Questa volta il mio pensiero corre al 9 Novembre 1989, al prossimo Natale ma soprattutto a tutti coloro (sempre di meno, purtroppo) che sognano un mondo senza frontiere, un mondo di fratellanza come il fascino della grotta di Betlemme insegna.
L ‘episodio a cui voglio far riferimento risale al 1975; il 15 luglio di quell’anno la Soyuz 19 lascia il cosmodromo di Baikonur con a bordo Aleksei Leonov e Valeri Kubasov seguita a 7 ore di distanza dall’Apollo, lanciata dalla base di Cape Kennedy con gli astronauti Thomas Stafford, Deke Slayton e Vance Brand. Quarantotto ore più tardi, esattamente alle 17:19, ora italiana, lo speciale modulo di aggancio messo a punto dai due enti spaziali mette in collegamento le due navicelle in orbita sopra l’Europa continentale. Poco dopo Stafford e Lenov, quasi increduli, si scambiano una vigorosa stretta di mano. Per 44 ore due navicelle di progettazione completamente diversa rimasero agganciate in orbita senza pericolo per gli equipaggi.
A chi, come me, poté assistere a questo straordinario avvenimento che andava aldilà del traguardo scientifico sembrò che quasi trent’anni di guerra fredda fossero stati seppelliti in un istante. Nella calma infinita della realtà siderale ciò che sembrava impossibile si era realizzato. Miracolo del cielo?
Il muro di Berlino, quel muro della vergogna, simbolo di odi e di divisioni laceranti sarebbe caduto circa 15 anni dopo. Ora fa parte di una storia passata ma ancora umida di dolore e di sangue, eppure l’uomo non sembra aver raccolto la lezione del passato. Altri muri anche invisibili e non meno difficili da abbattere sono stati alzati: sono i muri dell’egoismo, dell’intolleranza, del pregiudizio, dell’indifferenza verso l’umiliante condizione del bisogno che chiede una stretta di mano, solo una debole stretta di mano nella logora e triste quotidianità di chi, indifferente, non ha più occhi per il cielo ma solo l’urgenza delle tasche piene, delle “poltrone ” da difendere a tutti i costi, di chi ha smarrito la strada della “Bellezza” e si incammina, nella sua comoda condizione di benessere, sulla via della miseria spirituale.
Eppure il problema dell’indigenza, che è poi un groviglio di problemi e non ha colore è il più drammatico di tutti quelli che incombono sugli uomini. E proprio perché terribilmente serio e fortemente intriso di sofferenza e di dolore dovrebbe essere affrontato con estrema e vigile serietà, sgombrando la mente e l’animo da ogni interesse di parte sia esso scatenato da uno squallido populismo politico o da un’abissale ignoranza di quei valori universali che fanno l’uomo degno di essere UOMO.
E tutto questo non solo per ragioni etiche-morali ma perché ormai tutta l’umanità è UNA ed ugualmente coinvolta nelle stesse trame e nelle stesse responsabilità. Ogni sopruso, ogni violenza, ogni pregiudizio, ogni ingiustizia che colpisce un solo uomo di qualunque cultura, nazione o colore ci riguarda, fa parte essenziale del nostro destino di uomini, interessati ad una più ordinata organizzazione del potere e a una più equa distribuzione delle risorse ma soprattutto è l’urgenza impellente del Nostro Presente.
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