (1851) Mazzini in Inghiltera, da dove nel 1852 si recò clandestinamente in Piemonte per raccogliere aiuti finanziari e programmare nuove insurrezioni in Italia.

Fallita (1853) la insurrezione di Milano, condannato a vent’anni di reclusione, Saffi tornò in Inghilterra, trovò lavoro come lettore d’italiano alla Università di Oxford. Nel 1857 sposò Giorgina Crawford, nata e vissuta a Firenze e fedele mazziniana schierata con le femministe italiane del tempo.

Saffi e l’educazione politica del cittadino

Nel 1860 giunse a Napoli, occupata da Garibaldi, dove fondò e diresse “Il popolo d’Italia”, che sosteneva la necessità di una maggiore autonomia dei comuni contro lo strapotere del governo centrale.

A questo punto della sua vita — aveva poco più di quarant’anni — Saffi fece una scelta fondamentale: non più cospirazioni, insurrezioni, rivolte, ma educazione del popolo attraverso una miriade di organizzazioni (associazioni operaie, leghe, circoli, società di mutuo soccorso) raccolte in “patti” e “fasci”, laiche e solidaristiche, ispirate al programma della “Società dell’Italia unita” di Mazzini.

Intransigente nella condanna del brigantaggio nell’Italia meridionale in quanto freno all’unificazione nazionale e pretesto per un rafforzamento dell’apparato civile e militare del governo centrale, fu però tra i più decisi avversari della legge Pica, che per combattere i briganti dava poteri straordinari ai prefetti, tratti per la maggior parte dall’esercito regio e dai fedelissimi del re di Sardegna e del suo governo.

Nel 1861 fu eletto deputato alla Camera dei deputati del nuovo regno d’Italia; si dimise tre anni dopo, uniformandosi alla scelta di Garibaldi, di Guerrazzi, di Cairoli e di altri deputati che ne seguirono l’esempio, nella convinzione che l’opposizione in Parlamento non fosse strumento valido per contrastare la politica governativa.

I dimissionari costituirono un comitato centrale unitario, di cui entrarono a far parte anche Crispi, Sineo, Bixio ed altri esponenti della Sinistra storica che restarono invece deputati, tutti, deputati e dimissionari, uniti nella lotta al Governo Minghetti. Era in embrione quella Sinistra che pochi anni più tardi assumerà il potere, ponendo fine a quello della Destra.

Nel 1864 Saffi, che due anni prima era stato iniziato alla Massoneria nella loggia “Dante Alighieri” di Torino, tornò in Inghilterra e riprese a fare propaganda per la causa dell’Italia unita, avvalendosi anche dei nuovi amici massoni. Nei suoi scritti andò prendendo sempre più le distanze da Mazzini, specie a proposito del centralismo governativo: ad esso riteneva doversi contrapporre l’educazione politica dei cittadini e la loro partecipazione alla vita pubblica nelle istituzioni, ed in quelle locali innanzitutto.

Nel 1867 tornò in Italia, svolse una intensa attività giornalistica per far conoscere il suo pensiero e fondò la Consociazione delle società popolari di Romagna, con il giornale di propaganda “La Roma del popolo”.

Nel 1866 fu nuovamente eletto deputato, ma nuovamente si dimise per gli stessi motivi per i quali si era precedentemente dimesso (impossibilità di esercitare il mandato parlamentare con un governo ed una maggioranza parlamentare che seguivano una linea politica tanto distante dai suoi ideali e non tenevano in alcun conto di quanto sostenuto dall’opposizione). Tornò a vivere a Londra da dove l’anno successivo (1867) si trasferì definitivamente in Italia, nella sua tenuta di San Varano (Fora).

Sembrava che la sua esperienza politica fosse definitivamente conclusa ma era una valutazione non esatta: iniziò una nuova fase della sua attività, tesa a fronteggiare l’avanzata anarchica e socialista da una parte e l’assoluta chiusura del governo rispetto ai problemi nuovi che si andavano delineando con l’inizio del processo di industrializzazione, una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini dei loro diritti ed una conseguente crescente pressione per la modifica dell’ordine economico e sociale esistente.

Per il governo della Destra storica si trattava solo dei soliti rivoluzionari mazziniani, senza alcuna distinzione di posizioni politiche: il 2 agosto 1874 28 esponenti mazziniani e radicali tra cui Saffi ed il futuro Presidente del Consiglio Fortis furono arrestati a Villa Ruffi in Romagna, con l’accusa di preparare una sommossa anarchica mentre si erano riuniti per decidere la linea da seguire contro socialisti ed anarchici.

Gli arrestati, processati ed assolti, ebbero la solidarietà, tra gli altri, di Benedetto Cairoli, Alberto Mario e Giosuè Carducci, che deprecò la “bestialità politica del governo”: il governo della Destra storica era all’epilogo.

Nel 1877 Saffi, sempre più impegnato per il solidarismo e l’educazione politica dei cittadini, si trasferì a Bologna, iniziò ad insegnare nell’Università Diritto Pubblico e nel 1879 aderì alla Lega della democrazia fondata da Garibaldi per l’estensione del diritto di voto.

Seguì nel 1883 la fondazione del “fascio della democrazia”, che riuniva le varie anime della sinistra: Saffi ne divenne presidente. Nel 1866 si candidò alla Camera dei deputati per sottrarre il collegio di Forlì all’anarchico Amilcare Cipriani: fu eletto e l’anno successivo si dimise per favorire la elezione di un candidato repubblicano.

Saffi, la massoneria e la cooperazione

Nel 1885 entrò a far parte della loggia “Propaganda Massonica” (all’origine della “P.2”), guidata personalmente dal Gran Maestro Adriano Lemmi.

Sostenitore della cooperazione in quanto a suo avviso “la forma cooperativa, armonizzando Libertà e Associazione… (era) destinata a sciogliere in gran parte la questione sociale”, si dichiarò (1885) contrario a moti insurrezionali in quanto non avrebbero trovato il necessario consenso.

Fu ancora una volta per la moderazione in occasione della visita del re in Romagna (1888) e, sindaco di Forlì, tenne il 29 dicembre 1889 il suo ultimo discorso invitando i cittadini ad “accogliersi concordi” intorno ai “principi di bene pubblico” al di là delle parti politiche.

Negli ultimi anni della sua vita, oltre ad occuparsi della unificazione (riuscita) delle due organizzazioni massoniche esistenti in Italia, tentò di rappresentare un punto di unione tra tutte le forze riformiste, superando le divisioni storiche tra esse esistenti.

Morì il 10 aprile 1890 a Villa Saffi, oggi sede di un museo, e fu seppellito nel cimitero di Forlì.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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