Classici contemporanei

Etica e libertà

Per questa settimana lascerò a riposo i miei “classici contemporanei” perché stimolata da un interessante dibattito su MOONDO relativamente alla opportunità o meno di oscurare un discorso di Trump, tenuto dopo i primi esiti elettorali negativi, quando si invitavano gli Americani alla rivolta e si aggrediva con violenza inaudita l’avversario. In questo dibattito vorrei inserirmi anche io, per esprimere la mia opinione nel rispetto comunque di quella di tutti gli altri interlocutori e senza alcuna pretesa di essere giunta alla soluzione definitiva di un problema così scottante, come quello proposto. 

È chiaro ed incontestabile che la libertà di espressione è sacra e inviolabile, in Italia è tutelata dall’art. 21 della nostra Costituzione. Poter liberamente esprimere la propria opinione è segno di democrazia e di progresso, soprattutto nel giornalismo e nel dibattito politico. Non c’è alcun dubbio che Bruno Somalvico ed il direttore Sodano siano nel giusto quando difendono  tale libertà. In situazioni normali, deve essere un imperativo imprescindibile, un marchio di civiltà. Tuttavia, in situazioni eccezionali e considerando che la massa segue più spesso le emozioni che la ragione, rifuggendo da ogni moderazione quando inopportunamente stimolata, tale libertà è sempre e comunque da garantire?

La difesa del diritto alla libertà di espressione comporta la possibilità di poter dire qualunque cosa e in qualunque modo, senza alcun rispetto delle elementari regole di comportamento, quelle che richiederebbero il rispetto dell’avversario, di una libera e democratica scelta elettorale e l’interesse superiore dell’ordine pubblico? Davvero si può essere liberi di incitare all’odio, di offendere, di raccontare fatti non ancora dimostrati, di mettere a rischio l’incolumità di centinaia di persone?

Io non penso sia lecito a chicchessia e tanto più a capi politici, di qualunque indirizzo essi siano e qualunque ruolo ricoprano. Se poi a parlare è il capo di Stato più importante e più potente del mondo, le sue parole hanno un peso, una risonanza e una capacità di interagire come non mai su una piazza, già pronta ad esplodere. E se questo capo incita alla rivolta, sulla base di affermazioni palesemente infondate e non comprovate e aggredisce offendendo violentamene l’avversario politico, sicuramente esprime un comportamento proprio di un dittatore e di un dittatore della peggiore specie.

Proprio in nome della democrazia, che non ammette giochi di forza ma favorisce  il libero dibattito, rispettoso delle parti e della realtà comprovata, il messaggio di Trump, presidente di tutti gli Americani ed espressione di unità nazionale, nella circostanza data, non era opportuno che fosse diffuso. In questo caso sono le circostanze a determinare l’eccezione. In una situazione di grande eccitamento delle masse le sue parole potevano essere esplosive e pericolose per la stessa democrazia, erano un segnale di arroganza inaccettabile, in un paese civile e democratico. È chiaro che per chi ha “oscurato” non sarà stato facile.

La decisione sarà stata travagliata e dolorosa ma da ritenere inevitabile, la posta in gioco era troppo alta, paradossalmente era in gioco proprio la Democrazia. Il giornalista  aveva grosse responsabilità e nessuna chance per controbilanciare la forza delle parole di Trump: come e cosa avrebbe potuto obiettare che avesse avuto maggiore presa nella piazza già infuocata, rispetto alle parole del Presidente degli Stati Uniti d’America? 

Non  penso che la scelta attuata debba essere intesa come un attacco alla libertà di parola, ma piuttosto come una necessità inevitabile per tutelare valori superiori: la libera e democratica consultazione elettorale, il rispetto sempre dovuto ad un avversario politico, l’incolumità delle persone. Trump per vie legali procederà a dimostrare che quanto da lui affermato corrisponde a verità ma mai nessuno gli potrà concedere di spingersi oltre una comunicazione eticamente corretta, soprattutto in situazione di grande eccitazione di piazza.  

Le sue parole potevano costituire un esempio di contropotere della libertà e rischiavano di divenire una bomba pericolosissima. Data la situazione e la realtà della piazza, Trump da capo responsabile avrebbe dovuto valutare meglio il peso delle sue parole e l’effetto che avrebbero potuto avere sulla folla che, si sa bene, già dai tempi di Seneca, è emotiva e irrazionale. Il giornalista in quel caso, si è fatto garante di un confronto democratico censurando un discorso che di rispettoso non aveva nulla ma che poteva avere conseguenze inimmaginabili. Ha dovuto decidere al momento, rispondendo ad un imperativo etico di grossa responsabilità. 

E se a Trump fosse lecita la libertà di poter affermare qualunque cosa, se tale libertà non è attribuita solo al ruolo che ricopre, ragionando in astratto e per assurdo, perché negarla allora ad esponenti di forze politiche  estremiste che incitano alla lotta armata e che fanno proselitismo dovunque ne ravvisino l’opportunità tra giovani e meno giovani, infervorati da propagande spesso disastrose per l’intera umanità? La libertà di espressione è sacra ma come ogni cosa ha anch’essa un codice etico da rispettare, dei limiti invalicabili.

È evidente che il mio punto di vista è contestabilissimo e in modo facilmente comprensibile e che Sodano abbia ragione così come Somalvico. Ma la funzione del giornalista può limitarsi solo a garantire la trasmissione di un messaggio senza porsi nessun imperativo di carattere etico? In altri termini, il giornalista non deve rispondere anche alla grosse responsabilità che comporta il suo ruolo e alla possibilità di divenire corresponsabile nel veicolare un messaggio dannoso, sapendo che l’urgenza delle circostanze non avrebbero consentito né tempo, né peso ad ogni genere di contraddittorio? Inoltre, circostanze eccezionali non impongono scelte eccezionali senza che queste scelte diventino la norma?

Leggi anche:
Oscurare le dichiarazioni di Trump è o no un grave atto di censura? di Bruno Somalvico, Una linea di demarcazione tra la libertà di parola e l’intimidazione di Dom Serafini e Il pifferaio magico di Giampaolo Sodano

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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