Questa domenica ho abbandonato la Raggi al suo crudele destino tra il dramma dell’AMA ed il previsto arrivo dei Leghisti con Salvini a chiederne la testa sulla Piazza del Campidoglio. Delusione ed orrore! Ed allora per migliorare il mio stato d’animo ho pensato con fiducia al nuovo Governo giallorosso ed al nuovo giovane Ministro della Sanità uscito a sorpresa dalla laboriosa trattativa per la formazione del Conte bis. Io, da medico, sono lieto che un dirigente politico di alto profilo abbia assunto la direzione del Ministero della Salute, Ministero considerato non di prima fascia, anzi anni addietro soppresso con la legge Bassanini, e poi resuscitato dal governo Berlusconi. Tra i Ministri del passato recente si sono avvicendati anche medici di forte caratura professionale come Guzzanti, Veronesi, Sirchia, Fazio, ma ovviamente di poco potere politico e politici di relativo peso come Balduzzi e la Lorenzin. Nella mia vita ministeriale con ben 18 anni in Consiglio Superiore di Sanità, dei quali nove con funzione di Vice presidente, ho servito con ben 10 Ministri, ma da quell’osservatorio privilegiato, con tutto il rispetto per l’impegno degli altri Ministri, ho visto esprimere vera valenza politica e conseguente efficacia, solo con Rosy Bindi alla fine degli anni 90.
Nel 2001 con la modifica del titolo quinto della Costituzione, la sanità è passata quasi totalmente alle Regioni. In questi successivi 18 anni lo Stato, ossia il Governo, è potuto intervenire ben poco attraverso il Ministero della Salute e quando lo ha fatto davvero è stato il Ministero dell’Economia a commissariare le Regioni non virtuose, ossia piene di debiti. Inutile dire che tali buchi di bilancio e successive gestioni commissariali si sono verificati solo nelle Regioni meridionali aumentando così, con risparmi forzosi, le loro criticità assistenziali in termini di qualità e quantità.
I critici della modifica del titolo quinto avevano previsto che però col trasferimento dei poteri si sarebbero create almeno 20 differenti repubbliche sanitarie, tante quante sono le Regioni italiane, con altrettante sanità diverse in termini di offerta assistenziale, qualità organizzativa, risultati.
Il Sud è pericolosamente affondato tra scandali finanziari e conseguenti arresti, migrazione sanitaria di pazienti verso il Nord, mancanza di personale qualificato, strutture ospedaliere sempre più fatiscenti e incursioni della malavita nel settore degli appalti, delle gare, dei concorsi e della gestione ordinaria. Citare il lungo elenco di tali casi non serve perché sono a tutti noti e complessivamente configurano un dissesto intollerabile per un Paese civile.
A Nord la situazione sembra apparentemente migliore, ma in realtà tra medicina privata in medicina pubblica si sono invertiti i rapporti: non è più la prima ad essere complementare alla seconda, ma il contrario! Il cosiddetto modello lombardo dove di diritto e di fatto la Regione sostiene indifferentemente l’una e l’altra, finisce col gravare sulle tasche dei pazienti taglieggiati tra ticket, intramoenia su larga scala, differenze di stanza in ricovero, liste di attesa per prestazioni specialistiche da superare mettendo mani al portafoglio. Nella competizione tra pubblico e privato quest’ultimo ha la possibilità, tout court, di ricorrere alla importazione di alta professionalità dal resto del Paese ed anche dall’estero, senza procedure complesse e senza limiti di età, mentre il pubblico resta zavorrato dal farraginoso meccanismo concorsuale e dai bassi salari. Anche il Veneto è in affanno: mancano i medici nella medicina pubblica, soprattutto specialisti, e la favola della importazione anche dall’estero è tutt’altro che una favola.
Infine il problema Roma con i suoi cinque Policlinici universitari, le due Aziende ospedaliere, le tre ASL, i due IRCCS, ma soprattutto con la sua sovrabbondante medicina privata convenzionata come quella del Mega Policlinico Gemelli e delle altre strutture religiose, nonché le molte decine di Case di cura anche totalmente private. Ciò nonostante Roma non è capitale sanitaria del paese. I treni carichi di pazienti del sud non fermano più a Roma, come è successo per tanti decenni quando con la valigia in mano e con affanno scendevano alla stazione Termini e di primo mattino si presentavano a piedi all’accettazione del vicino Policlinico Umberto I. Gli stessi pazienti oggi vanno direttamente a Bologna, Verona, Torino e soprattutto a Milano diventata capitale sanitaria, con non poca spesa per gli infermi da fuori Regione, per loro e per le Regioni di appartenenza.
A chi giova tutto questo e come metterci rimedio? Come offrire a tutta la popolazione nella Regione di residenza, uguali livelli di assistenza? In primis sarà un problema di allocazione di risorse e poi ci sarà il secondo problema, quello della loro corretta utilizzazione. Per la malavita, e non solo al Sud, la sanità e le sue risorse sono diventate un terreno facile da arare per l’inconsistenza del sistema e le sue fragilità.
Precedenti Ministri hanno inseguito problemi diversi, non politici ma sanitari, trasformandosi in medici quando non lo erano, dagli incidenti negli ospedali, alle vaccinazioni, eccetera. A noi medici questi sembrano problemi prevalentemente tecnici da risolvere attraverso gli organi istituzionalmente preposti come l’Istituto superiore di sanità o il Consiglio superiore di sanità. Nella situazione attuale dalla politica invece potremmo attenderci un grande sforzo per l’equiparazione dell’assistenza in tutto il Paese perché la prevenzione e la qualità della vita non siano diverse tra Calabria e Toscana, perché i viaggi della speranza da Gallipoli a Milano, da Marsala a Padova, diventino un ricordo del passato, perché l’olistico Servizio Sanitario Nazionale diventi veramente tale senza l’impegno finanziario del paziente non abbiente, perché le strutture di accoglienza non accolgono oltre i malati anche formiche e scarafaggi né a Napoli né altrove, perché ci sia ovunque un’offerta sanitaria degna di un grande Paese industriale.
Forse bisogna rivedere la spesa storica e la sua suddivisione regionale, probabilmente ci vorranno risorse aggiuntive da collocare dove il bisogno è maggiore. Forse a questo potrebbero esser destinati i due miliardi aggiuntivi previsti nel bilancio dello Stato per il 2020. Forse c’è bisogno di una capacità formativa più capillare da parte delle Università e delle Regioni perché il bisogno di personale specializzato aumenta continuamente. Forse c’è da rivedere anche il contratto nazionale di lavoro della dirigenza, pur appena firmato, per evitare che i migliori e i giovani delusi dal Servizio sanitario nazionale cerchino nel privato ed all’estero migliori condizioni di lavoro e di guadagno. Forse i meccanismi concorsuali previsti dalla legge Balduzzi, che avrebbe rinnovato per non rinnovare, andrebbero riletti. Forse…. Forse…. Forse!
La politica deve finalmente offrire le risposte e questo Ministro potrebbe essere in grado di farlo, data la sua giovinezza, la sua qualità politica ed i suoi livelli di credibilità ed operosità che gli hanno da anni garantito nel recente passato di assumere importanti responsabilità nei Partiti e nel Parlamento.
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