Un incubo, un viaggio nell’ordinaria follia italiana? Sono ancora in treno quindi molto altro potrei sentire e vedere, voglia incontenibile di urlare, protestare, gridare e in qualche caso redarguire senza gentilezza.
Treno pieno, tutti viaggiano e pensano che i mezzi di trasporto siano come le loro cucine, i loro bagni, i loro uffici. Ebbene si chiamano luoghi pubblici, dove le regole devono essere rispettare da tutti. Salgo e non c’è posto per i bagagli perché i primi freddi impongono un soprabito e quello, sembrerebbe avere diritto ad un posto sulla rastrelliera. E vada sorrido, non ho voglia di battibeccare ho rischiato di perdere il treno perché a Roma si chiudono le strade così all’improvviso e chiaramente i vigili sono al cellulare.
Treno pieno pieno, posto a quattro, il mio vicino elegante e profumato, quando sta al PC che peraltro non usa per lavoro appoggia il gomito nel mio stomaco, per fortuna ho uno strato corposo prima delle ossa e quindi poco male. Adesso si è alzato e non ha neanche salutato, dopo aver buttato, nel cestino, senza carta due gomme da masticare, che meraviglia diventeranno fossili, un modo per tramandare il DNA ai posteri.
Di fronte siede un giovane per non dire giovanissimo procuratore di pallavolo o di calcio che parla di prestiti, giocatrici, tesseramenti e squadre, in italiano? No in un misto di siculo che però non è né palermitano né catanese, l’uso di ‘stavo’ mi ricorda Checco Zalone però, scopro a fine viaggio che è pugliese. Ha le cuffiette quindi potrebbe evitare di ascoltare i video con il sonoro e potrebbe anche lavorare senza comunicare la formazione a tutto il treno. Mi guarda e non capisce che sto cercando di scrivere e di leggere, oltre ad avere un gergo dialettale davvero colorato e raffinato. Nulla non esisto, in più gioca con la sua bottiglietta di plastica schiacciandola, facendo un rumore odioso mentre io sfoggio la mia borraccia ecologica e borsa ecologica.
E va bene il quarto è un signore non proprio giovanissimo, ha la suoneria del telefono al top con una musica tanghera, e guarda ogni singolo video con il volume al massimo sorridendo compiaciuto “so usare i social”. Nel frattempo alle spalle qualcuno parla di licenziamenti con il commercialista. E non mi sembra il massimo. Ma l’apoteosi è la signora del sud trapiantata al nord, che come spesso accade per camuffare l’accento ‘toscaneggia’, e grande appassionata di stivali, vanta al telefono una grande collezione, di cui una parte è contenuta nella valigia… mi chiedo con questo caldo! Lei in un momento di ego fuori controllo, parla in video chiamata con un signore di Milano che oltre a dirle cose ammiccanti giudica in viva voce gli altri passeggeri, soprattutto le donne, un vero signore. Che necessità c’è di una videochiamata in viva voce?
Più in là un venditore di macchine spiega pratiche e dinamiche del mercato. Mi sorge spontanea una domanda ma perché i controllori non fanno rispettare un minimo di rispetto? Perché io non ho reagito? Anche io sono complice di un tripudio di voci, schiamazzi e disturbo. Cosa spinge tutti noi ad uniformarsi alla maleducazione, perché la signora dall’altro lato non è riuscita a dormire, perché non ha protestato? Ci sentiamo minoranza, siamo indifferenti? Le domande sono molte ma le risposte risiedono in ognuno di noi e negli esempi che diamo e riceviamo. Il ritorno lo faccio nell’area silenzio. Diceva Che Guevara:” Il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi.”
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