C’era una volta… l’Occidente ed era una gran bella parte del Pianeta. Era:
C’era una volta… soprattutto un insieme di individui sostanzialmente appagati di avere dato forme civili e avanzate di governo alle proprie collettività, dalla polisgreca, alla res publica romana, alla liberal-democrazia dei nostri tempi; forme che avevano attirato l’attenzione del mondo e che erano state largamente imitate.
Come sempre avviene, v’erano state, nel processo di formazione, punte contrastanti di azione e di pensiero e anche conflitti molti atroci.
Nessuno, però, aveva previsto che il diapason della tragedia sarebbe stato raggiunto nel cosiddetto “secolo breve”. Era apparsa, incontestabilmente, l’esistenza di un cancro, non inguaribile ma gravissimo.
Era avvenuto che, accanto all’intolleranza religiosa e al dispotismo teocratico, l’idealismo filosofico tedesco aveva partorito i due mostri del fascismo e del comunismo, che avevano invaso anche altri Paesi del Pianeta in un batti-baleno (considerati i miliardi di anni dei tempi cosmici) costringendo la parte empiristica e tollerante del Vecchio e del Nuovo Continente a correre ai ripari con due guerre mondiali devastanti e una terza definita “fredda”.
Dopo quel momento altamente drammatico, le cose non erano più andate al posto giusto. Il liberalismo democratico, padre del capitalismo produttore indefesso di beni e di servizi, apprezzati sull’intero globo, aveva prodotto altri due frutti avvelenati: il monetarismo bancario (ci si può arricchire vendendo solo denaro) e la globalizzazione selvaggia (non v’è bisogno di collettività bene organizzate e ordinate).
Nulla più era stato come prima. Molte certezze erano sembrate irrimediabilmente destinate a crollare ed erano, infatti, rovinosamente cadute. Erano subentrati il caos e la confusione dei linguaggi; ed erano cessate le possibiltà di conversazioni non “urlate” su singoli aspetti della vita collettiva. Nessuno intendeva più ascoltare gli altri, ma solo far prevalere il proprio punto di vista. Il consumismo e la ricerca di beni materiali avevano allentato i vincoli di una vita improntata a valori ambiguamente definiti “spirituali”; la Chiesa aveva perduto parte del suo carisma per gli scandali prima finanziari (Marcinkus, Calvi, Sindona e via dicendo, per limitarci al Bel Paese) e poi sessuali (pedofilia, su scala mondiale); aveva pensato di recuperare la forza (o la violenza?) delle origini aprendo le porte dell’Occidente ai mussulmani; il crollo del nazifascismo e del socialcomunismo avevano inferto un duro colpo ai seguaci dell’idealismo tedesco di destra e di sinistra, ma in conseguenza del marasma i fascisti scoprivano i confusi valori socialisteggianti della Repubblica di Salò e alcuni di loro facevano persino i sinistrorsi mentre i comunisti sposavano le idee neo-liberiste di banchieri e di bancari (e prendevano da essi l’ossigeno necessario per restare in vita) e accettavano l’idea di una dittatura dei ricchi paperon dei paperoni di New York e di Londra.
Da una parte v’erano gli Anglosassoni del Vecchio e del Nuovo Continente, dall’altra, gli abitanti della parte non insulare dell’Europa.
Perché ciò è avvenuto? Che cosa hanno capito i popoli anglosassoni per abbadonare le acque agitate in cui ancora si trovano gli Euro-continentali?
In primis, hanno costatato che da grandissime potenze industriali stavano perdendo progressivamente colpi nei confronti di Paesi produttori emergenti come Cina, India, Russia, Indonesia; e ciò, a causa della non competitività dei loro prodotti per l’alto costo della manodopera e del Welfare. In altre parole, l’assenza di dazi doganali protettivi li condannava alla sudditanza economica e alla povertà.
