L’insofferenza per il predominio sulla attività politica ed economica dell’intero Occidente da parte dei finanzieri di New York e di Londra (e, per l’Unione Europea, anche dei tecnocrati e funzionari bancari di Bruxelles) è stata avvertita nel Vecchio Continente, in primis,dalla Gran Bretagna, che ha preso abbastanza tempestivamente le distanze dagli altri Paesi-membri con la Brexit e nel Nuovo Continente dall’Amministrazione di Donald Trump, primo Presidente degli Stati Uniti d’America a porsi, con coraggiosa testardaggine, contro il mondo finanziario di Wall Street e della City.
In Europa, il processo non sembra essersi arrestato, nonostante le difficoltà frapposte, per l’uscita, dai “volponi” capeggiati da Juncker a una troppo timida e paurosa Theresa May; leader dei conservatori molto distante dai modelli tipologici di Winston Churchill e di Margareth Thacther. Le recenti votazioni per il Parlamento Europeo, infatti, hanno dimostrato che l’insofferenza per i diktat di Bruxelles (e in buona sostanza, del mondo del credito, vero burattinaio dei “pupi” sulle scene dei vari Paesi) si sta progressivamente estentendo ad altri Stati-membri dell’Unione, come l’Italia, l’Ungheria, la Polonia, l’Austria (e, in qualche misura, anche la Francia).
Gli equilibri di governo sembrano essere stati significativamente alterati: i popolari si sono ridotti di numero e dovranno, per giunta, fare i conti con la presenza di Orban (e, per quel che può contare, di Berlusconi) nelle loro file; i socialisti sono al lumicino, come nel resto del mondo; i liberali rappresentano un vistoso punto interrogativo, perché non si sa, esattamente, chi siano e cosa vogliono.
Certo, la battaglia è tutt’altro che vinta e conclusa. Per le forze che sono uscite solo parzialmente sconfitte dal voto, si pone l’esigenza di tentare di erodere le roccaforti degli euroscettici sgranocchiando, con ogni mezzo, voti da forze in bilico e incerte nelle loro posizioni. Di certo, le riforme non saranno agevolate dal risultato del voto anche se le pressioni dei Paesi governati dagli “euroscettici” si faranno sentire con maggiore efficacia e determinazione.
A presidio e rafforzamento dello status quo continuerà a esservi il pensiero dominante nelle classi più agiate e borghesi del vecchio Continente. Ostili a ogni cambiamento per l’Europa che tocchi gli interessi del credito, si leveranno, dai “salotti buoni” delle varie capitali europee e delle città di provincia, egemonizzati dai cosiddetti “intellettuali” progressisti, alte grida d’allarme, raccolte, con grande risonanza, da tutti i mass-media; sempre pronti ad accogliere ogni manifestazione di pensiero che possa risultare gradita ai propri padroni.
Sembra del tutto inutile chiedersi perché i sedicenti “benpensanti” si augurino che non avvenga quell’allentamento dei vincoli che pur costringono, in modo innegabile, all’inazione economica e alla perdita di peso e d’iniziativa dei Paesi-membri dell’Unione nell’attività degli investimenti produttivi. Contro ogni elementare buon senso, proprio nel momento in cui per effetto del risultato elettorale può diventare politicamente più debole il potere dei tecnocrati della moneta, gli asseriti “uomini d’ordine” europei serrano i ranghi per far giungere chiaro e netto il loro NO a ogni affrancamento dallo strapotere finanziario. E all’interno di ogni Paese-membro dell’Unione cominciano le manovre per sottrarre consensi ai partiti della “rivolta”.
In Italia, il tentativo sarà, molto verosimilmente, quello dei post-comunisti di affidare il Movimento Cinque Stelle alle cure del Partito Democratico di cui si strombazza, sui media, una risibile “ripresa”: si auspica un collegamento tra quelle due forze (che certamente sono entrambe di sinistra) soltanto per portare, in modo subdolo e truffaldino, acqua al mulino dei banchieri di New York, di Londra e di Bruxelles. Fin qui il lavoro sporco di chi si è venduto alla causa dei Paperon dei Paperoni.
Poi vi sono, però, gli “utili idioti” il cui orientamento vistosamente “suicida”, è più difficile da spiegare. E’ probabile che a giustificazione di tale incomprensibile cupio dissolvivi sia una conoscenza della realtà europea non corretta e fortemente deviata dalla falsa informazione di cui sono responsabili gli gnomi della Finanza occidentale, attraverso i mass-media, quasi totalmente in loro mano. Non si può escludere, però, che la stessa “cultura” assimilata, dagli eurocontinentali, dopo anni di severi studi in scuole, pubbliche o religiose, disseminate nel suo territorio, ha fatto perdere alle persone che si ritengono e qualificano “colte” (anche a buon diritto, se si entra nella loro logica), ogni capacità di ragionare con la propria testa. Nei loro “affollati” cervelli, continuano a essere dominanti e determinanti le voci dei sacerdoti, frequentati nelle parrocchie, e dei (cattivi?) maestri del pensiero, studiati a scuola.
Nei ceti popolari, notoriamente e per forza del censo, meno indottrinati della classe agiata e dei cosiddetti “intellettuali”, i fermenti definiti “euroscettici” sono meno controllabili. Secondo alcuni osservatori, anche il ricorso da parte delle classi più scarsamente “coltivate” a internet, per acquisire informazioni, attuali e storiche, garantisce un apprendimento meno condizionato e falso di quello assimilato dai ceti più agiati da mass-media non più liberi e sui banchi di scuola per voce di insegnanti, spesso di scarso senso critico e talvolta di quella forte prosopopea e supponenza, tipica del mondo cosiddetto “accademico”.
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