Il dibattito pubblico è come un sismografo. Se è senza impennate, se i toni si attutiscono, se la polemica si contiene, la curva è come quella delle corse in pianura. Non è questo l’ingrediente favorito del sistema dei media, ovviamente. Sistema che, da quando l’orafo di Magonza Johannes Gensfleisch della corte di Gutenberg, lavorando il metallo al conio, quindi stampando monete, trasferì la sua metodica a 290 tipi di caratteri producendo il primo esemplare stampato della Bibbia, ne ha inventate di ogni per alzare ogni giorno quella curva al fine di selezionare di più le notizie e incuriosire di più i lettori.
Eppure, ci sono momenti della vita collettiva in cui l’impennata della curva ci pensa già il destino a produrla.
E a volte in modo così tumultuoso da obbligare le voci in campo a scendere di intensità, a pacificarsi, a ingentilirsi. Proprio per distinguersi, per smarcarsi al contrario, per rendersi accessibili.
Nelle tre settimane della crisi planetaria scatenata da Codiv-19 c’è chi ha colto questo ribaltamento di una regola aurea e ha costruito la banda dei commenti nella fascia bassa degli schermi (quelli acustici, quelli telefonici, quelli radiofonici, quelli televisivi e quelli della carta stampata).
Stiamo rapidamente (non tutti ovviamente) adattando i nostri lay-out a questa regola di convivenza tra l’urlo dei fatti e la pacatezza dei commenti. Forse anche per uniformarci alla mestizia del momento. Ma soprattutto per mettere in pratica nella comunicazione il principio generale della convivenza con il cataclisma. Vale per la resilienza sulle questioni ambientali. Vale per la metabolizzazione delle sofferenze. Vale per la “comunicabilità” del tentativo di spiegare, narrare, comprendere, combattere il fronteggiamento di un nemico invisibile, sconosciuto, assassino. Un nemico che non si sa per quanto tempo terrà ancora banco nella prima pagina dei media e nelle iscrizioni quotidiane delle necrologie.
Finisce qui, si conceda l’eccesso, la “cornice teorica” ad alcuni fatterelli di questi giorni, uno dei quali il direttore di questo giornale mi chiede di replicare dalle colonne “istantanee” della mia pagina di Facebook.
Sarebbe stato possibile precedere questo “copia e incolla” con i tanti casi in cui politica e media hanno osservato questa regola del ribaltamento, contribuendo a stare in sintonia con i ragazzi che cantano compostamente dai balconi, con i medici che non strepitano dicendo cose che andrebbero gridate, con i famigliari dei malati che rendono ai microfoni dei cronisti mestissime dichiarazioni.
Se l’Italia sta guadagnandosi stima e apprezzamento internazionale dopo giorni di sciacallaggio e delegittimazione è grazie alla forza delle misure assunte e grazie allo stile collettivo per adempiere.
Ci ricorda il presidente del Parlamento europeo, nostro amico e collega di un tempo, David Sassoli, che la battaglia è per la salute, ma anche per la democrazia. Per questo il “ribaltamento della regola” deve tener conto anche dell’impossibilità di ridurre tutto a pensiero unico. E in questo ci stanno i confronti aperti: tra scienziati che devono discutere, tra istituzioni che devono tener conto di diverse istanze rappresentate, tra soggetti del sistema economico e produttivo che pongono la difesa del lavoro insieme a quella della salute. Tra soggetti politici che devono affinare analisi e proposte.
Anche questa beve riflessione deve fare da cornice al “copia e incolla” di un episodio che suona diverso, che suona inerziale rispetto ai cambiamenti, che suona come qualcosa da correggere. Perché correggere ritardi e distonia adesso si può e si deve fare.
Tutto ciò premesso sono più sereno nel “copiare e incollare” due post dedicati (esemplificativamente, perché altri ve ne sono di questo tenore) a quella che pare una contraffazione del “fare comunicazione senza polemica”.
(da Facebook del 15 marzo 2020)
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