In secondo luogo, hanno capito che si stava assottigliando il patrimonio delle industrie nazionali non tanto per effetto di movimenti azionari quanto per la “delocalizzazione” degli opifici produttivi in Paesi a basso costo di mano d’opera.
In terzo luogo, hanno intuito che si stava ingigantendo la dipendenza degli Esecutivi nazionali dal sistema creditizio e l’ingovernabilità della società civile, per la forte immissione di immigrati; e ciò perché la “zoppìa” delle imprese di produzione per le ragioni dianzi esposte richiedeva sia un forte ricorso al credito delle banche, sia la chiusura di un occhio (o due) sui flussi esteri di lavoratori a basso costo.
In ultima analisi, i Paesi Anglosassoni hanno intuito che la stessa liberal-democrazia stava per andarsene a pallino sotto la spinta dello strapotere finanziario e la pressione esagitata di masse crescenti di gente insoddisfatta e incapace d’integrarsi in tempi brevi.
Hanno tirato i remi in barca e, rivedendo, principi liberali sorti in un ben diverso contesto storico e geografico, hanno reintrodotto dazi doganali e chiuso le frontiere agli immigranti; hanno reso, in tal modo, del tutto vano il tentativo di delocalizzare le imprese per guadagnare di più e stroncato l’impoverimento progressivo del patrimonio nazionale industriale; hanno spezzato il cordone ombelicale che li legava alle banche, costringendoli a mettere sempre da parte denaro dei contribuenti per ripianare inevitabili deficit di bilancio degli istituti di credito e per sostenere le spese di accoglienza degli immigrati; hanno riportato i due Paesi (l’America del Nord, subito, la Gran Bretagna in un domani in cui sarà finalmente libera dai legami costrittivi e asfittici con l’Unione Europea) al livello che competeva loro, per il loro potenziale produttivo ed economico.
Naturalmente, il sistema mass-mediatico dipendente dal finanziamento bancario ha sparato ad alzo zero contro la Brexit e contro la presidenza di Donald Trump e continua a non risparmiare i suoi colpi contro i “sovranisti” e “populisti” che vorrebbero far realizzare la stessa politica ai Paesi Euro continentali dopo avere trasformato l’Unione Europea dei banchieri e dei bancari in una Confederazione politica di Stati indipendenti e autonomi dalle direttive di Wall Streete della City.
Nell’Europa del Continente la guerra dei banchieri trova ancora numerosi alleati: primo tra tutti, il tasso d’irrazionalità fantasiosa, di natura sia religiosa (ebraica, cristiana, cattolica o protestante, e, poi anche se soltanto in frange ridotte, islamica) sia filosofica (idealistica tedesca, cosiddetta di destra, fascismo, o di sinistra socialcomunismo) da cui la collettività occidentale è permeata in percentuali dette in alcuni Paesi (come l’Italia, ma forse non solo) “bulgare” (id est: 99,99%).
Le “verità” rivelate dalle autorità religiose o i fanatismi ideologici insegnate dai “maestri del pensiero accademico”, trovano nell’irrazionalità una forza e un propellente ineguagliabili (anche se non provocavano più guerre) per “bordate” polemiche micidiali degli uni contro gli altri.
La qualifica è sempre meno ambita e ancor meno contesa, perché pone i seguaci della libertà non condizionata da dogmi e da assiomi, “automaticamente” fuori, da ogni contesto operativo, sotto il profilo del pensiero sia politico sia speculativo.
Molto ambito è, invece, il titolo di “intellettuale” per il quale basta avere una buona cultura (quella, naturalmente, dominante, quindi irrazionale e prontamente barattabile per effetto di ogni asserita, diversa folgorazione mentale), dichiararsi (senza onere della prova) cultore di studi riconducibili a un asserito ed elastico “valore umanistico” per giustificare la propria pretesa di esercitare influenza nell’ambito di un’organizzazione politica e di contribuire a determinare un certo indirizzo ideologico o accademico.
Sotto la guida “illuminata” di tali intellettuali e di professionisti incolti della politica, la guerra continua…
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